di Cristiana di San Marzano
Per ricordare il 2 giugno si può partire da una foto ormai ingiallita che riproduce una pagina della Domenica del Corriere dell’estate del 1946. Spesso pubblicata quando si parla della nascita della Repubblica italiana, quella pagina riporta tante faccine di donne, 21 per l’esattezza, le elette all’assemblea costituente. Una minoranza rispetto ai 535 uomini, ma comunque un buon risultato se si considera che fino ad allora alle donne italiane era persino vietato votare, figurarsi entrare in Parlamento.
Cinque di loro (Nilde Iotti, Teresa Noce, Lina Merlin, Maria Federici, Ottavia Penna Buscemi) andranno poi a fare parte della ristretta commissione dei 75 incaricata di elaborare il progetto di Costituzione. Non un contentino per tenersele buone, un fiore all’occhiello in un Parlamento maschilista per tradizione e vocazione culturale: le cinque neo deputate erano poco plasmabili ai desiderata e agli ordini di scuderia dei rispettivi partiti. Con competenza e decisione, nel corso delle lunghe sedute, diedero battaglia per difendere i diritti che le donne volevano finalmente riconosciuti. Merlin riuscì a fare inserire all’articolo 3 della Costituzione quella fondamentale frase, “senza distinzione di sesso” che è stata, e lo è ancora oggi, alla base di ogni rivendicazione etica e giuridica per il rispetto e l’osservanza delle pari opportunità.
Eppure, quando si parla di nascita della Repubblica Italiana si preferisce evocare i grandi padri, spesso addirittura si ignora che ci fu anche un protagonismo femminile. Donne che nell’antifascismo e poi nella Resistenza hanno lottato in prima persona e non solo per la libertà del Paese, ma anche per accelerare il processo di emancipazione femminile e affermare un’identità di genere.
Proprio per colmare i silenzi della storia abbiamo scritto, noi del collettivo di Controparola, un gruppo di giornaliste e scrittrici nato nel 1992 per iniziativa di Dacia Maraini, Donne della Repubblica, appena uscito per il Mulino. Nel libro quattordici biografie di donne che, con coraggio e tenacia, hanno avuto una parte importante nella costruzione della Repubblica. Politiche di professione come Camilla Ravera, Teresa Noce, Lina Merlin, Nilde Jotti, Ada Gobetti, Teresa Mattei, Tina Anselmi, ma anche scrittrici come Alba de Céspedes, Fausta Cialente, Renata Viganò e Marisa Ombra. E trovano spazio anche un’attrice, Anna Magnani, la famosa sarta Biki e la leggendaria Dama Bianca, la compagna di Fausto Coppi.
Scrive nell’introduzione Dacia Maraini: “Le domande che vengono in mente leggendo questa raccolta di ritratti femminili che si dipana dall’antifascismo al dopoguerra sono: come mai ne sappiamo così poco? Come mai bisogna fare tanta fatica per riportare alla luce la memoria di donne che sono state importanti, anzi essenziali per la storia del nostro Paese? Siamo ancora dentro una pratica di misoginia intellettuale che tanta parte ha avuto nella narrazione della nostra storia patria?”
C’è poi, nel primo capitolo, ‘L’Italia non lascia ma triplica’, a firma di Claudia Galimberti, l’appassionata ricostruzione di come si arrivò nel dopoguerra all’approvazione del diritto di voto per le donne. Un iter non scontato ( ne abbiamo parlato anche qui, ndr )ottenuto con una larga mobilitazione dell’associazionismo femminile, sia laico che cattolico.
“Cambia la scena, a partire dal 2 giugno 1946: le donne sono, d’ora in poi, magari a poco a poco, faticosamente, ma con decisione, portatrici di nuovi gesti, di parole diverse, di uno sguardo sul mondo esterno che non sarà più estraneo, perché finalmente conosciuto e vissuto.
Per milioni di italiane era una assoluta novità. Che cosa voleva dire “andare a votare”? Scegliere il sindaco, gli assessori e poi scegliere tra Monarchia e Repubblica? Ci si affacciava su un lato oscuro del loro mondo, un lato mai visto né percepito, dove anche la modalità del voto, i fogli, le urne, i seggi erano del tutto sconosciuti. Soprattutto per la maggior parte delle donne di campagna, spesso analfabete, dedite alla fatica dei campi e alla famiglia, donne che non sapevano neanche che differenza ci fosse tra una forma di Stato e l’altra. Sapevano però distinguere tra fascismo e antifascismo e molte erano ancora per il duce. Una situazione ambigua e complessa che altre donne si impegnavano a sbrogliare. A piedi e in bicicletta ogni giorno battevano le campagne e insistevano sull’importanza del voto: parlavano di democrazia e di diritti a un auditorio sordo, analfabeta e poco propenso ad ascoltare donne di città che venivano a parlare di cambiamenti di cui avevano paura.
Il lavoro oscuro e mai abbastanza riconosciuto delle «educatrici al voto» si svolgeva nella stessa situazione che aveva già visto le donne tirarsi indietro quando le prime socialiste, Anna Kuliscioff e Anna Maria Mozzoni, parlavano di diritti nel lavoro, di scioperi, di libertà e le operaie erano restie ad accogliere le nuove idee che prefiguravano un mondo alla rovescia, di cui le stesse donne, anche allora, avevano timore. Le giovani erano più aperte, ma anche frenate dall’educazione familiare che aveva sempre insegnato, con le parole e con l’esempio, che la donna deve essere sottomessa. Le Associazioni femminili unite, l’Unione donne italiane (UDI) e il Centro italiano femminile (CIF), avevano costituito la Commissione per il voto che nell’ottobre del 1944 presenta al governo presieduto da Bonomi un documento che spiega come sia inderogabile il voto alle donne. A fine mese si costituisce un vero Comitato Pro Voto, attivissimo nel mobilitare le forze sociali e politiche a favore del suffragio universale. Laura Lombardo Radice scrive un opuscolo intitolato Le donne italiane hanno diritto al voto. Il Comitato femminile per il suffragio dell’UDI fa pubblicare un testo da far firmare al maggior numero possibile di donne. “Noi, donne di… chiediamo al Governo di Liberazione Nazionale il diritto di voto e di eleggibilità nelle prossime elezioni amministrative. Riteniamo che l’esclusione da tale diritto lascerebbe la donna in quella posizione di ingiusta inferiorità in cui il fascismo ha voluto mantenerla non solo all’interno dello Stato, ma anche nei confronti delle donne di tutti i paesi civili”.
Nella primavera del 1945 si sarebbero tenute le elezioni amministrative e le donne premevano per potervi partecipare. Il 30 gennaio 1945 il Consiglio dei ministri approvò l’estensione del voto alle donne e il 1° febbraio venne emanato il decreto luogotenenziale n. 23 che estendeva il voto alle donne che avessero compiuto 21 anni con l’esclusione delle prostitute schedate, ma che esercitavano la professione al di fuori delle case riconosciute dallo Stato. Peccato che nella fretta di emanare il decreto la eleggibilità passiva restò fuori. Le donne potevano votare, ma non essere elette. Si riparò alla mancanza circa un anno dopo, in tempo per far partecipare le donne, con pieni diritti, alle elezioni amministrative del 10 marzo 1946.
Anche il Papa era intervenuto nella questione del voto alle donne. Il 21 ottobre 1945 Pio XII appoggiò il suffragio universale, incoraggiando la donna ad entrare in azione, a non essere assente, in funzione però dei valori cristiani, per proteggere la famiglia contro chi la minacciava. Le parole del Papa furono molto importanti per le donne cattoliche, presenti all’udienza con le componenti del CIF. Scrive Cecilia Dau Novelli: le parole di Pio XII liberarono “le donne da ogni remora sulla liceità della loro partecipazione alla vita politica. In questo senso ebbero un effetto dirompente”.
D’ora in poi le italiane avevano in mano un formidabile strumento per cambiare le sorti del Paese e lo usarono nell’appuntamento più importante al quale erano chiamate, il 2 giugno 1946, e i partiti ne erano coscienti”.
Donne della Repubblica, il Mulino, Bologna pagg. 278 Euro 23. Introduzione di Dacia Maraini, testi di Paola Cioni, Eliana Di Caro, Elena Doni, Claudia Galimberti, Lia Levi, Maria Serena Palieri, Francesca Sancin, Cristiana di San Marzano, Federica Tagliaventi, Chiara Valentini.
Il gruppo Controparola ha pubblicato per il Mulino anche Donne del Risorgimento (2011) e Donne nella Grande Guerra (2014). Per altri editori: Piccole Italiane (Anabasi, 1994), Il Novecento delle italiane (Editori riuniti, 2001), Amorosi Assassini (Laterza, 2008).
Questo articolo è stato pubblicato da Cultweek.com