di Massimo Villone
Ci voleva la crisi da coronavirus per chiarire come un paese diviso e troppo diseguale sia comunque fragile. Si teme il collasso della sanità di eccellenza delle tre regioni più colpite – Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna – che potrebbero non reggere a un ulteriore incremento della domanda di ricoveri ospedalieri. E la domanda – davvero inedita – rivolta al Sud, è se potrà all’occorrenza correre in aiuto del Nord. Peraltro, le notizie degli ultimi giorni hanno chiarito come il servizio sanitario sia nazionale di nome, non di fatto. Il gap a danno del Sud nei posti-letto di rianimazione/terapia intensiva è impressionante. Leggiamo che la Regione Campania ha tre scenari (A, B,C) di contrasto verso il contagio. Ci auguriamo ovviamente di poterci fermare al primo, più leggero. Il solo – pare di capire – che consentirebbe di mettere a disposizione delle regioni del Nord un certo numero di posti-letto. Ma nessuno garantisce che saremo fortunati. La crisi dimostra come la riforma del titolo V del 2001 sia stata per il paese un malaugurato accidente. Si poteva – e secondo alcuni si doveva – mettere mano a riforme per un paese più efficiente. Ma certo non aprendo la strada a repubblichette con pruriti separatisti e all’aumento delle diseguaglianze, come è poi avvenuto. Mattarella ha molto insistito sui concetti di unità e coordinamento. Ha fatto la sua parte. Ma di sicuro preoccupa la foto sul sito del ministero delle Autonomie, che mostra un tavolo di coordinamento tanto affollato che per gli occupanti non basterebbe un vagone di Frecciarossa. La crisi non si risolverà in un tempo breve, e avrà un impatto negativo e pesante sull’economia. È ovvia la necessità di destinare al rilancio ogni possibile risorsa. I primi passi del governo, e l’aumento delle disponibilità a 7,5 miliardi, mostrano consapevolezza. La domanda è se questo possa coesistere con il Piano per il Sud che appena da qualche giorno l’esecutivo ha presentato. Piano in cui è stato delineato un intervento in prospettiva importante, in specie sotto il profilo della perequazione infrastrutturale. E che richiede risorse adeguate ora, e non in un futuro lontano, e magari incerto. È possibile che la crisi in atto aiuti, proprio perché dimostra l’evidente insufficienza della tesi sostanzialmente separatista fondata sulla necessità di far correre la locomotiva del Nord perché si agganci all’Europa. È la tesi alla base del regionalismo differenziato richiesto dal Nord, che non si pone più l’obiettivo di ridurre il divario con il Sud, ed anzi considera la riduzione un danno per il paese, perché comporta una inefficiente assegnazione di risorse a una parte d’Italia che non può o non sa beneficiarne. La tesi della locomotiva del Nord era già in sofferenza per il cedimento delle economie forti d’Europa, e soprattutto della Germania. Ancor più oggi nella prospettiva – realistica per il coronavirus – di un indebolimento del ciclo economico su scala globale. Riassume centralità l’opposta tesi di rimettere in moto il secondo motore del paese, investendo nel rilancio del Mezzogiorno e ritrovando l’obiettivo della riduzione del divario Nord-Sud come condizione di un paese più forte perché più unito nei fatti, e non a parole. In queste condizioni anche il coordinamento auspicato da Mattarella assumerebbe un ben più pregnante significato. Il 5 marzo il ministro Provenzano è stato in audizione presso la commissione trasporti della Camera sull’aggiornamento del contratto di programma con Rete Ferroviaria Italiana. Ha richiamato la necessità di accendere tutti i motori di cui il paese dispone. Ha specificato che le risorse per l’emergenza non devono essere trovate intaccando quelle per gli investimenti, che sono essenziali per il rilancio. Va chiarito al paese – ha detto – che gli investimenti nel Sud sono di vantaggio anche per il Nord. È una impostazione giusta, di cui va dato atto. Ma va analizzato, prima o poi, il rapporto di questo indirizzo con l’autonomia differenziata di cui è alfiere Boccia. Certo, diverte che un giornale non sospetto di simpatie sudiste come Libero il 6 marzo titoli: “Tuteliamo il Sud dal contagio o sarà una tragedia”, e scrive che se alla crisi permanente del Sud si aggiungesse il virus cinese “le conseguenze economiche e sociali sarebbero disastrose per la penisola intera”. A quanto pare, il bisogno porta a miti consigli anche i più riottosi. Comunque, siamo grati per la solidarietà. Potevamo temere che Zaia, dopo aver considerato i topi cinesi, volgesse lo sguardo a quelli napoletani.
Questo articolo è stato pubblicato su Repibblica Napoli il 7 marzo 2020