di Roberto Petrini
Nel gergo anglofilo della politica economica e delle tasse viene chiamata flat tax, significa tassa piatta, ma anche con la traduzione in mano non si capisce. “Piatta”, ma perché? L’aggettivo viene dal linguaggio degli economisti che parlano riferendosi ad un grafico con una curva dove sono rappresentati il reddito (ascisse) e il peso delle tasse (ordinate). Se la curva cresce al crescere del reddito, si parla di tasse progressive, se invece resta ferma al crescese del reddito appare piatta e dunque le tasse sono meramente proporzionali.
Detto questo dobbiamo spiegare che cosa sono le tasse progressive e quelle proporzionali. Il principio di progressività non è così intuitivo, perché prevede che chi guadagna di più paghi più che proporzionalmente, mentre nel sentire comune il termine “proporzionale” già sembra sinonimo di equità. Invece quando si parla di soldi non è così perché, come diceva Einaudi (un grande economista che è stato anche presidente della Repubblica) le stesse dieci lire non hanno lo stesso valore per il povero che ci compra la minestra e per il ricco che ci compra la poltrona al teatro, dunque il ricco può pagare di più. Quello che diceva Einaudi è talmente vero che la nostra Costituzione all’articolo 53 impone che che le tasse siano ispirate al principio di progressività.
La flat tax è stata mai applicata?
Il 19 novembre del 2004 il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di ritorno da una visita ufficiale nella giovane democrazia della Repubblica slovacca, dove aveva esaltato le ricette dell’economista, consigliere di Reagan, Arthur Laffer, rilanciò l’idea della flat tax che del rasto, fin dal programma del 2001 era stato uno dei suoi cavalli di battaglia.
È vero che molti paesi dell’Est hanno adottato l’aliquota unica ma bisogna considerare che quei paesi, usciti dai regimi non di mercato, non avevano un sistema fiscale sviluppato, quindi la certezza di una aliquota al 15 o 16 per cento era giù un successo.
E gli americani?
Anche i falchi americani delle tasse non hanno mai avuto vita facile. Milton Friedman consigliò la flat tax a Reagan che tuttavia non la adottò e nel 1986 si limitò a tagliare l’aliquota massima con il celebre Tax Reform Act. Più tardi, lo specialista Alvin Rabushka, tentò di dare consigli a George W. Bush: ma persino George junior si limitò a limare l’aliquota più alta in vigore negli Usa di circa 5 punti portandola al 35 per cento e rifiutò di introdurre l’aliquota unica proposta dal miliardario Steve Forbes (che per questo lo attaccò duramente). Obama la riportò all’attuale 39,6 nel 2013. L’esercizio del taglio delle tasse non è facile. Da qualsiasi sponda dell’Atlantico si cerchi di attuarlo.
Ora veniamo all’Italia
La flat tax contenuta nel programma gialloverde è un grosso cambiamento rispetto all’attuale sistema. I puristi possono dire che non si tratta di una vera e propria flat tax, perché non ha una sola aliquota ma ne ha due, ma se si guarda la curva della progressività (vedi sopra) ci si accorge che il risultato della “quasi flat tax” non cambia molto: invece di una linea retta c’è un piccolo scalino.
Come funziona?
Le due aliquote sono del 15 e del 20 per cento, invece delle cinque attuali. Sui redditi fino ad 80 mila euro lordi si pagherà il 15 per cento e sulla parte che eccede gli 80 mila euro si pagherà il 20 per cento. Per attenuare la rozzezza delle due aliquote e dare un po’ di progressività anche il progetto di flat tax gialloverde introduce delle deduzioni per i familiari (3.000 euro per ciascun familiare a carico) che diminuiscono fino ad azzerarsi al crescere del reddito oltre gli 80 mila euro. La novità fondamentale da tenere presente che la nuova flat tax, almeno nei progetti, si propone come familiare, cioè l’aliquota si calcola sulla somma del reddito dei coniugi, creando delle differenze con le coppie monoreddito tutte da valutare.
Chi ci guadagna e chi ci perde?
Il risultato della flat tax, secondo l’economista Massimo Baldini dell’Università di Modena, che ha scritto un dettagliato articolo sulla voce.info, si verificherà un gigantesco trasferimento di ricchezza a favore dei più abbienti: così come è congegnata la riforma ci guadagneranno solo i redditi alti e i poveri resteranno a guardare.
La palazzina a cinque piani
Immaginiamo che i contribuenti italiani abitino un palazzo a cinque piani: al primo i più modesti, nell’attico i più benestanti. Ebbene al primo piano c’è il nucleo che si affaccerà alla finestra con un po’ di irritazione ma anche con qualche brivido: solo grazie ad una pesante clausola di salvaguardia, in base alla quale non si può essere penalizzati, con un costo complessivo stimato in 8 miliardi, potrà pagare le stesse tasse che pagava prima. Senza clausola, con il puro calcolo del nuovo sistema, questa famiglia media, dove i due partner lavorano e portano a casa 15 mila euro di reddito lordo ciascuno, sarebbe costretta a sborsare 2490 euro in più.
Il paracadute?
Il rischio che i poveri debbano pagare più di oggi è così concreto, tanto che il progetto prevede un paracadute. Infatti la nuova deduzione sull’imponibile di 3.000 euro non compensa la prevista cancellazione delle due detrazioni da lavoro dipendente che spettano oggi ai due coniugi e l’azzeramento delle detrazioni per i due figli: infatti oggi la famiglia del primo piano paga tranquillamente solo 210 euro di Irpef. Necessaria dunque la «salvaguardia»: ma come funzionerà? E chi garantisce che il fisco non si presenti con un conto diverso e che il contribuente sia chiamato a dimostrare quanto pagava l’anno prima di Irpef?
I piani bassi
Anche al secondo piano, dove insieme al primo si affolla l’80 per cento delle famiglie italiane, cioè il grosso del ceto medio basso della Penisola, non c’è da stare allegri. Due coniugi che guadagnano 25 mila euro annui lordi ciascuno, dunque con un reddito familiare di 50 mila euro, rientrano nell’aliquota del 15 per cento. Con le deduzioni abbattono l’imponibile e alla fine risparmiano, rispetto ad oggi, 469 euro, con un guadagno sull’attuale reddito netto familiare di appena l’1 per cento.
I piani alti
Quando si arriva con l’ascensore fiscale al terzo piano della palazzina si comincia a scorgere qualche sorriso. Lì i due partner che guadagnano 40 mila euro ciascuno, e dunque hanno un imponibile familiare di 80 mila euro, pagheranno il 15 per cento ma risparmieranno 8.744 euro d’imposta e il loro reddito familiare aumenterà del 15 per cento. Al quarto piano, dove entrano 110 mila euro si stappano bottiglie di pregio: 15.866 euro di tasse in meno, pari al 21 per cento di aumento del reddito. Al quinto piano non si stappa perché magari è meglio non farsi sentire dai vicini: in casa entrano già 300 mila euro e il taglio delle tasse sarà, con il progetto gialloverde, quasi del 40 per cento. Euro più, euro meno, in casa ne arriveranno quasi 68 mila in più.
I costi sono l’aspetto più dolente, anche per i patiti della flat tax: ci vogliono 50 miliardi per applicare la flat tax in Italia.
Questo articolo è stato pubblicato da Eddyburg.it/ il 18 giugno 2018 riprendendolo dal quotidiano La Repubblica