Bologna non abbocca e l'Emilia Romagna non si Lega

22 Novembre 2019 /

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di Bruno Giorgini
Bologna non abbocca e l’Emilia Romagna non si Lega. Sono i testi di due striscioni stesi su Piazza Maggiore piena di sardine, oltre dodicimila, forse quindici, mentre un corteo militante di tremila ragazze e giovani dei centri sociali traversa la città per andare a portare un festoso saluto a Salvini, asserragliato coi suoi manipoli, parecchi in meno dei cinquemila posti disponibili, al PalaDozza, se non fosse che s’è messa di mezzo la Polizia con gli idranti, e il lieto incontro non ha potuto avere luogo. Poco male: sarà per un’altra volta.
Voleva invadere Bologna Matteo Salvini, per liberarla dall’oppressione rossa, comunista, rimanendo invece con un palmo di naso in una città dove nessuno lo “ha cagato” (tipica espressione di Bologna la Dotta), essendo pur anche i suoi in buona parte importati da fuori, tanto che interrogato sulle ragioni dello sparuto numero al suo seguito, candidamente risponde : ci sono dieci pulman bloccati dai teppisti (i soliti centri sociali, la sua ossessione). Col che inanellando due gaffes clamorose. La prima dice che quindi si trattava di truppe camellate da lontano. Ma quando si scopre che dei dieci pulman non c’è traccia, ovvero che non esistono, il nostro si sotterra da solo, e fine della storia.
Invece andiamo in Piazza di fronte a S. Petronio e a Palazzo d’Accursio, dove troviamo migliaia di sardine. Dopo gli zingari felici la città felsinea inventa infatti il movimento delle sardine. Un pesce sociale che si muove rapido e sinuoso in branco. Quando incontra un predatore famelico e aggressivo, il branco assume naturalmente una configurazione che minimizza la superficie d’impatto, onde mandare a vuoto l’attacco. Si tratta di quello che i matematici chiamano “una configurazione topologica”, cioè non hanno bisogno le nostre sardine di comunicazioni dal vertice del branco fino all’ultimo pesce, ci vorrebbe troppo tempo. No, non appena una qualunque delle sardine percepisce l’aggressore (o gli aggressori) si muove in modo tale da diventare il capo branco, dando origine alla dinamica che rende possibile a lei, e a tutte le sue compagne, esperire la conformazione e via di fuga più efficace. Il branco può rarefarsi o compattarsi, assumere una configurazione a rete o a cloud (nuvola), disporsi in fila indiana o attorcigliarsi in nodi, insomma sperimenta tutte le geometrie più opportune per minimizzare il rischio. Una volta superata la situazione di pericolo, il branco assume una modalità più distesa e, per così dire, a maglie larghe.
Così nella sera del 14 novembre, rispondendo all’appello di quattro giovani, migliaia di sardine si sono affollate in piazza l’una accanto all’altra in una empatia generalizzata che rifiutava e escludeva gli invasori. Ci si riconosceva tutti/e figli/e della stessa terra, e in qualche modo legati dalla stessa civile convivenza e democrazia, nata dalla Resistenza e dalla Liberazione in quel lontano 25 aprile 1945. Altro che la liberazione incautamente evocata da Salvini, capo di una forza politica che non è più la vecchia Lega autonomista e/o secessionista, ma un partito nazionalista intriso di razzismo e xenofobia, di odio per l’Altro e il Diverso, pervaso da una volontà di esclusione dei poveri, con pensieri, linguaggi, comportamenti similfascisti, in alcuni casi nazisti (sincope di nazional populisti). Ma non è stato solo un istinto di autodifesa verso l’osceno invasore.
Nella piazza spira ottimismo. Sentimento oggigiorno raro assai. E comunità. La coscienza di avere un bene comune non solo da fruire, ma da costruire insieme. Non è ancora un discorso politico, tantomeno una politica, piuttosto un anelito, un bisogno di riconoscersi l’un l’altro e di esistere come corpo sociale comune costituito di individui ma non ognuno per sé, piuttosto un insieme di eguali. Una piazza dell’uguaglianza dove viene naturale presentarsi. Noi veniamo da Monghidoro. Abbiamo visto la televisione, e deciso di salire in macchina per venire. Voi? Noi da via Fondazza, più vicino, e si ride quasi fossimo ragazzini. Perché è pure una piazza allegra. S’immagina che se ci fosse la musica sull’intero crescentone, qualcuno potrebbe mettersi a ballare. D’altra parte l’impianto stereo piuttosto malfermo, non proprio un modelle d’efficienza per un pubblico tanto grande, manda le canzoni di Lucio Dalla, il cantore della città. Com’è profondo il mare. Il pensiero come l’oceano non lo puoi bloccare non lo puoi recintare.
Adesso comincia la battaglia elettorale. La piazza di Bologna deve riversarsi ovunque per respingere l’invasione leghista dell’Emilia rossa. Il nostro bene comune che non può essere saccheggiato dai lenzichenecchi salvinisti. Neppure sfregiato. Se mai dovesse accadere, la strada per il potere fascioleghista sarebbe spianata fino al governo del paese. In questa battaglia il ribelle e il democratico devono darsi la mano, senza annullarsi l’un con l’altro, ciascuno nei suoi modi, ma con la coscienza piena che respingere l’assalto della destra è destino comune e compito di tutti/e, in un impegno diretto, individuale e collettivo. Vincere è possibile. Qualcuno ha paragonato lo scontro alla battaglia di Stalingrado durante la seconda guerra
mondiale. Forse è un po’ eccessivo e retorico, però indubbiamente dobbiamo tutti avere una volontà determinata e una intelligenza acuminata, senza fare passi indietro o ingolfarci in lambiccati piani B. Aux armes citoyens, formez vos bataillons.
Che le sardine crescano e prosperino. Da piazza Maggiore a tutta l’Emilia Romagna. Almeno.
Questo articolo è stato pubblicato da Inchiesta online il 15 novembre 2019

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