di Paolo Branca
Sarà anche vero – come ha detto il premier Giuseppe Conte – che l’Umbria ha meno abitanti della provincia di Lecce: il punto è che è difficile immaginare un esito elettorale diverso anche in aree più popolate del Paese… Tutto è andato come previsto, purtroppo, forse peggio. Ma non per questo le conseguenze della sconfitta della coalizione centrosinistra-5 Stelle in Umbria saranno meno gravi. Non si tratta solo dell’ennesima Regione – per giunta uno dei presìdi storici della sinistra – a finire nel bottino della destra sovranista. C’è anche la conferma che la nuova alleanza giallo-rossa (più Renzi) al governo non riesce a prendere quota e consistenza. E anche se le attenuanti non mancano (il dato elettorale di partenza favorevole alla Lega e al centrodestra, il poco tempo a disposizione dell’inedita coalizione anti-sovranista e dello stesso candidato Bianconi, scelto quasi in extremis) la sconfitta è nettissima e rischia di lasciare un segno profondo.
Tanto più se le reazioni saranno quelle che si sono sentite nelle ore immediatamente successive allo scrutinio: nell’ordine, sottovalutazione (Conte), retromarcia radicale sulle alleanze sul territorio (Di Maio), presa di distanza (Renzi), senso di rassegnazione rispetto all’alleanza (Zingaretti).
Per raddrizzare una situazione che ai più appare ormai compromessa servirebbe una svolta, a cominciare dall’azione di governo. Il punto è che una componente (il Pd) la sollecita a sinistra, l’altra (i 5 Stelle, o meglio la loro leadership) a destra. Un esempio? L’immigrazione. Non è un mistero che persino sul superamento dei decreti sicurezza – nonostante i rilievi del Quirinale e i dubbi di costituzionalità della gran parte dei giuristi – si proceda lentamente e con grandissima prudenza: anche perché quei decreti xenofobi e illiberali i 5 Stelle li hanno condivisi e difesi fino all’ultimo nel precedente governo. E non è un caso che nel Parlamento europeo i mancati voti grillini siano stati determinanti nella sconfitta della risoluzione dei verdi e dei socialisti favorevole ai “porti aperti”. Qualcosa di non troppo dissimile avviene sul tema dell’evasione: una battaglia che Di Maio e soci combattono solo a parole, con misure demagogiche (8 anni di carcere per i grandi evasori), ma lasciando di fatto prosperare l’evasione diffusa: l’avversione ai limiti del contante occhieggia in fondo non poco alle posizioni di Salvini e del centrodestra.
Probabilmente sta qui, nelle profonde differenze di cultura politica, il problema di fondo dell’alleanza anti-sovranista. Per usare una espressione in voga, non si vede l’amalgama. Sembra complicato in queste condizioni non solo costruire un’alleanza strutturale ma dotare il governo di una missione che non sia solo quella di neutralizzare Salvini.
La campana umbra comunque è suonata per tutti, anche se con toni diversi. Chi esce peggio è certamente il M5S, ormai ridotto – come in altre aree del Paese – a quarto partito, superato anche da Fratelli d’Italia. Il Pd, tutto sommato, ha tenuto i suoi voti, pur in presenza dell’ennesima scissione: ma è una magra consolazione, rispetto alla catena di sconfitte che ormai si trascina da troppo tempo. E Renzi non può coltivare grandi illusioni: essere rimasto fuori dalla foto dei leader a Narni non basta certo a tenerlo fuori dalla sconfitta. Ieri – nelle prime dichiarazioni sul voto – il capo di Italia Viva è sembrato molto scettico sulle capacità di leadership di Giuseppe Conte: eppure durante le trattative per il governo giallo-rosso era stato proprio lui a insistere col suo partito (allora il Pd) perché accettasse di non cambiare l’inquilino di Palazzo Chigi… In fondo la stessa tenuta dei democratici, nella sconfitta, non è per l’ex premier una buona notizia: fare come Macron, annientare il suo ex partito per affermarsi, appare una strada sempre più in salita.
Questo articolo è stato pubblicato da StrisciaRossa.it il 28 ottobre 2019