di Cinzia Sciuto
“Se non ci fanno entrare, a quel punto arrivano le Albe Dorate, gente che emula Hitler, entrano i nazisti in Parlamento con il passo dell’oca. Sta tornando la destra che non discute, se arriva Hitler vagli a parlare del comma 5. Noi facciamo da cuscinetto siamo necessari per la democrazia. Stiamo tenendo in piedi la democrazia”. “Se non ci fosse il M5S ci sarebbero i nazisti, il nostro populismo è la più alta espressione della politica”.
A parlare è Beppe Grillo, rispettivamente nel 2012 e nel 2014. La tesi è nota. La rabbia del “popolo” contro la “casta” è ormai un dato della politica dei giorni nostri, quello che bisogna vedere è come e da chi viene incanalata. E per anni ci è stata raccontata ” non solo da Beppe Grillo ” la favola che, a differenza degli altri paesi europei, in Italia avevamo per fortuna il Movimento 5 Stelle a raccogliere questa rabbia popolare e farla confluire in un percorso democratico. La tesi dei 5S come argine all’estrema destra, che altrove (vedi Le Pen in Francia e l’Afd in Germania) invece dilaga, aveva fatto breccia in molti cuori ed è stata anche una delle ragioni che ha portato taluni a votare 5S: meglio loro che i fascisti! (I 5S hanno forse la base elettorale più variegata che ci sia, e le ragioni per cui chi li vota li vota sono le più diverse, talvolta persino opposte, fra loro).
Peccato che l’argine non solo non abbia tenuto, ma abbia addirittura subito una metamorfosi, trasformandosi in un taxi che ha catapultato l’estrema destra italiana dritta dritta al governo del paese. E non basta: La Lega è infatti arrivata al governo con poco più del 17 per cento dei voti (che è già una enormità) e con ogni probabilità, se non fosse al governo, ad oggi sarebbe rimasta intorno a quella cifra, se non forse addirittura sotto.
La tribuna che invece viene offerta a Salvini dal Viminale, strategicamente utilizzata per cinguettare quotidiana propaganda, ha portato la Lega a essere oggi saldamente in testa a tutti i sondaggi con il 30 per cento delle preferenze, raggiungendo e superando l’alleato di governo, che alle elezioni di voti ne aveva presi più del 32 per cento. Lo ripetiamo perché è talmente surreale da non riuscire a crederci: la Lega “quella che guarda all’Ungheria di Orbán, quella che gioca a dadi con i corpi e le vite di qualche centinaio di persone tenute chiuse in una nave, quella che non vuole il reato di tortura perché altrimenti la polizia non potrebbe fare il suo lavoro, quella che vuole armare i cittadini italiani fino ai denti, quella che rappresenta il volto più truce della peggiore destra, illiberale, reazionaria, strafottente nei confronti dello Stato di diritto ” è il primo partito italiano.
Gran bel risultato per chi doveva rappresentare un argine a tutto questo, non c’è che dire. Forse convinti (illusi dai numeri del 4 marzo che in effetti così lasciavano supporre) di essere l’azionario di maggioranza del governo e di riuscire dunque a mantenere l’alleato buono buono, si sono ritrovati per le mani un cavallo impazzito che, oltre a infischiarsene dello Stato di diritto, se ne infischia anche di loro e del governo stesso. Sondaggi alla mano, Salvini sa che se si va alle elezioni e la Lega si conferma primo partito sarà lui il capo del governo, magari di nuovo con gli alleati storici Berlusconi e Meloni a fare da paggetti. Con un sentito grazie ai 5 Stelle.
Che si sono infilati in un dilemma da cui è oggettivamente difficile uscire: staccare la spina, come sembra suggerire loro Marco Travaglio sul Fatto, significherebbe srotolare un tappeto rosso che porterebbe Salvini dal Viminale a Palazzo Chigi; continuare questa esperienza di governo significa farsi complici di atti criminali e antidemocratici, come quello di privare della libertà delle persone per giorni senza nessun atto di un giudice (e dunque in totale spregio della nostra Costituzione). Verrebbe da dire, chi è causa del suo mal pianga se stesso. Se non fosse che in questo caso il mal non è solo il loro, ma il nostro.
Questo articolo è stato pubblicato da Micromega Online il 31 agosto 2018