di Silvia Napoli
Nel 1975 venivano istituiti, legge numero. 405, i consultori familiari. Un servizio destinato in realtà sia alle famiglie, come pratica di sostegno, che ai singoli, o meglio, singole che vi facessero ricorso. Servizio gestito e organizzato dalle Regioni italiane, fornito istituzionalmente dalle Ausl, cui compete l’organizzazione finanziaria, delle risorse umane e competenze nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, altra grande conquista che incorniciò il cosiddetto trentennio glorioso che andava a esaurirsi.
I consultori ormai hanno una lunga storia alle spalle, pertanto risulta impossibile ai relatori che si avvicendano nel pomeriggio del 28 Febbraio, per una due giorni convegnistica dal titolo “I consultori in Emilia Romagna, – Quali traiettorie future” e che serve a presentare una ricerca fortemente voluta dalla Regione su sollecitazione UDI, prescindere dal contesto storico di riferimento ed ai presupposti fortemente partecipativi dal basso che quella stagione richiama.
Il pensiero non può che correre ai tempi avvelenati di oggi:tempi in cui, nonostante una più marcata presenza femminile sia istituzionale che mass-mediologica, nonostante le numerosissime professionalità all women presenti nei gangli territoriali di settore, sembra sempre di trovarsi nell’impasse leninista del passo avanti e due indietro.
Ove non bastassero ministri quali Fontana e Pillon ad esprimere una certa visione di welfare, famiglia, diritti civili e non determinazione femminile, ove non bastassero ancora i dati agghiaccianti sul livello di violenza materiale e simbolica che ogni giorno investe le donne, registriamo anche pericolose, discutibili, prese di posizioni giuridiche, proprio dai nostri territori, tese ad avallare lo status quo ideologico. In questo intenso pomeriggio seminariale, svolto anche in collaborazione con l’università federale di Rio de Janeiro, però le polemiche sotto traccia sfumano in un comprensibile atteggiamento di critica costruttiva volto certamente a non buttare il bambino con l’acqua sporca. In una fase delicata e abbastanza confusa che concerne la risicata dotazione organica e il tema del ricambio generazionale, in settori ad alto know relazionale ed esperienziale quali i pubblici servizi, sembra soprattutto centrale fare opera di empowerment e mobilitazione degli operatori.
Introduce cosi Luca Barbieri, responsabile regionale dei Servizi sanitari territoriali per richiamare ad una unitarietà dei servizi erogati da estendere a consulenze diverse dal classico collaudato percorso nascita. Dal punto trasmittitore di input, bisogna poi lavorare molto sulle reti e le connessioni, in una logica di progetto, non di prestazione. L’utente è accerchiato da interventi in sequenza che spesso non comprende o tantomeno governa.
La verità è che non si dovrebbe intervenire per fasi, per compartimenti stagni o emergenze, ma dedicarsi a costruire insieme ai fruitori del servizio un progetto di vita sessuale, affettiva e riproduttiva. Invece ci si trova di fronte alla razionalizzazione aziendalista e alla cosiddetta, con brutto neologismo, cuppizzazione, senza peraltro smaltire agevolmente le famose liste di attesa. Non esiste purtroppo ancora un criterio di accountability di rete complessiva.
Uno scambio di competenze generazionali sarebbe opportuno perché riempirebbe di senso il lavoro. Il consultorio dentro le tanto sbandierate ma anche discusse Case della salute, può essere una grande occasione per la ricostruzione di un patto del Servizio con la comunità di riferimento.
Rispettivamente ostetrica, educatore e medico sono i tre referenti per la famosa ricerca regionale, perché tutti i livelli degli operatori, dall’interno devono essere coinvolti in p0rima linea nella elaborazione dei parametri e nella lettura in filigrana dei dati, ma questo secondo Udi, non basta, perché la comunità comunque oggi non ha consapevolezza dei mutamenti organizzativi. Su contraccezione, interruzioni di gravidanza e informazione ai più giovani, la Regione è stata un po’ messa con le spalle al muro dalle manifestazioni reiterate di UDI, che si appella al rapporto stretto esistente ai tempi gloriosi tra famiglie, equipe di tecnici, comitati misti di gestione, quando sociale e sanitario non venivano separati, quando l’obiettivo era il benessere sessuale e il consultorio aveva i mezzi e le risorse e la volontà di uscire fuori da se stesso, nel territorio per fare educazione e ascolto dei bisogni.
Oggi si confida nelle case della Salute perché si ritorni alla partecipazione, ma gli operatori sono pochi, non c’è sinergia tra gli specialisti e i diversi livelli di rilevazione del bisogno. Prima la persona rimane un vuoto slogan, quando gli orari degli appuntamenti non vengono rispettati e ci si sente abbandonati a se stessi da utenti. . I meccanismi di prenotazione dovrebbero essere riveduti e bisognerebbe mettere al centro l’aspetto di competenza comunicativa degli operatori, vigilando che le normative vengano applicate, specie quando riguardano il diritto a diventare o non diventare madri.
Quando parlano le responsabili della ricerca, evidenziano i passaggi linguistici che sottolineano le appartenenze e i mutamenti, in modo dialettico. Per esempio, non solo cuppizzare è un neologismo, di stampo aziendalista, ma anche co-progettare è una istanza nuova e per riferirsi alle peculiarità dei servizi di consultorio, si parla di specialismo consultoriale.
Nicola Bolzoni ci rammenta che, per una storia esaustiva dei consultori, bisogna riferirsi all’Archivio della Storia dei Movimenti a Parma, perché movimento antipsichiatrico e movimento a favore dei consultori hanno la stessa comune matrice che ci parla di lotta allo stigma sociale e superamento del gap morale e di costume tra campagna e area urbana.
I consultori delle origini la praticavano di fatto la multidisciplinarietà e nei loro focus group lavoravano più sui desideri che sui bisogni. Comunque anche i bisogni hanno da essere rintracciati e mappati e questo non si fa con la logica della prestazione, ma con quella della presa in carico. Abbiamo di fatto bisogno di praticare la medicina proattiva e di avere un approccio olistico e di integrazione sociosanitaria per donne, bambini, adolescenti.
Lo ribadiscono anche le funzionarie del Ministero della Salute, distensive, nonostante tutte le recenti criticità proprio rispetto alla famiglia e alla epidemiologia che l e riguarda messe in campo da una serie di proclami contraddittori da parte dell’istituzione stessa. I 40 anni gloriosi fondati sull’ascolto dei movimenti non si toccano e si tratta di mettere di nuovo il consultorio al centro di un contesto valorizzante. , perché le cose di cui si è occupato sono davvero tante :adozioni, affido, maternità e 194, appunto. Troviamo allora nuovi concetti e vocaboli conseguenti come appropriatezza, analisi dei flussi, ricerca sugli indicatori, per costruire un processo che porti a far sentire a casa, chi una casa non sente di averla :ricordiamo che i consultori sono per definizione servizi a bassa soglia di accesso e tali devono rimanere.
Questo può essere fatto solo implementando la valenza progettuale del consultorio e rilanciando il lavoro di equipe.
Per questo, la ricerca ministeriale punta ad essere capillare e ha coinvolto non tanto dirigenti Ausl o medici, ma tutte le altre categorie di operatori, regione per regione, valorizzando quelli che si occupano della salute dei migranti, le ostetriche, le pedagogiste e chiedendo loro di individuare le buone pratiche da incrementare. Oggi, è inutile nasconderlo, pensare di uscire a portare informazione fuori dal consultorio, nonostante la stipula di virtuosi accordi col Miur, è molto difficile e i pochi operatori, che dovrebbero passare il testimone ai più giovani, sono molto affaticati e arrabbiati.
Tuttavia, non demotivati e basta accendere in loro una scintilla partecipativa per vederli rinfrancati e volonterosi. I consultori e le case della salute, devono essere luoghi che offrono ascolto e sponda ai leader naturali di comunità interni ed esterni che abbiano qualcosa da dire.
Già, ma quali saranno le prossime nuove cose da dire? Ce ne parla la docente universitaria Laura Fruggeri, da Parma, dato che questo non è un discorso secondario rispetto all schema relazionale a cascata che parte dal Ministero, per irradiarsi nel territorio a partire da comitati di gestione e stake holder. Oggi per esempio, il sostegno alla genitorialità passa attraverso problematiche molto diverse, che implicano la legittima aspirazione di entrambi gli elementi della coppia ad avere una carriera o percorso lavorativo. E questo porta un aumento fisiologico della conflittualità e ne consegue un bisogno di governante della medesima. Finché si sta su parametri normativi canonici, inoltre, non si potrà per es comprendere il concetto di plurigenitorialità.
Oggi, più che un percorso nascita, dovremmo fare un percorso origine, in base alle diverse narrazioni sulla stessa venuta al mondo. Le f famiglie hanno infatti diversi principi fondativi :adozione, omosessualità, fecondazione assistita, biotecnologie sono sempre piu il terreno di gioco. La stessa famiglia nucleare sembra superata in nome di genitorialità senza sessualità. La gestazione surrogata pone problemi insoliti, quale quello del terzo genitore, il donatore.
Per non parlare di quelle famiglie separate ove nucleo fondante e domicilio coniugale non possono coincidere per via delle circostanze:badanti, migranti, cervelli in fuga magari temporanei, L’aiuto non può essere generico, conseguentemente, ma altamente diversificato e il discorso pubblico su queste famiglie separate e dimidiate pone nuove sfide. Quella del concetto di perdita, per esempio, declinato in modi e forme anomali, ai confini della normalità, ma non ancora patologci, quanto indicatori di disagio.
Non si tratta di eliminare o risolvere problemi una per tutte, quanto, di saperli affrontare al meglio. Per questo ci vogliono logiche di progetto complessivo. Per queste ragioni, quando parliamo di traiettorie future, dobbiamo delineare un nuovo concetto: quello di compito inconsueto. Mentre esistono rituali e pratiche codificate per il lutto, non esistono pratiche collaudate e condivise per esorcizzare questo nuovo tipo di trauma. ci si trova di fronte a dilemmi, che sarebbe molto utile esporre con franchezza anche ai minori. Per non parlare dei conflitti, che vanno gestiti in modo innovativo.
Non è utile guardare ostinatamente alla genesi particolare di questi nuclei familiari, quanto alle logiche di processo ed evoluzione che li governano. A suggello di un pomeriggio cosi ricco di stimoli e programmaticamente assertivo, in vista di un 8 marzo sentito e combattivo sorge spontaneo chiedersi quanto queste illuminate istituzioni saranno in grado di recepire davvero le istanze che vengono dal basso e che pervicacemente si manifestano, anche quando non sono rappresentate nei convegni ufficiali.