A difesa della Carta restano gli studenti

23 Maggio 2019 /

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di Tomaso Montanari e Francesco Pallante
Il caso della professoressa Rosa Maria Dell’Aria, colpita da sanzione disciplinare perché avrebbe omesso di vigilare sul contenuto di un lavoro dei suoi studenti è di inaudita gravità: perché chiama in causa fondamentali principi costituzionali, quali la libertà di insegnamento (art. 33), il diritto all’istruzione (art. 34), la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21). Si tratta di diritti che Norberto Bobbio considera presupposti necessari a rendere realmente tale una democrazia. Vengono, inoltre, in evidenza le disposizioni costituzionali per le quali i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica (art. 54) e i pubblici impiegati quello di porsi all’esclusivo servizio della Nazione (art. 98). “Repubblica” e “Nazione”: non “governo” né, tantomeno, singoli “ministri”.
E quei ragazzi che, in una scuola della Repubblica, imparano a usare gli strumenti della filologia e della storia, e li usano per dimostrare le matrici fasciste di leggi, politiche, atteggiamenti attuali, avverano ciò che, in assemblea Costituente, prospettava Concetto Marchesi: è “nella scuola il presidio della Nazione”.
Una Repubblica – è necessario ribadirlo? – che la Carta fondamentale connota in senso antifascista (XII disp. trans. fin.) e costruisce sull’uguaglianza e la non discriminazione di tutti gli esseri umani (art. 2 e art. 3). E una Nazione definita non certo in base alla purezza del sangue della stirpe che la popola, bensì al paesaggio e al patrimonio storico e artistico forgiato dalle innumerevoli popolazioni che nei secoli hanno calcato, modellandola, la Penisola (art. 9): una Nazione, in altre parole, intesa come costruzione artificiale, aperta, in perenne trasformazione.
La distanza dal fascismo non potrebbe essere più grande. Rendendo gli ebrei una sottocategoria di cittadini, le leggi razziali avevano affermato un’idea di Nazione intesa come dato naturale, chiuso, immodificabile. Per mantenerne la genuinità occorre isolare gli elementi impuri: riservando loro uno status giuridico separato prima ancora che relegandoli fisicamente in luoghi destinati soltanto a loro. Lo scopo dichiarato dell’intera legislazione razziale è esattamente questo: intervenire a difesa della razza italiana, per proteggerla da ogni possibile minaccia di contaminazione.
L’idea di cittadinanza è indissolubilmente legata a quella di uguaglianza. Se l’autorità può di più o di meno nei confronti di qualcuno, allora a rilevare è il privilegio di chi ha meno doveri o più diritti, vale a dire, lo status che differenzia il privilegiato rispetto agli altri. Esattamente com’era prima del 1789. Ed esattamente come ora, in Italia, dispone l’art. 14, co. 1, lett. d), del decreto-legge n. 113 del 2018, convertito nella legge n. 132 del 2018 (decreto sicurezza o decreto Salvini).
Tale disposizione introduce un’inaudita discriminazione all’interno della categoria dei cittadini, basata sulla possibilità, in caso di condanna definitiva per reati di matrice terroristica, di revocare la cittadinanza a coloro che l’hanno acquisita nel corso della loro esistenza e non anche a coloro che cittadini lo sono per nascita da genitori italiani. Come a dire: anche una volta acquisita la cittadinanza, lo straniero non potrà mai essere realmente ritenuto un italiano come gli altri (perché non ha sangue italiano nelle vene). Lo scopo è lo stesso di un tempo: la difesa degli italiani, quelli veri. Quando si tratterà di punire il responsabile di talune condotte criminali, a venire in luce non sarà, dunque, quel che egli ha compiuto, ma chi è. Il punto è decisivo: la stessa azione sarà punita diversamente a seconda di chi ne è l’autore, in clamorosa violazione del principio di uguaglianza formale sancito dall’art. 3, co. 1, Cost. Chi replica che l’ordinamento già prevedeva ipotesi di revoca della cittadinanza non coglie nel segno, perché quelle ipotesi valevano (e valgono) tanto per i cittadini dalla nascita quanto per quelli che lo sono diventati nel tempo: non creano una categoria di cittadini di secondo rango, come invece fa il decreto Salvini. Che è, sostanzialmente, una legge razziale: perché discrimina in base al sangue. Ed è una legge totalitaria, perché può togliere la cittadinanza italiana anche a chi non ne ha più un’altra: creando apolidi privi del “diritto di avere diritti”.
Siamo al cospetto del più grave scostamento dal quadro costituzionale mai verificatosi nella storia repubblicana. La questione è a tal punto delicata che in Francia ben due Presidenti della Repubblica – Sarkozy, prima, Hollande, poi – sono stati costretti a rinunciare all’introduzione di norme analoghe. Da noi, il presidente della Repubblica è rimasto in silenzio. Per fortuna, a levare la voce a garanzia della Costituzione ci hanno pensato gli allievi della professoressa Dell’Aria.
Questo articolo è stato pubblicato dal Fatto Quotidiano il 18 maggio 2019

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