di Maurizio Matteuzzi
A volte ritornano. Specie se si tratta dei peronisti, che da 75 anni dominano nel bene e nel male la scena politica argentina. E sono tornati. Con il duo Fernández-Fernández, Alberto presidente e Cristina vice. Semplice omonimia, nessuna parentela se non di partito, e anche quella da verificare dopo l’insediamento alla Casa Rosada del prossimo 10 dicembre. Perché il peronismo è un fenomeno misterioso molto studiato ma mai compreso fino in fondo – liquidato col termine semplicistico di “populismo” -, che al suo interno contiene tutto e il contrario di tutto.
Il risultato delle elezioni del 27 ottobre era scontato, dopo le primarie di agosto con il ticket peronista avanti di 15 punti e soprattutto dopo i quattro anni devastanti del presidente Mauricio Macri e del “macrismo”, neo-liberismo alla stato brado. Anzi il 48 a 40% finale è stata una sconfitta meno netta del previsto e se non altro, salvo sorprese dell’ultimo mese, ha rotto il tabù che voleva i presidenti non peronisti non riuscire mai ad arrivare al termine naturale del loro mandato.
Ma anche il voto argentino entra di diritto in quello che qualcuno ha definito “l’ottobre ribelle dell’America latina”. Solo l’ossessionato Mario Vargas Llosa può vederci dietro l’ombra di “agitatori venezuelani inviati da Maduro” che “non è impossibile” abbiano “dato una mano a Cristina Kirchner per il suo ritorno al potere”.
E solo l’immarcescibile FMI, nella persona di David Lipton, il direttore reggente, lo scorso luglio, in pieno disastro, dopo il mega-prestito di 57 miliardi di dollari, poteva azzardare che “l’economia mostra una graduale ripresa dalla recessione dell’anno passato e il Fondo sostiene fortemente questi importanti sforzi politici”. In realtà l’Argentina era a rischio di un nuovo default dopo quello terribile del 2002 che aprì la strada al peronismo in versione centro-sinistra, prima con Nestor Kirchner e poi con sua moglie Cristina.
La crisi globale e quattro anni di macrismo, “fortemente” sostenuto/imposto dall’FMI, dal 2015 hanno portato l’Argentina allo stremo. L’indebitamento sfiora il 100% del pil, in due anni il peso si è svalutato del 300%, l’iper-inflazione è dietro l’angolo, le privatizzazioni, le liberalizzazioni, i licenziamenti, la disoccupazione, la povertà di un argentino su tre, la corruzione… Macri aveva incolpato di tutto la gestione scriteriata e populista di Cristina, aveva promesso cambiamenti e felicità per i 45 milioni di argentini. E’ finita come è finita. Anzi non è per nulla finita.
E adesso? Quale dei due Fernández governerà? L’ex-capo di gabinetto di Nestor Kirchner Alberto, il presidente senza carisma ma pragmatico e conciliatore che è riuscito a mettere insieme – per il momento – tutte le rissose e contraddittorie anime del peronismo? O la fiammeggiante Cristina, l’ aggressiva e ingombrante vicepresidente, la amata e odiata “nuova Evita”? E cosa potranno fare? Per ora il loro programma è vago mentre la situazione è straordinariamente drammatica. L’Argentina resta sempre un mistero.
Questo articolo è stato pubblicato dal sito svizzero Area Online