La rivoluzione sudanese (2018-2019) nello scacchiere regionale e internazionale

21 Maggio 2019 /

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di Giovanna Lelli per il Comitato Europeo di Solidarietà con il Popolo Sudanese
La rivoluzione sudanese scoppiata il 19/12/2018 in seguito alle misure di austerità del governo del presidente al-Bashir (1989-2019), blocca fino ad oggi l’intero paese con manifestazioni di massa [1]. Da un lato i rivoluzionari (le classi popolari, medie e l’intellighenzia progressista), dall’altro il regime costituito da un’oligarchia economico-militare-islamista corrotta. I rivoluzionari, dapprima movimento spontaneo, sono ora rappresentati dalla Alleanza Libertà e Cambiamento (ALC), coalizione di numerosi partiti democratici di opposizione in cui gioca un ruolo di primo piano il sindacato dei Professionisti Sudanesi (SPA). Con le loro richieste di pace, libertà e giustizia sociale, essi sono i protagonisti di una nuova ondata della primavera araba, come mostra l’estendersi delle proteste all’Algeria (febbraio 2019) e allo stesso Sud del Sudan (maggio 2019).
L’ 11 Aprile un gruppo di militari golpisti interni al regime annuncia l’arresto di al-Bashir, la dissoluzione del parlamento e un governo di “transizione”. Concessione verso le forze popolari, gran parte dei prigionieri politici vengono liberati. Alla testa della nuova giunta all’ora attuale figurano il generale Burhan e il suo vice Hamdan Dagalo, già a capo delle milizie janjawid accusate dalla Corte Penale Internazionale di crimini di guerra e genocidio in Darfur (2003-2008). L’ ALC rifiuta categoricamente il golpe e esige il trasferimento del potere ai civili. Iniziano allora dei complessi negoziati fra la giunta, che detiene la forza economica e militare, e l’ALC che ha dalla sua parte le masse rivoluzionarie pacifiche e disarmate. L’ALC, che gode dell’appoggio morale dei gradi inferiori dell’esercito, non cede a provocazioni (uccisione e ferimento manifestanti da parte di “forze irregolari”), ed è pronta ad accettare un accordo di compromesso su un governo e un parlamento di transizione a maggioranza civile.
I rivoluzionari sudanesi si muovono su un complesso scacchiere regionale e internazionale che può essere definito come la guerra fredda mondiale fra Cina (e Russia) da un lato e USA dall’altro. Nel 1993 l’amministrazione Clinton inserisce il Sudan nella lista dei paesi sponsor del terrorismo. Cresce poi il sostegno USA alla secessione del Sud del Sudan (2011), dalle importanti riserve petrolifere, sebbene le raffinerie di trovino al Nord. Si intensificano nel frattempo i rapporti fra Sudan e Cina e fra Sudan e Russia.
Il Sudan, per le riserve di idrocarburi del Sud e l’accesso al mar Rosso del Nord, è paese-chiave nella Nuova Via della Seta cinese in Africa Orientale. La Cina costruisce la ferrovia Khartoum-Port Sudan e la diga di Merowe (350 Km a nord di Khartoum). Grazie agli investimenti cinesi il Sudan fa fronte alle sanzioni USA (2016). Nel 2017 la Cina installa una base militare nella vicina Gibuti, che ospita anche una base militare americana. Dal canto suo, anche la Russia intensifica i rapporti con il Sudan (nel 2017 ottiene una concessione per l’esplorazione dei minerali) e sarebbe interessata a installarvi una base militare (Tass, 21 aprile).
Nel 2017 gli USA levano l’embargo al Sudan, e contemplano la possibilità di togliere il paese dalla lista degli sponsor del terrorismo. Nel 2014 la Corte Penale Internazionale aveva sospeso le indagini relative al mandato d’arresto nei confronti del presidente al-Bashir accusato crimini di guerra e genocidio in Darfur.
Mentre Arabia Saudita e Emirati Arabi annunciano 3 miliardi di aiuti alla giunta golpista, le attuali trattative fra questa e la ALC sono accompagnate da un crescente sostegno diplomatico da parte di ONU, Unità Africana, Unione Europea e USA. Il sostegno diplomatico USA a una soluzione civile e “democratica” della crisi sudanese sembra rispondere sia alla loro al desiderio di limitare l’influenza cinese e russa in Africa orientale che alla necessità immediata di un Sudan stabilizzato nella prospettiva di un possibile attacco militare all’Iran (nel maggio 2018 gli USA si ritirano dall’accordo sul nucleare iraniano, e nel maggio 2019 annunciano il dispiegamento della portaerei Lincoln nel Golfo) [2].
I rivoluzionari sudanesi, dotati di un programma pacifico e progressista, potrebbero trarre beneficio da questa delicata situazione contingente e, una volta al potere, affrontare i complessi problemi interni e internazionali del lungo periodo.
Note

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