We insist, l'arte di fare centro in periferia: i 25 anni di Laminarie e 10 di Dom

13 Maggio 2019 /

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di Silvia Napoli
Mi rendo conto di quanto possa apparire strano scrivere partendo dal presupposto di presentare quello che si preannunciava come lo spettacolo –manifesto della spericolata attitudine ad una assertività critica, limen sempre più esiguo da percorrere e scavallare alla bisogna, da parte della compagnia Laminarie, titolato con sacralità giullaresca Invettiva Inopportuna. Spettacolo che, invece, causa un infortunio occorso al suo artefice Febo del Zozzo, non si farà per il momento.
Nello stesso tempo, rifletto sul fatto che questa mancanza, simile al non avere la ciliegina in cima alla torta e possiamo ben dirlo, ricorrendo contemporaneamente ben due anniversari, quello della Compagnia e quello della struttura Dom al civico uno di via del Pilastro, mi consenta di cercare di fare una riflessione con voi lettori e spero anche frequentatori di questa “situazione”, su un particolare tipo di resilienza ben interpretato dalla compagine Laminarie ed evidentissimo in questa tranche d ella loro stagione inauguratasi il 30 marzo e destinata a concludersi solo alla fine di giugno
Per esempio resilienza ai rovesci di fortuna, ai paradossi del politichese, alle contraddizioni stesse insite nella pratica culturale di ogni giorno, come le recenti e caldissime vicende del salone del Libro di Torino stanno del resto a dimostrare, resilienza e fedeltà alla propria ispirazione anche in una solitudine non voluta, ma accettata come prezzo da pagare, resilienza al proprio stesso errore, ad un ubi consistam mai concepito come scontato e mai vissuto come Fortezza Bastiani in mezzo ad un presunto ghetto, come le semplificazioni giornalistiche tendono sbrigativamente ad etichettare e forse involontariamente mitizzare, tutto ciò che dista da un centro sempre più bulimico di tutto e del suo contrario.
Il paradosso fa parte di tutta questa stessa vicenda, legata come essa è a tutte le strumentalizzazioni del discorso Periferie, discorso che spesso, anche quando esiste ed agisce, tende a cristallizzarle senza invece leggerne il dato dinamico e poroso ai mutamenti sociali ormai divenuti indecifrabili per i commentatori più distratti e ossessionati dal dover dire più che dal dover essere e fare coerentemente. Il paradosso sta tutto dentro le stesse convinzioni dei nostri,sull’inutilità dell’Arte o il suo tendenziale nomadismo in un contesto in cui invece da un lato, tutto quel che si fa viene messo in conto e deve fruttare in qualche modo anche solo un ritorno d’immagine ed ha, oggettivamente, una valenza simbolica forte.
D’altro canto, è proprio l’habitat operativo a richiedere un riscontro in termini di efficacia e una pratica da giardinieri tenaci e costanti, anche quando, ad esempio, risorse e contribuzioni che appunto, la situazione merita, prima ancora della compagine che le gestisce, vengono inopinatamente a mancare. E da parte di soggetti istituzionali diversi e con motivazioni diverse, salvo parziali correzioni di rotta all’ultimo momento, che non mutano un quadro di instabilità e fragilità, generalizzata, d’altro canto, nel mondo delle attività culturali: ma avremo modo nel prossimo futuro di approfondire ancora questi discorsi.
È un fatto che sarebbe inesatto definire il Pilastro il migliore dei mondi possibili, ma quando in questi giorni di primavera si raggiunge il complesso delle cupole, già sede gloriosa di diverse funzionalità aggregative di Quartiere, salutato a suo tempo nella rinnovata veste “avanguardistica”, una decina d’anni orsono, dalla stampa locale e con qualche ragione, un esempio di Bologna che ci piace, l’impatto è dei più gradevoli:si arriva in una sorta di radura di pianura assaltata da colori e profumi, dove, mi assicurano dimorare persino dei “bambi” in linea poetica perfetta con i plessi scolastici che fanno parte integrante del paesaggio insieme agli impianti sportivi.
Altrettanto vero, che le durezze di una lunga storia non più ormai solo gestionale, ma di una piccola, fervida comunità realmente multietnica che considera Dom una parte costitutiva della sua quotidianità e ne rispetta lo status di luogo depositario di rituali laici condivisi, non abbattono, ma spronano invece a rilanciare, tutti i membri della Compagnia che si vivono come famiglia allargata, circondati come sono, spesso e volentieri da bambini e adolescenti grazie ai numerosi laboratori e alle numerose attività ad essi dedicate che qui si svolgono.
Cosi è infatti quando arriva la sottoscritta per parlare di questa programmazione e dunque, mi si presenta in primis una accezione vagamente alla Truffaut del suo suggestivo titolo Gli anni incauti, essendo in corso una residenza creativa per la quale questa definizione una volta tanto non appare una griglia burocratica delle solite, condotta da Panagiota Kallimani, che coreografa 20 bambini del quartiere tra il 6 e il 13 maggio, con resa pubblica in due repliche alle 19 e 19 e 30 il giorno 14 maggio.
Qui si evidenziano già due caratteristiche non proprio di comodo del modo di concepire la politica culturale da parte di Dom: la prima, andare a vedere e scegliersi personalmente i talenti il cui lavoro meglio sposi l’attitudine di confine e ibridazione che è il vero genius loci. Una attitudine che, di nuovo, nel mainstream non solo dei bandi di finanziamento, ma anche delle forme di politicamente corretto pedagogico, che tendono conformisticamente a proporre contenuti virtuosi, rimuovendo lo scandalo degli inappropriati in maniera meccanicistica, risulta abbastanza sdrucciolevole per garantirsi uno status continuativo di stagioni azzeccate, che funzionano.
L’altra, quella di saper ben rendere plasticamente l’antico adagio “se la montagna non va a Maometto, Maometto andrà alla montagna”, nel senso che si intende lo stare nel quartiere come esperienza niente affatto chiusa, ma apertissima a questo mondo apparentemente sempre più vicino e amichevole, in realtà poi cosi difficoltoso da raggiungere a livello dello scambio fecondo e reciproco.
Tutta questa stagione di primavera-estate, lungamente introdotta da iniziative diversificate, che sottolineano la vocazione di servizio in senso alto, complesso e non consolatorio offerto al quartiere e contemporaneamente il rendere servizio alla propria vocazione di mappatori del territorio, cacciatori di talenti e tesori nascosti nelle pieghe della prima età, appassionati di cinema non per caso, che ha avuto un suo primo picco nella particolarmente sentita edizione del Patto di quest’anno, ovvero la consolidata tradizionale lettura a staffetta con possibile commento degli articoli costituzionali officiata dai cittadini dai 5 ai 90 anni e avrà anche una appendice sempre filmica open air in luglio, si snoda lungo due binari divergenti e complementari.
Da un lato, la forte valenza aggregante e liberatoria seppure entro canoni ben definiti, affidata alla danza, al movimento corporeo che si concretizzerà dopo Kallimani con un laboratorio rivolto agli adolescenti, per adolescenti che non si vogliono sdraiati, dal significativo titolo esortativo:Alzati!, svolto a fine maggio dalla eccellenza internazionale ormai tutta bolognese Simona Bertozzi negli ultimi giorni di maggio. Simona Bertozzi sarà poi protagonista tra il 10 e il 12 giugno, con resa pubblica nella stessa sera del 12, di un’altra residenza creativa, ILINX, supportata dalla mitica chitarra di Egle-Massimo Volume-Sommacal, mentre il 27 di maggio, Febo si cimenterà con la coreografia infinita pensata per bimbi dai tre ai 5 anni, una sfida rivelatoria della sua ascendenza teatrale tutta Societas, il leggendario ensemble dalla Romagna al mondo che ha anche contribuito a rivoluzionare la concezione del teatro ragazzi e dell’approccio generale alla poetica acida dell’infanzia.
L’altro lato che è particolarmente enfatizzato è quello della riflessione urbanistica, giuridica e comunicativa, in senso storico e civile che si esplicita attraverso incontri partecipati dedicati in prevalenza alla lettura massmediologica delle trasformazioni periferiche e che occuperà ben quattro lunghi pomeriggi di maggio, 20, 21, 23 e 24, una sorta di autentico seminario con esperti rivolto però a tutti i volonterosi e che vedrà il 22 maggio un allegato di altissimo livello e coraggio quale la mattinata dedicata ad una brutta storia urbana tutta sbagliata di cui si parla ancora troppo poco, quella della Uno bianca.
Uno dei tanti episodi di terrorismo che ha insanguinato la nostra città e in particolare ha sconvolto con lunghi strascichi la civile convivenza di alcune periferie, Pilastro in primis: si proveranno a leggere quei fatti con la lente bifocale prediletta da Laminarie, quella di generazioni diverse che solo qui si confrontano tangibilmente nella Storia e nelle Storie, tutte ugualmente maiuscole, quindi testimoni dei fatti, la nuova forma partecipata Concittadini dell’assemblea legislativa regionale, le associazione dei familiari delle vittime e studenti del corso documentario dell’istituto Laura Bassi, già provatisi con successo tramite il supporto della Associazione documentaristi ER con momenti nodali della nostra storia recente comunitaria e nazionale.
Era giunto il momento di parlarne, proprio nell’ambito di un taglio sull’abitare e vivere insieme di cui si tiene sempre poco conto, ma abbiamo aspettato, con delicatezza e rispetto in tutti questi anni:giusto valorizzare e costruire prima di fare un affondo nei luoghi oscuri della memoria, mi dicono Bruna e Febo, colonne fondanti e portanti di Laminarie. Gli anni sono e saranno sempre un poco incauti per chi decide di mettere tutti nella condizione di dotarsi di strumenti di partecipazione, emancipazione e condivisione e saranno anche inevitabilmente fallaci per la loro parte, ma di sicuro questa imprudenza non è parente di incoscienza.
Dunque, lunga vita a Dom, la cupola del Pilastro, che del resto i cittadini che fanno collette per sostenere e attaccano alla rete metallica bigliettini di affetto e incitamento nei momenti più difficili, mostrano di considerare una loro pubblica dotazione cui non intendono rinunciare, smentendo gli stereotipi che vorrebbero preclusa ai cittadini comuni e non specializzati la comprensione e condivisione di forme estetiche sofisticate e di ricerca, palesi anche nella bellezza delle loro pubblicazioni, che invito tutti a visionare per celebrare con loro questi significativi anniversari.

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