di Sergio Caserta
“Sentinella, a che punto è la notte? La sentinella risponde: viene la mattina e viene anche la notte”. Il famoso salmo biblico di Isaia richiama un interrogativo di fondo che anima inquieta in questi anni bui i difensori a oltranza della democrazia, di fronte all’affacciarsi di cupi scenari sia sul teatro internazionale sia in quello interno.
La crisi dell’89, consacrata dalla caduta del muro di Berlino e sfociata nel crollo del sistema sovietico e nella fine dei due blocchi, ha determinato non ” la fine della storia” dichiarata da Francis Fukujama, bensì – come più lucidamente previde Colin Crouch – l’inizio dell’era della “post democrazia” ovvero il venir meno del sistema di tutele democratiche rappresentate dal compromesso keynesiano e poi socialdemocratico tra capitale e lavoro, e dalla crisi delle forme organizzate di rappresentanza politica dei diversi raggruppamenti sociali.
È stato l’incipit dell’era dello strapotere delle nuove oligarchie capitalistico-finanziarie, in grado di mettere in crisi le istanze di partecipazione democratica attraverso il controllo pieno delle élite politiche e leaders deboli ma esperti nelle tecniche di persuasione della comunicazione di massa.
Dalla fine degli anni Settanta è stato un crescendo: da Reagan e Thatcher, passando per Blair e Schroeder, per finire con Berlusconi che ne ha rappresentato la maschera farsesca e feroce, l’uomo del superamento di ogni idea di regolazione del conflitto d’interessi, delle leggi ad personam, l’uomo che ha ridotto la vita reale dentro un eterno show business, l’uomo dell’editto bulgaro con cui cacciò i giornalisti scomodi dalla RAI, il costruttore di una contro-sub-cultura mediatica che ha inondato le case e coscienze delle masse popolari con l’affermazione che non è la realtà il centro della comunicazione bensì la fiction e che ciò che viviamo è solo la rappresentazione del sogno televisivo cui assuefarsi, il blog in cui siamo costretti a nuotare come pesci nell’acquario. Berlusconi ha provocato più danni alla coscienza civile del Paese che le credenze superstiziose
L’idebolimento delle istanze democratiche ha contagiato molti sistemi, anche quelli ritenuti più solidi: osserviamo proprio oggi cosa accade in Francia, in Spagna e perfino nella regina delle democrazie occidentali, quella Gran Bretagna le cui secolari istituzioni sono scosse fino alle fondamenta dal pasticcio della Brexit (che, secondo il Guardian, insieme a Johnson sta berlusconificando la Gran Brestagna). , terremotate da un tale signor Farage che è stato in grado di squinternare la costituzione più solida del mondo ed ora con la vittoria di Boris Johnson diventa un fatto compiuto.
Intorno all’Europa democratica e malconcia, si agitano a ovest i fantasmi di Trump con i suoi muri, le sue macchinazioni e il tentativo di colpire a morte i principi di regolazione del potere tra le istituzioni che hanno retto gli USA anche in altri momenti difficili; mentre a sud del Texas, nelle sconfinate distese del centro e del Sudamerica, si riaffacciano striscianti o conclamati golpe che ripristinano regimi di polizia che stanno facendo a pezzi le pur timide e contraddittorie nuove esperienze democratiche dello scorso decennio: tra tutti s’impone come primo esponente dei circuiti reazionari internazionali Jair Messias Bolsonaro, Presidente del Brasile in odore di dittatura di fatto; a est, in Europa, i paesi del vecchio blocco sovietico sono egemonizzati da leader come Viktor Orbàn in Ungheria e Andrzej Duda in Polonia, propugnatori di forme di “democrazie illiberali”: su tutti, però, svettano Vladimir Putin in Russia e Recep Tayyip Erdogan in Turchia, veri campioni dell’autoritarismo che sfocia nella dittatura sostanziale, per non parlare delle drammatiche condizioni in cui versano i popoli in Paesi come la Siria, l’Iran, l’Iraq, l’Arabia Saudita, gigante economico e feroce dittatura medievale.
In questo quadro internazionale a tinte fosche, la situazione italiana è ancor più incerta e inquietante. Da circa due anni, l’unica forza politica in costante ascesa è la Lega di Matteo Salvini che, dopo un anno di governo con i M5S di cui ha provocato unilateralmente la fine, ha registrato ripetute vittorie elettorali nelle elezioni regionali ed in quelle europee di un anno fa, attestandosi nei sondaggi come primo partito con oltre il trenta per cento, spalleggiato dall’altra forza dichiaratamente di destra Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, anch’essa in recente e rutilante crescita.
Il miraggio dell’uomo forte, abilmente costruito intorno alla figura (in realtà molto più limitata) di Salvini, fornisce con un linguaggio assertivo e demagogico risposte semplificate, per lo più irrealistiche, ma orecchiabili, alle difficoltà in cui versa per diversi motivi una parte non minoritaria della società italiana.
Una vittoria di Salvini e della destra alle elezioni politiche aprirebbe, questa sì, una fase di incertezza per la nostra democrazia dal momento che – non essendovi soluzioni miracolistiche alle esigenze insoddisfatte della popolazione – la demagogia, la demonizzazione dei nemici, rappresentati da migranti, dalle sinistre, dai sindacati, dalla Costituzione, dall’Europa, spingerebbero tutta la situazione a destra verso sbocchi imprevedibili.
Non c’è il pericolo di un ritorno al fascismo, si affannano a dire gli opinion maker alla Bruno Vespa che, addirittura, certifica la democraticità della destra (e già questo dovrebbe preoccuparci), ma il fascismo (e in Germania il nazismo) non è cominciato con il manganello e l’olio di ricino, è iniziato proprio con l’avanzata di un populismo
strisciante, che ha accarezzato l’odio per il diverso e il debole, l’insofferenza per la democrazia, la rabbia sociale contro le istituzioni e il finto patriottismo.
Il fascismo conquistò il potere, sempre ben sostenuto dai poteri forti, attraverso la denigrazione degli avversari politici, con un atteggiamento protezionistico (o protettivo?) e paternalistico verso le pur giuste esigenze dei ceti popolari, cui molto si prometteva ma ben poco si concedeva.
Esistono a parer mio tre tipi di fascismo: il primo, quello oggettivo, è inequivoco e si estrinseca in atti che definiscono il contesto fascista: dal 1925, dopo l’omicidio di Matteotti, il fascismo gettò la maschera e mostrò il vero volto della dittatura con l’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” che sinteticamente identificano in modo inequivoco la nascita della dittatura (Mino Renzaglia https://www.mirorenzaglia.org/2008/06/il-fascismo-oggettivo/).
Il fascismo soggettivo è l’insieme dei concetti di rappresentanza, definizione e progetto politico che insieme costituiscono il suo complesso ideologico. Oggi sono ben visibili, perfino meglio che negli anni venti/trenta: nonostante l’ideologia fascista neghi l’esistenza di differenze di classe, il suo corpo sociale di riferimento è identificabile nel ceto medio colpito dalla crisi, che si contrappone al proletariato e ai migranti, come classi/fattori d’insicurezza e minaccia ulteriore per le proprie condizioni economiche, mentre verso la classe liberale capitalistica nutre sentimenti d’invidia ma di sottomissione.
La cultura fascista si nutre di vittimismo, misoginia, difesa dei privilegi dei propri rappresentati, insofferenza per le regole democratiche e per le istituzioni repubblicane, in primo luogo per estraneità totale alla Costituzione. Il simbolo di questa categoria di oppositori del sistema è identificato nel principio sommo del “NO alle Tasse”, paragonate al male assoluto, fonte della cupidigia statale e del parassitismo. Il fascismo soggettivo, insomma, è il culto della irresponsabilità dell’homo economicus versus il sistema pubblico ed il welfare state. Da qui l’esaltazione del condono, quale perdono estremo alle irregolarità e alle evasioni, soprattutto fiscali e contributive.
Il fascismo interiore è una forma di adesione, per lo più inconsapevole, almeno fino ad un certo punto, appunto ad un dominus che decide per noi ciò che è bene fare o non fare; è proprio di un popolo bambino che perde qualsiasi capacità critica e si predispone ad accettare il potere così come viene a configurarsi, anzi identificandosi con quel potere che emana appunto un “fascino macho e forte”.
“Non basta opporsi al fascismo all’esterno, bisogna combatterlo anche dentro di sé”. Lo diceva Arturo Toscanini, grande direttore d’orchestra e fervente antifascista. Toscanini, che era egli stesso d’indole forte e perfino autoritaria, individuava nella pulsione alla prevaricazione sugli altri, la propensione umana ad accettare la dittatura fascista. Il fascismo aveva liberato quella “bestia”, prevaricazione e violenza nei riguardi delle donne, degli oppositori, dei disabili, soggetti deboli perché diversi, per culminare nel razzismo contro Ebrei e Rom: quell’attitudine alla sopraffazione degli altri che può essere perpetrata da persone altrimenti considerate “normali”, perché senza idee quindi senza opinioni, per questo influenzabili fino al punto da essere portate ad accettare e anche a commettere ogni genere di crimine solo perché uno stato totalitario glielo impone, fenomeno come da nessuno analizzato nella “Banalità del male” di Hannah Arendt.
Contro tutto ciò è necessario un “ritorno della ragione”: hanno cominciato le sardine a risvegliare la voglia di opporsi all’onda montante, ora occorre che quel messaggio si traduca, se le forze politiche ne saranno capaci, in un progetto generale di ricostruzione del senso democratico e repubblicano costituzionale.
Questo articolo è stato pubblicato da Inchiesta Online il 22 dicembre 2019