Le nuove tecnologie devono tutelare i lavoratori più fragili. E non pensare solo al profitto

12 Aprile 2019 /

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di Annalisa Rosiello
Si parla sempre più spesso delle tecnologie che sostituiscono gli esseri umani in molti lavori. Si parla meno spesso del tema di come le tecnologie possono supportare l’uomo e, in particolar modo, le persone o i gruppi di lavoro più “fragili” divenendo, allo stesso tempo, strumenti di prevenzione di condotte marginalizzanti, mobbizzanti e discriminatorie. Quante volte, per esempio, sentiamo parlare di persone in età avanzata che vengono licenziate perché ritenute meno produttive o facilmente sostituibili dalle macchine? Invece lavorando bene sulla promozione e la prevenzione della salute (intesa dall’Oms come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non solo come assenza di malattia o di infermità), molti di questi licenziamenti (spesso preceduti da condotte mobbizzanti) a mio avviso si potrebbero evitare.
In base alla normativa sulla salute e sicurezza (art. 28, d.lgs. 81/2008) il datore di lavoro è obbligato a differenziare l’azione di prevenzione con riguardo ai gruppi più esposti a rischio, che sono, tra gli altri, i seguenti:

  • 1. lavoratrici in stato di gravidanza;
  • 2. differenze di genere;
  • 3. età;
  • 4. provenienza da altri Paesi.

Secondo il legislatore della sicurezza, in altri termini, la prevenzione non può essere destinata a un soggetto neutro, che tende a coincidere con il tipo maschio-40enne-in salute-di nazionalità italiana: le misure di promozione, prevenzione e tutela della salute che il datore di lavoro deve osservare e mettere in campo con riguardo a questi specifici gruppi sono maggiori e, comunque, più mirate rispetto a quelle che deve rivolgere alla genericità dei lavoratori (o al lavoratore in senso neutro).
Da notare che i gruppi di lavoratori tutelati contro le discriminazioni tendono a sovrapporsi a quelli tutelati dalla legislazione in tema di sicurezza. Ricordiamo i fattori di discriminazione principali, che sono sesso, razza, origine etnica, nazionalità, religione, handicap, età, orientamento sessuale (e inoltre: convinzioni personali, orientamento o attività sindacale, orientamento politico). Riteniamo che queste categorie siano in gran parte sovrapponibili: è notorio che le persone maggiormente a rischio “salute” sono anche quelle maggiormente soggette a discriminazioni, perché considerate dalle imprese meno produttive o comunque “più problematiche”.
Un caso di successo, emblematico di come l’innovazione tecnologica può contemporaneamente tutelare la salute e prevenire le discriminazioni, è quello iniziato nel 2007 in uno stabilimento Bmw nella Baviera meridionale. Si è trattato di un esperimento pilota nell’unità “cambi”, caratterizzato dalla costruzione di una linea più lenta, cui sono stati addetti per circa il 30% operai over 50 e per il 18% operai con età inferiore ai 30 anni (più esposti a rischi legati all’imperizia). Vi è stato un forte coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte organizzative e l’esperienza pilota ha generato incrementi di produttività, diminuzioni dell’assenteismo e grande affiatamento dei gruppi di lavoro, con un ridottissimo investimento.
Gli esempi di come l’innovazione tecnologica possa essere un vantaggio per i lavoratori in età avanzata potrebbero moltiplicarsi e vanno dalla progettazione di esoscheletri indossabili allo smart-working (i lavoratori non più giovani potrebbero trarre giovamento dai minori spostamenti), dalla progettazione di sistemi di illuminazione a quella di software più accessibili e semplici da utilizzare: dal curare la corretta insonorizzazione/predisposizione di appositi segnali acustici o vibrazioni, alla formazione mirata e continua (tecnologica e anche sulle soft skills), e così via.
È compito dei “tecnici” operare nella direzione sia dello sviluppo di tecnologie e di macchinari utili ad accrescere la produttività e il profitto, sia in quella della tutela dei diritti dei lavoratori; con ciò realizzando l’ulteriore scopo previsto dalla Costituzione, che è quello per il quale l’attività economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (v. art. 41, comma 2 Cost.).
Inoltre, in un momento in cui le tecnologie vengono tacciate di causare la perdita di lavori e la marginalizzazione dei lavoratori, lavorare in questa direzione potrebbe rivestire un alto valore etico e sociale. Senza trascurare che simili azioni rendono anche l’azienda più appetibile per i lavoratori: un’azienda smart, moderna, etica e rispettosa dei diritti e delle esigenze dei lavoratori, più facilmente attrae (e trattiene a sé) le persone talentuose.
Questo articolo è stato pubblicato dal FattoQuotidiano.it il 10 aprile 2019

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