di Fabio Vander
Sembra dalle cronache del Corriere della Sera che Franceschini sia ad un certo punto sbottato con Di Maio: “A saperlo, ci avrei pensato dieci volte prima di mettermi con voi”. E avrebbe fatto bene. Tocca fermarsi a riflettere sulla scelta che ad agosto ha visto il PD e gli scampoli della sinistra scegliere, dopo il fallimento del governo Lega-5Stelle, l’accordo di governo con i 5Stelle invece delle elezioni.
Un primo giudizio su quel giro di valzer lo hanno dato gli elettori umbri. Confermato da tutti i sondaggi. Perché non c’è stata nessuna “discontinuità”. Conte è rimasto, si è accettato il taglio dei parlamentari, sono rimasti i decreti-sicurezza di Salvini, è stato rinnovato l’accordo antimigranti con la Libia, si è accettata l’autonomia differenziata che mette in pericolo unità e solidarietà del Paese. Queste cose gli elettori di sinistra le sanno e le valutano.
Puntuale è giunto il riscontro di una (ex) “regione rossa”. Aver evitato il voto anticipato è stato un grave errore, che ha solo rilanciato e rafforzato Salvini. La Lega la si doveva battere nelle urne. Gli opinionisti più acuti lo avevano colto immediatamente, su tutti Emanuele Macaluso. Si trattava di approfittare della evidente debolezza di Salvini dopo che aveva fatto maldestramente cadere il primo governo Conte. Bisognava colpirlo con una manovra a tenaglia: da una parte i 5Stelle che lo attaccavano per aver ‘tradito’ il governo Conte, dall’altra il PD doveva sfruttare l’evidente fallimento della maggioranza giallo-verde. Salvini era sotto schiaffo, isolato nel suo stesso partito.
Poi durante la campagna elettorale si sarebbe potuta anche proporre agli elettori una futura maggioranza PD-5Stelle, che però a quel punto sarebbe stata legittimata dal voto e dunque plausibile politicamente. Si è preferita invece la somma aritmetica di forze che avevano solo paura di scomparire (dai 5Stelle dopo le Europee, a Renzi che prima si è assicurato il proseguimento della legislatura poi ha fatto la scissione, ai rimasugli di LEU). Una coalizione di sconfitti, nata per opportunità e calcolo. Il governo Conte due, presentato come una occasione di scomposizione e ricomposizione del quadro politico, non ha che accentuato la dissoluzione.
Adesso probabilmente il governo andrà avanti, sia per paura della rinnovata minaccia leghista, sia per le dinamiche innestate dal taglio dei parlamentari. Occorre almeno provare a sfruttare questa fase per impostare un discorso ormai ineludibile: quello della sinistra in Italia.
Da una parte il PD. Dopo la scissione, proprio il risultato umbro ha mostrato che il problema non era Renzi. Il problema è il PD come tale. La sua idea di politica, di democrazia, di centro-sinistra del XXI secolo. Lo stesso dicasi per la sinistra radicale. Occorre una cesura definitiva con tutta una generazione di suoi dirigenti. La decennale alternanza fra fasi di movimentismo antipolitico e politicismo subalterno al PD è stata micidiale. Ormai i sondaggi neanche segnalano più la sinistra. Giustamente.
Occorre un salto. Di idee e di proposte. Una iniziativa che metta nell’angolo residui come SEL-Sinistra Italiana, Articolo 1-Mdp, Rifondazione, che ormai non sono più una risorsa, solo un problema. È urgente una rifondazione della sinistra che, distinta da un PD riqualificato come centro democratico, promuova un nuovo centro-sinistra col trattino. Poi si potrà anche pensare ad un rinnovato patto di governo con i 5Stelle. Occorre intelligenza politica e visione strategica, altrimenti Salvini più che un pericolo sarà un destino.
Questo articolo è stato pubblicato da Left.it