di Francesco Carta
Sono un medico di medicina generale (medico di base o di famiglia, se preferite). Esercito la professione con passione fin dagli anni ottanta, anni in cui entrava in vigore la Legge di Riforma Sanitaria (L.833/78). Secondo una campagna, non disinteressata, le eccellenze della sanità sarda sono da individuarsi nelle strutture private, in crescita nell’isola, mentre le strutture sanitarie pubbliche attraversano una crisi importante e decisiva per il futuro del Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.).
I centri di eccellenza del S.S.N. sono molteplici sia nelle strutture ospedaliere sia in quelle universitarie, che storicamente in Sardegna hanno fatto clinica e ricerca di alto livello. Vorrei rimarcare che la principale eccellenza del S.S.N., è l’universalità dell’accesso alle cure per tutti i cittadini: occupati e non occupati, nei piccoli paesi e nelle citta, nel centro e nelle periferie dell’isola.
A quarant’anni dall’approvazione della Legge di Riforma Sanitaria dobbiamo purtroppo constatare che fasce crescenti di popolazione rinunciano alle cure a causa delle lunghe liste di attesa , del costo dei ticket e delle crescenti difficoltà di accesso alle strutture pubbliche. Per ottenere prestazioni in tempi brevi, spesso si è costretti a pagare direttamente le stesse prestazioni o si rinuncia alle cure. Purtroppo, operiamo in una realtà in cui, di fatto, siamo al superamento della gratuità e dell’universalità delle cure.
Ciò va attribuito alla riduzione della spesa sanitaria pubblica e dei servizi essenziali e, soprattutto, al blocco delle assunzioni di personale. I Livelli Essenziali di Assistenza (L.E.A.) non sono garantiti per tutti e in tutto il territorio regionale. È grave la carenza di personale sanitario: infermieri e professionisti sanitari. Mancano i medici specialisti, il cui accesso alle Scuole di Specializzazione è alquanto selettivo. Il numero chiuso per l’accesso alle Facoltà di Medicina e alle Scuole di Specializzazione si è dimostrato completamente sbagliato, non adeguato alle reali esigenze sanitarie. Risponde a scelte di risparmio puramente economico, senza alcuna programmazione. Mentre molti operatori sanitari, medici e infermieri, sono costretti a emigrare anche all’estero, le corsie degli ospedali sono sovraffollate di pazienti e carenti di personale; i piccoli ospedali sono deserti o in via di smantellamento.
Oggi i medici dipendenti (ospedalieri e di Igiene Pubblica) e gli infermieri vanno in pensione e non sono sostituiti a causa del blocco delle assunzioni. Come è possibile lavorare serenamente se un operatore sanitario svolge il lavoro che veniva svolto da quattro colleghi? Il pensionamento dei medici assunti negli anni ottanta crea e creerà un vuoto enorme. Spesso col pensionamento vengono chiusi servizi essenziali. I dirigenti della sanità regionale e nazionale avevano previsto tutto questo? Ha prevalso la sola logica di risparmio e non esiste una seria programmazione sanitaria. Salvo che tutto questo non sia realmente voluto.
Giustamente si parla di eccessivo ricorso al Pronto Soccorso (P.S.) per patologie che dovrebbero essere gestite nel territorio o a domicilio. Le patologie acute vanno gestite in Ospedale, le patologie croniche sul territorio. In questi giorni il Ministero della Salute ha pubblicato i dati sui ricoveri ospedalieri dopo l’esame delle Schede di Dimissione Ospedaliera (S.D.O.): in 10 anni 3,5 milioni di ricoveri in meno e 16,9 milioni di ore di degenza in meno (-22%).
Questi dati confermano quanto siano ridotti i ricoveri e le ore di degenza. Ci saremmo aspettati un rafforzamento delle Cure Primarie territoriali, ma così non è stato. Si fa poco o nulla per prevenire i ricoveri e gli accessi inappropriati al P.S. Quando si presenta la patologia acuta ci si rivolge all’Ospedale, tramite il P.S. I pazienti non giudicati gravi e non ricoverati, vengono rimandati a casa, ma a volte le dimissioni sono precoci, col pericolo che si renda necessario altro ricovero a breve distanza. Per non parlare dei pazienti fragili con varie patologie e gravi limitazioni funzionali e spesso non autosufficienti. Tutti questi assistiti vengono seguiti a domicilio dal proprio medico di famiglia, attraverso le varie forme di assistenza domiciliare: A.D.I. (Assistenza Domiciliare Integrata con assistenza infermieristica) e A.D.P. (Assistenza Domiciliare Programmata). Ma la situazione nel territorio non è delle migliori. La rete assistenziale è spesso carente e precaria e si regge grazie alla disponibilità, alla professionalità e, spesso, allo spirito di abnegazione del personale sanitario. In questa situazione il medico di famiglia è in prima fila, in trincea.
Se si riducono i posti letto in ospedale, i ricoveri e le ore di degenza, significa che aumenta il carico assistenziale nel territorio: l’organizzazione del S.S.N. non riesce a dare una risposta adeguata. I sindacati e gli Ordini dei Medici denunciano da tempo la grave carenza di medici di famiglia: si rischia un vuoto assistenziale con il loro pensionamento.
Da molto tempo si parla della necessità di riorganizzare le cure primarie. Nella precedente legislatura regionale fu istituito dalla Giunta un Tavolo tecnico, composto dai rappresentanti delle professioni sanitarie, con il fine di elaborare una proposta di Riorganizzazione delle Cure Primarie in Sardegna. Dopo il confronto e la discussione, fu approvata una Delibera di Giunta e diverse disposizioni per l’Istituzione delle Case della Salute, intese come presidio di primo livello sul territorio.
Queste dovrebbero favorire il lavoro di gruppo, l’associazionismo medico e la gestione delle malattie croniche, secondo il Chronic Care Model (Modello di assistenza medica dei pazienti affetti da malattie croniche) e attraverso Percorsi Diagnostici e Terapeutici per le patologie a maggior prevalenza e incidenza. Sfortunatamente, la Riorganizzazione non è stata applicata: le Case della salute sono dei Poliambulatori (nella migliore delle ipotesi) che erogano prestazioni, liste d’attesa permettendo, ma non sono un momento di organizzazione e programmazione sanitaria dei rispettivi territori. Tantomeno sono in grado di gestire la malattie croniche. Ancora una volta il Medico di famiglia è in prima linea e spesso solo a fronteggiare le emergenze sanitarie, umane e sociali.
Le malattie croniche assorbono l’80% della spesa sanitaria in Italia e in Sardegna. Una parte importante delle spese è determinata anche dai ricoveri ospedalieri. La mancata programmazione della gestione delle cronicità (nonostante le disposizioni Nazionali e Regionali) nel territorio, al di fuori dell’ospedale, determina non solo un ricorso inadeguato al P.S. ma anche ricoveri inappropriati, che vanno comunque fatti per trattare le acuzie. Si crea un circolo vizioso che può essere risolto solo con una programmazione sanitaria, un’organizzazione oggi inadeguata o del tutto assente. Pertanto la responsabilità degli accessi e dei ricoveri inappropriati al P.S. non può essere attribuita al singolo medico che propone il ricovero bensì all’organizzazione complessiva. Inoltre molti cittadini si recano direttamente e autonomamente al P.S.
Mi sembra ingeneroso affermare che in questa situazione ci siano «medici di famiglia fin troppo precipitosi nel liberarsi dei pazienti più impegnativi» come dice Massimo Dadea nel suo articolo sul Manifesto Sardo del mese di gennaio scorso. Condivido completamente le considerazioni fatte dalla Dott.ssa Maria Pasqua Meloni con una lettera in merito.
I problemi della Sanità in Sardegna sono di vecchia data e determinati da una scarsa applicazione dei principi costituzionali ispiratori della L.833/79. Penso che si debba riaffermare il primato della sanità pubblica per evitare che diventi un mercato della salute, condividendo nel merito il contenuto dell’articolo di Massimo Dadea.
La prima critica che faccio alla gestione della sanità nella precedente legislatura è di non aver attuato (non ci ha neanche provato) la Riorganizzazione delle Cure Primarie. Approvata la Delibera di Giunta bisognava confrontarsi con le parti coinvolte (A.S.L., operatori sanitari, sindacati) per verificarne l’applicazione. La seconda critica è quella di aver ampliato le convenzioni al Mater Olbia, concedendone altre non previste in fase iniziale, che fanno di questa multinazionale della sanità un agguerrito e pericoloso competitore, concorrente della sanità pubblica.
Critico l’attuale Giunta Regionale per aver stanziato circa 150 milioni per il Mater Olbia e per aver aumentato i finanziamenti di 100 milioni per le convenzioni con le Case di Cura private. Ha avuto un atteggiamento di sudditanza nei confronti delle richieste del Mater Olbia, stanziando per la struttura ingenti finanziamenti, quando, contemporaneamente si chiudono ospedali (piccoli e grandi) e si interrompono servizi pubblici ospedalieri fondamentali: l’emergenza, le stesse U.T.I.C. (Unità Coronariche di Terapia Intensiva) e i L.E.A. non sono garantiti. Per avere un elenco più dettagliato delle criticità della sanità pubblica basta leggere le cronache regionali giornaliere, che i quotidiani locali sono molto solerti nel denunciare.
Se le risorse finanziarie sono limitate, i cittadini non comprendono come si possano aumentare i finanziamenti e le convenzioni alla sanità privata e alle multinazionali della sanità. Ha fatto bene Massimo Dadea a denunciare nel suo intervento la “Disumana condizione della sanità sarda” e il trattamento privilegiato che l’attuale Giunta Regionale dedica alle Case di cura private. Se si aumentano le convenzioni con le strutture private, che saranno pagate con i soldi pubblici, si ridurranno le possibilità di assumere personale nel S.S.N..
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) sostiene che la Sanità pubblica universalistica è di gran lunga la più efficiente ed efficace. Non si capisce perché la Giunta Regionale voglia accelerare il processo di privatizzazione in atto e sottovalutare l’importanza della sanità pubblica. Dobbiamo di nuovo batterci per una umanizzazione della sanità, per una medicina al servizio dell’uomo e della società e non del profitto.
Il Manifesto Sardo sta svolgendo un ruolo importante nel favorire la discussione, nel momento in cui i luoghi di scambio di idee sono sempre più limitati. Può contribuire a creare un luogo di confronto per capire cosa sta avvenendo nella Sanità a livello regionale, e porre le premesse per un “Forum per il Diritto alla Salute” in Sardegna, che contribuisca a creare discussione e partecipazione.
Questo articolo è stato pubblicato dal Manifesto Sardo il 1 febbraio 2020