di Domenico Gallo
Com’è potuto succedere che un “flash mob” convocato da quattro ragazzi con un messaggio via facebook a Bologna, il 10 novembre, in occasione della presenza di Salvini ad una manifestazione della Lega, abbia visto radunarsi dodicimila persone che hanno riempito Piazza Maggiore come non accadeva da decenni; com’è potuto succedere che questa autoconvocazione si sia ripetuta, con piazze strapiene, a Modena il 17 novembre, a Sorrento il 21, a Palermo il 22, a Reggio Emilia il 23, a Rimini il 24, a Parma il 25 e a Piacenza il 28 novembre, mentre la pagina facebook dei convocatori di Bologna in pochi giorni abbia raccolto 220.000 follower?
Se un qualsiasi partito o una qualsiasi organizzazione sociale di massa come i sindacati avesse lanciato un appello alla mobilitazione popolare per un fine politico o sociale specifico, si sarebbero riempite tante piazze con tanta partecipazione e tanto entusiasmo? La risposta è scontata: la crisi della partecipazione politica non avrebbe consentito a nessun soggetto politico o sindacale di organizzare una simile mobilitazione.
Non avendo i ragazzi di Bologna nessuna struttura organizzativa alle loro spalle, il loro flash mob è stato semplicemente una miccia che ha acceso un sentimento popolare diffuso. È stata una chiamata, in base ad un segnale d’allarme fondato su un comune sentire. L’evento veramente straordinario è stato la risposta impetuosa a questa chiamata di un popolo che sostanzialmente si è autoconvocato.
Noi ci troviamo in una situazione di disastro politico istituzionale che sta causando un diffuso imbarbarimento della nostra vita civile col rischio dell’avvento di una fazione politica intrisa di violenza e razzismo. Questa situazione ricorda – ovviamente in modo molto meno drammatico – la condizione dell’Italia dopo l’8 settembre 1943. Quando tutto era perduto, l’esercito regio si era squagliato, il nostro paese era funestato dalla guerra che entrava in ogni casa, invaso dalle truppe di occupazione tedesche e le classi dirigenti erano crollate sotto il peso delle loro infamie, allora si verificò il miracolo della resistenza. Si verificò quella chiamata misteriosa – di cui ci parla Piero Calamandrei – che raggiunse persone che non si conoscevano fra di loro, che professavano diverse fedi, che appartenevano a diversi ceti sociali ed avevano diversi orientamenti politici, ma ad un certo punto si adunarono insieme, convocati dalla stessa voce che parlava a ciascuno di essi.
“Nessuno aveva ordinato l’adunata, questi uomini accorsero da tutte le parti e si cercarono e adunarono da sé. (.) Questa chiamata fu anonima, non venne dal di fuori: era la chiamata di una voce diffusa come l’aria che si respira, che si svegliava da sé in ogni cuore, che comandava dentro. (.) Le fedi erano diverse, erano diversi i partiti: ma c’era una voce comune che parlava per tutti nello stesso modo: e la sentirono anche gli uomini che fino a quel momento non avevano appartenuto ad alcun partito, ad alcuna chiesa. (.) Qualcuno ha parlato di “anima collettiva”, qualcuno ha parlato di “provvidenza”, forse bisognerebbe parlare di Dio, di questo Dio ignoto che è dentro ciascuno di noi e parla contemporaneamente in tutte le lingue.”
Per questo, si sono riuniti in piazza Maggiore e si stanno riunendo in tante altre piazze italiane, si sono cercati e adunati, giovani ed anziani, uomini e donne, lavoratori e disoccupati, studenti e pensionati. Nessun partito li ha convocati ma tutti sono accorsi perché hanno sentito la stessa voce che parlava alla coscienza di ciascuno e chiamava all’azione, ad un impegno supremo per arrestare il declino e ristabilire le condizioni di dignità, onore, cultura e libertà nel nostro Paese.
Quell'”anima collettiva” che in passato generò il miracolo della resistenza, oggi può generare il miracolo di un profondo rinnovamento della politica, che ci conduca a ripristinare e dare nuova linfa vitale a quei beni pubblici repubblicani: dignità della persona umana, universalità dei diritti dell’uomo, uguaglianza, pluralismo, dignità del lavoro, partecipazione popolare, che sono la nostra ricchezza, il patrimonio di questa nostra Repubblica.
È compito della politica evitare che il messaggio di questo Dio ignoto non vada perduto. Potrebbe essere l’ultima occasione.
Questo articolo è stato pubblicato dal Corriere – Quotidiano dell’Irpinia il 29 novembre 2019