di Maria Cristina Fraddosio
Un’analisi chiara ed eterogenea di un’epoca che si appresta a finire, portando con sé nel baratro anche un vocabolario svuotato e mutato nel segno. L’ultimo libro di PierFranco Pellizzetti, Il conflitto populista, è un saggio complesso che restituisce al lettore lucidità consentendogli di districarsi tra appropriazioni indebite di terminologie che nascondono interessi privati e fenomeni in cui l’ambizione democratica si fa sempre più pressante.
L’autore parte dalla presa di coscienza di un mutamento, dall’elaborazione di un lutto. Lo stesso che Rutilio Namaziano, considerato l’ultimo poeta latino, descrisse nel De Reditu suo, amareggiato per la decadenza dell’impero romano d’Occidente. Lasciava Roma, invasa dai Goti di Alarico, alla volta della Gallia, con un senso di malinconico smarrimento.
Pellizzetti si dice pervaso dalla stessa tensione che lo spinge a intraprendere “un viaggio nell’imbarbarimento”. La crisi generalizzata del mondo anglosassone, fulcro del modello di eredità novecentesca vigente, ha portato all’inarrestabile consunzione del progetto di un progresso benevolo e inclusivo, finalizzato a creare “un vasto spazio sovranazionale di pace e cooperazione”. Delle forze politiche di un tempo non restano che scampoli. Prevale la mediocrità. Resta al potere una corporazione postdemocratica autoreferenziale. Il lavoratore è ridotto a mero consumatore. L’egemonia della finanza si è mutata in cleptocrazia. Dietro la logica di una maggiore sicurezza, si sono insinuate politiche di sorveglianza atte a indurre paura.
Questo è lo scenario che l’autore descrive dando avvio a una disamina dei vocaboli utilizzati dal potere, in modo manipolatorio, attraverso pratiche demagogiche. Da Donald Trump a Boris Johonson. Da Viktor Orbán a Beppe Grillo. Emerge così da un lato la spinta sovranista dilagante, ripiegata sull’ideale nazionalista. Dall’altro il suprematismo, che altro non è che razzismo. E infine il populismo, vocabolo che – secondo Pellizzetti – i vertici della piramide sociale usano in senso denigratorio per preservare le disuguaglianze. Ma il populismo vero è rappresentato dai movimenti popolari che fanno sempre più irruzione sulla scena pubblica. L’autoritarismo dilagante può, quindi, trovare un argine negli antagonisti, bollati come populisti, che in questa fase di svuotamento dell’assetto democratico, potrebbero aggregare i diversi interessi reali al fine di realizzare un’AltraPolitica che rifondi la democrazia.
Questo articolo è stato pubblicato da Fatto Quotidiano il 14 maggio 2019