di Barbara Spinelli
La neonata coalizione M5S-Pd giunge più che opportuna, perché sgrava l’Italia del pericolo autoritario rappresentato dal potere esorbitante di Salvini: un politico al tempo stesso imprevedibile, indifferente alla Costituzione e alle leggi internazionali, e tuttavia fortemente carismatico.
Ma discontinuità è parola vuota, se fin dall’inizio non viene chiarito cosa comporti precisamente per ambedue gli alleati, e non solo per uno di essi. In linea di principio dovrebbe facilitare una correzione di rotta rispetto alla difficoltà del governo precedente di attuare una politica sociale finalmente egualitaria; la riforma giudiziaria dell’ex ministro Bonafede; la lotta all’evasione e alle opere inutili; una politica migratoria e di sicurezza in linea con la Costituzione e la Carta europea dei diritti. Senza accordo in questi campi, l’esperimento non potrà riuscire né durare. Vale dunque la pena definire nel dettaglio le condizioni dell’accordo.
In primo luogo, dovrebbe cambiare il modo monotono di raccontarlo: non si può insistere sullo “stato di necessità”, presupponendo che i due consociati restino quel che sono, essendosi solo fortunatamente addizionati per evitare che Salvini prendesse “tutti i poteri”. Considerate le storie sia del Pd sia del M5S, la loro cultura e i loro elettori (soprattutto quelli perduti), accanto alla Necessità c’è il regno della Libertà affidato a ciascuno di essi: libertà di capire perché le due forze sono collassate, e come la conoscenza dei fallimenti possa esser tesaurizzata per dar vita a nuove sperimentazioni. Questo per me vuol dire essere “elevati”.
Se tale è l’obiettivo, quel che occorre è una veduta lunga e una memoria non pudibonda. Il M5S ha perso alle Europee 6 milioni di voti rispetto al 2018: oltre 3 milioni si sono astenuti; non ci sono travasi verso il Pd. Secondo l’Istituto Cattaneo, inoltre, la fuoriuscita di alcuni elettori dal M5S verso la Lega ha spostato gli equilibri elettorali interni al Movimento, rafforzando le componenti di chi si colloca a sinistra o che rifiuta tout court le categorie di destra e sinistra (lo slogan “né destra né sinistra” è il più delle volte una rivolta contro l’identificazione quasi trentennale della sinistra classica con la destra).
Questi nuovi equilibri, osserva l’Istituto, potrebbero facilitare una convergenza con il Pd, allargando l’area di sovrapposizione elettorale fra i due partiti. L’emorragia dei Democratici ha una storia più lunga: dal 2008 il loro elettorato s’è dimezzato, e se alle Europee il Pd ha contenuto le perdite, non ha attratto nuovi elettori. Stando all’Istituto Cattaneo non si registrano significative conquiste/riconquiste di elettori 5stelle, a parte rari collegi. Entrambi i partiti sono puniti dall’elettore, e per l’uno come per l’altro si tratta di recuperare la fiducia dissipata, di riaprire strade che hanno chiuso o mai schiuso, di spiegare a se stessi e agli italiani come intendono mutare. Di comprendere la punizione, imparando a conoscere più a fondo se stessi. Nelle tragedie greche quando c’è punizione o precipiti, o esci dall’alto con una conversione/catarsi.
La catarsi è un rinnovamento radicale del modo di agire, e vedere-ascoltare l’Altro: cosa possibile, visto che gli elettori dei due raggruppamenti hanno molte cose in comune. Il M5S è nato con un rifiuto netto, detto anche “vaffa”. Ma vaffa a che? Alle rinunce, ai voltafaccia, alla vasta diserzione delle élite di sinistra cominciata negli anni 90 quando nacque la Terza via di Blair e di Schröder, dei socialisti francesi, spagnoli e greci. I parametri di Maastricht e l’austerità sono figli di un’involuzione costata cara alla socialdemocrazia europea. Il rinnovamento è realizzabile se in questo processo di conoscenza i pensieri dei due associati – insieme a LeU – prendono la decisione di contaminarsi l’un l’altro.
Non per farsi concorrenza o mascherarsi, ma per convincere gli elettori che i fallimenti hanno insegnato qualcosa. Frasi come quella di Zingaretti dopo le Europee (“Il Pd è l’unica alternativa a Salvini”) sono scriteriate. Contaminazione non è intossicamento né perdita di immaginarie purezze. È ibridazione, assorbimento di temi, scoperta o riscoperta di temi diversi dai propri o abbandonati. Nel caso di formazioni che hanno elettori contigui e analogamente delusi è una via da esplorare. Così intesa, la contaminazione potrebbe iniziare su alcuni temi (includendo anche idee che attraggono elettori verso la Lega).
Europa: è evidente che l’europeismo ha il fiato corto, e lo scetticismo ha le sue ragioni d’essere (non l’eurofobia). Nella passata legislatura europea non c’è stata resipiscenza, anche se l’imminente recessione potrà invalidare numerose rigidità. Alla Bce andrà Christine Lagarde, che promette cambiamenti ma come direttore generale del Fmi ha fatto naufragio almeno due volte: prima in Grecia – con Bce e Commissione Ue- poi in Argentina. Da Draghi non si sono sentite autocritiche sulla Grecia umiliata. Solo Juncker ha fatto un’autocritica (giugno 2018): erano parole al vento.
Sovranismo (e populismo): sono contumelie banali, che omologano scorrettamente M5S e Lega. Andrebbero bandite comunque. Come spiega bene Carlo Galli nel libro Sovranità, la sovranità non solo è compatibile con democrazia, ma ne è il presupposto. I popoli hanno bisogno di sapere chi decide, rende conto, paga gli errori. Sovranità democratica e non assoluta è protezione fisica e promozione sociale della persona: ha prodotto il nazionalismo ma anche lo Stato sociale (il cosiddetto “compromesso socialdemocratico”).
Ci può essere delega di sovranità – verso l’Unione – ma essa non deve essere in contraddizione con la giustizia e la pace ottenute tramite la sovranità dello stato. Ci sono poi sovranità extra-europee: dei mercati e delle leggi internazionali. La prima va rimessa al suo posto. La seconda va imperativamente rispettata, ma nella consapevolezza che esistono aporie da dirimere. La stessa legge internazionale le riconosce. Il diritto a lasciare il proprio Paese è garantito a tutti (Dichiarazione universale dei diritti umani, art 13), ma la Convenzione di Ginevra fissa le condizioni di accoglienza. Altra cosa il salvataggio in mare e i porti sicuri, incondizionati per legge.
Migrazione e stato sociale: le due cose vanno affrontate insieme. Quando il ministro Minniti disse che la migrazione aveva provocato una bomba sociale invertì proditoriamente la sequenza. È stata la bomba sociale della diseguaglianza e dell’impoverimento a riaccendere la xenofobia e la sensazione che l’arrivo di migranti (minimo in Europa, la maggioranza è in Africa e Asia) avrebbe disfatto la protezione sociale degli italiani. Il sociale deve esser definitivamente affrontato se si vogliono politiche migratorie aperte. Tra l’altro qui l’ibridazione è già fatta, e male. Sostanzialmente le politiche di Renzi-Gentiloni-Minniti hanno preparato quelle di Salvini. Il memorandum che codifica i respingimenti nei lager libici e l’offensiva contro i salvataggi delle Ong sono opere di Minniti.
Corruzione-prescrizione-leggi bavaglio: il M5s ha fatto importanti progressi in questo campo, che Salvini si riprometteva di frenare. Se il Pd introduce freni simili non c’è discontinuità.
Democrazia diretta: la piattaforma Rousseau è difettosa, ma la discussione sulla democrazia diretta è oggi ricorrente in Europa (l’Estonia è all’avanguardia). Continuare a demonizzarla nasce da un’ignoranza militante molto italiana. Nel Parlamento europeo se ne è discusso seriamente nell’ultima legislatura, considerandola un complemento innovativo alla malmessa democrazia rappresentativa, che però nessuno vuol sostituire.
Radicamento nei territori e opere pubbliche: qui l’ibridazione può essere reciproca. Anche se indebolito, il radicamento locale del Pd è vivo, e apprendibile da 5stelle. L’ambizione maggioritaria di Veltroni affossò il governo Prodi. Può affossare anche i 5stelle. Le due forze non possono costruire da soli governi nazionali e neanche locali. Sulle opere pubbliche, invece, è il Pd a dover considerare le rivolte che vengono dai territori (trivelle, Tav).
Politica estera-Russia-Venezuela-Nato: il M5S, in Europa, è stato più aperto dei socialisti sulla Russia, e più critico delle soperchierie in Venezuela dei neocon Usa. Putin passerà, e la seconda guerra fredda con la Russia va fermata. Se Nato e Usa si oppongono, le litanie sulla fedeltà atlantica diventano nefaste.
Questo articolo è stato pubblicato dal Fatto Quotidiano l’11 settembre 2019