di Vincenzo Vita
Il manifesto di domenica scorsa ne ha già parlato. Tuttavia, la polemica è cresciuta molto. Giustamente. Si tratta dell’ipotesi di cambio di destinazione d’uso dei canali 24 e 25 del digitale terrestre, oggi utilmente adibiti a trasportare «Rai Movie» e «Rai Premium»: pezzi forti dell’offerta di film, audiovisivi e fiction del servizio pubblico. E sono free, aperti, non criptati o a pagamento. C’è il canone, ovviamente, ma il costo è assai inferiore a quello della pay tv, a cominciare dall’esoso abbonamento di Sky.
Perché cancellare due reti specializzate che hanno conquistato un loro pubblico, quello interessato a vedere o a rivedere soprattutto film italiani o serie televisive della Rai? Tra l’altro, le quote obbligatorie di diffusione di opere italiane ed europee ribadite dalla legge di riforma del 2016 (n.220 del novembre 2016) e dallo stesso contratto di servizio della Rai verrebbero di fatto abrogate, essendo realizzate proprio attraverso i due palinsesti in questione. Si è levato un coro di proteste con tanto di vastissime adesioni (più di 20000) all’appello lanciato per salvare tali felici frammenti di cultura.
Ma dove è nata simile bizzarra idea? Nel «piano industriale» varato a maggioranza dal consiglio di amministrazione, che prevede il varo delle direzioni «di contenuto» sopraordinate rispetto alle attuali reti. Il rischio, in assenza di una revisione coraggiosa della struttura dell’apparato pubblico – svincolandolo innanzitutto dalle crescenti ingerenze di una brutta politica -, è che aumentino e non diminuiscano i centri di potere. Ed è in simile contesto che l’amministratore delegato Salini ha pensato bene di sostituire i suddetti canali con sostituti «di genere»: l’uno «maschile» frutto dell’unificazione con Rai4, l’altro «femminile». Intendiamoci. Qui il femminismo non c’entra nulla.
L’idea di Rai6 pare essere piuttosto la programmazione di argute disquisizioni su arredamento, cucina, moda, secondo modelli di cui lo zapping è intasato. Anzi, magari pure una spruzzata del clima respirato al recente raduno sulle famiglie di Verona. Meglio, poi, evitare persino di immaginare cosa può diventare il gemello maschile: senza parole. Tra l’altro, Rai4 è intasata di film americani, non sempre di qualità, che forse neppure guardano oltreoceano.
Insomma, che i vertici della Rai ritirino un progetto sbagliato e contrario agli stessi interessi dell’azienda, che prima di ogni altra è tenuta ad osservare le normative nazionali ed europee, nonché il contratto di servizio. Non solo. Se si osserva il vil ascolto delle annate trascorse, si deduce facilmente che senza la fiction italiana la Rai scenderebbe in serie B.
Chiudere i due canali specializzati offerti senza oneri aggiuntivi significa, poi, incrementare la divisione tra chi ha le risorse per entrare nell’élite televisiva e chi, invece, si deve accontentare della vulgata minore. Curioso che ciò avvenga nell’era dell’ansia popolar-populista.
Sembra incomprensibile ciò che sta avvenendo. A meno che… il dubbio è che il piano industriale abbia come obiettivo prevalente la riconquista di qualche fetta di pubblicità, maschile o femminile che sia. Marketing e poca fantasia.
PS. Uno dei sottotesti della vicenda è la necessità di risparmiare un canale, per costruirci magari il nuovo programma istituzionale. Vuoi vedere che lassù hanno pensato così di prendersi un pezzetto delle spoglie di Radio radicale, mandata cinicamente a morire? E sì, perché l’esperienza di Gr Parlamento non si è rivelata brillante. C’è lo zampino «strategico» del sottosegretario Crimi?
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano Il manifesto il 17 aprile 2019