di Marco Ligas
Eccoci al 2020, come sempre auguriamo a tutti un buon anno, caratterizzato da un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Auguriamocelo con convinzione e nello stesso tempo cerchiamo di acquisire e consolidare la consapevolezza che le nostre aspettative e i nostri diritti verranno tutelati più efficacemente attraverso un maggiore impegno sociale, culturale e politico, soprattutto oggi che gli effetti delle crisi sociali diventano preoccupanti.
Capisco che con queste specificazioni il nostro augurio possa apparire riduttivo o portatore di apprensioni. Ma non lo è: apprezziamo tutti, come sostiene la nostra Costituzione, che l’Italia è un paese democratico perché tra le altre cose consente ai cittadini il diritto al voto; non dimentichiamo però che la partecipazione alle elezioni seppure importantissima da sola non è mai sufficiente perché si affermi e si consolidi la democrazia. Serve una partecipazione permanente dei cittadini intorno alle proposte e alle iniziative delle istituzioni.
Soprattutto nella fase attuale abbiamo bisogno di una svolta perché nel paese e particolarmente nella nostra regione cresce ininterrottamente il numero dei disoccupati, di coloro che non riescono più ad usufruire di un sistema sanitario adeguato, o a vivere in ambienti che non siano malsani.
Questi processi sono in gran parte causati dalla chiusura di tante fabbriche e dal ridimensionamento di diverse attività produttive. Vanno avanti da anni, colpiscono cittadini di qualsiasi età e intere famiglie che si vedono private dei beni essenziali. Pagano gli effetti della crisi soprattutto le nuove generazioni. L’unica alternativa che resta ai giovani è il lavoro precario oppure la ricerca di un lavoro all’estero.
Purtroppo gli ultimi rapporti dell’Onu confermano questa realtà. Viene ribadito che nell’ultimo decennio si è ridotta più di un quarto la produzione industriale. Che cosa significhino questi dati non è difficile capirlo: sono andati avanti i processi di impoverimento attraverso il coinvolgendo di strati popolari sempre più ampi.
Ma tutto ciò non preoccupa i teorici del liberismo e i sostenitori delle democrazie liberali i quali non smettono di esaltare le sorti dei paesi occidentali mettendo in risalto soprattutto le capacità creative del capitalismo e delle nuove tecniche dei sistemi produttivi. Sostengono queste cose con estrema sfrontatezza anche quando si rendono conto che il loro sistema di potere, così come è organizzato, non è altro che un inganno perpetrato a danno di intere popolazioni.
Anche per queste ragioni quando parliamo dell’opportunità di consolidare la consapevolezza dei nostri diritti vogliamo dare un’immagine realistica agli auguri che ci scambiamo nel corso delle festività di fine d’anno.
È intollerabile che le imprese preposte allo sviluppo delle attività industriali conducano il lavoro con noncuranza e, cosa ancora più grave, con la complicità di chi dovrebbe esercitare i controlli adeguati. È da decenni che le imprese che operano nell’isola svolgono un ruolo teso prevalentemente alla richiesta del denaro pubblico; tale richiesta è sempre più spesso accompagnata o dalla minaccia della chiusura delle fabbriche che gestiscono o dalla messa in cassa integrazione di numerosi lavoratori.
Spesso le stesse componenti politiche e sindacali accettano questi ricatti per il timore di compromettere ulteriormente le condizioni di vita di tante famiglie.
Ma se l’imposizione di un modello di sviluppo liberistico è considerato normale da chi governa l’economia, non è altrettanto normale la sua accettazione da chi invece dovrebbe contrastarlo. Questo limite purtroppo lo registriamo sia nelle scelte di quella che definiamo, forse impropriamente, sinistra storica sia in quella che altrettanto impropriamente viene considerata sinistra radicale. Anzi, quest’ultima spesso sbaglia ancor di più nel ritenersi l’unica portatrice del cambiamento.
Ritengo importante la risposta che Moni Ovadia ha dato al giornalista Russo Spena su Micromega quando questi gli ha chiesto un parere sul giudizio critico espresso dalla sinistra radicale sulle Sardine.
“Appartengo a quell’area, ha risposto Moni Ovadia ma, sommessamente, penso che la sinistra radicale prima di sentenziare sulle sardine farebbe bene a riflettere sui propri devastanti errori. Con quale titolo ora pontificano? In questi anni cosa ha fatto la sinistra radicale per questo paese oltre a raccogliere consensi da prefisso telefonico? Pensassero a seguire questo movimento, a starci dentro, non a giudicarlo con spocchia”.
Ecco, anche sulla base di questa intervista, ritengo che tutti coloro che intendono far avanzare e consolidare la democrazia dovrebbero confrontarsi senza altezzosità senza dimenticare chi è il nemico principale politico, istituzionale e portatore degli interessi del liberismo.
Questo articolo è stato pubblicato dal Manifesto Sardo il 2 gennaio 2020