di Gianfranco Capitta
La chiesa di San Giuseppe dei Falegnami crollata, proprio sul colle del Campidoglio. Troppo facile fare ironie, paragoni e battutacce. Ma anche piangere sul tetto crollato non serve a molto. Bisognerebbe riflettere e agire di conseguenza. In Italia molto si è lavorato, sotto l’ex ministro Franceschini, a organizzare, suddividere e magari accentrare gli enti preposto ai Beni culturali.
Non si è quasi mai parlato, però, della loro conservazione, quasi fossero un dono di qualche cielo, destinato all’eternità. D’altra parte né soldi stanziati né progetti per questo motivo fanno titolo sui giornali o passerelle. L’attuale ministro Bonisoli ha perfino abolito l’ingresso gratuito ai musei una volta al mese (e qualcuno ci eviti le discussioni di Lega e 5Stelle su chi per primo si farà carico del restauro…).
Crolla la modernità che non dura cinquant’anni, figurarsi se non ha diritto a cadere un passato secolare! Il discorso si farebbe maledettamente serio: non solo bisognerà pensare a tenere in piedi i monumenti (e questo proprio sotto la casa comunale di Roma fa davvero senso), ma tutta la scultura storica italiana che galleggia malamente.
Vale per la letteratura, per il teatro e la musica (mentre le opere d’arte spariscono nel buio): la scuola le espelle dai programmi, il fatidico mercato fa il resto togliendoli dalla circolazione. Rimane il dubbio atroce: se crolla l’antichità così come ‘la modernità’, cosa ci resta da godere? I plastici post moderni di Porta a porta per la nuova leva politica…
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano Il manifesto il 31 agosto 2018