di Nadia Urbinati
L’Europa manca di leadership. E manca di volontà politica comune. Eppure è sempre più necessaria, non solo per la pace – secondo l’idea dei suoi costruttori – ma anche per la possibilità di dare ossigeno alla democrazia, alle promesse di giustizia sociale che la cittadinanza democratica fa e che non può mantenere se confinata dentro gli Stati-nazione. Per comprendere appieno la contraddizione tra la debolezza della volontà politica dei leader europei e il bisogno di una politica europea dobbiamo tornare alle origini, e mettere a confronto questa Unione europea con le ambizioni dei suoi fondatori.
Nessuno sa oggi come sarà l’Europa di domani e che peso avranno le forze nazionalpopuliste crescenti da Est (Ungheria e Polonia) a Ovest (l’Austria e l’Italia). L’allargamento dell’Europa è stato guidato dall’idea di facilitare la transizione democratica dei paesi dell’ex Patto di Varsavia, di portare il modello occidentale a oriente. Oggi, assistiamo al processo contrario, poiché è l’Est – il suo modello nazionalpopulista – che sta conquistando l’Ovest.
Dunque, è opportuno chiedersi (ora che anche l’Italia si appresta a varare un governo che guarda con simpatia verso Est) non solo se i paesi europei vogliono un’Europa politica, ma come la vogliono; poiché è chiaro che, anche i nazionalisti xenofobi sanno che è nel loro interesse stare nell’Unione: il problema è che essi hanno un’idea di Europa che deve preoccupare i democratici.
La battaglia ideologica si svolgerà quindi proprio sul modello di Europa che si vuole costruire per il futuro: se chiuso e nazionalista (l’Europa cristiana e bianca, secondo la propaganda di Viktor Orbán) o aperto e democratico. In ogni caso, lo stallo in cui l’Europa versa oggi non è destinato a durare. Quindi, per chi si ispira ai valori di una democrazia sociale e inclusiva, è urgente ripensare a un’altra Europa, diversa da quella dell’austerità ma anche da quella dei nazionalisti.
Non è sufficiente volere un’Europa politica; occorre anche volere che sia un’Europa dei diritti e dell’impegno per il lavoro e la giustizia sociale. Tutti i partiti socialisti o di sinistra sono in crisi nei loro rispettivi paesi. Essi hanno perso l’internazionalismo che li caratterizzava; oggi, l’Europa può rappresentare l’opportunitá per una sinistra internazionalista, che aiuti ogni paese a uscire dai propri confini asfittici e dall’asfissia del mercato.
La crisi della moneta unica europea, che è poi crisi delle società nazionali, è come una profezia realizzata dell’intuizione di Altiero Spinelli. Tra i rischi più subdoli che il Manifesto di Ventotene indicava, vi era il seguente: nell’evenienza di crisi economiche, sembrerà a qualcuno conveniente cercare di far leva sul sentimento identitario (gli italiani prima di tutto!) per attuare la “restaurazione dello Stato nazionale”.
Avere ordinamenti nazionali democratici, non era dunque sufficiente e non avrebbe reso il nazionalismo meno problematico, perché i politici eletti, “desiderosi di rappresentare la volontà popolare, facilmente finirebbero per diventare, nelle loro varie tendenze, strumenti di questo o quel gruppo particolare, mirante a conquistare la direzione dello Stato e ad impiegarne la forza per far valere i propri particolari interessi”. Ecco perché tra gli scopi prioritari del “Manifesto” figurava l’impegno a indirizzare l’Europa del dopo totalitarismo verso la costruzione di un’ossatura istituzionale federale, per dar vita a una democrazia sociale. Pace nella libertà perché pace nella giustizia e nell’equità. Non pace soltanto. Perché nessuna alleanza avrebbe potuto durare nel tempo se gli Stati europei non si fossero dati obiettivi ambiziosi come questo; se non avessero indicato nell’Europa l’obiettivo realizzabile di un nuovo internazionalismo.
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano La Repubblica il 21 maggio 2018