Ambiente e paesaggio: Lega e 5S all'opposto

16 Aprile 2018 /

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di Vittorio Emiliani
Mentre si profila una possibile intesa fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, mi tornano in mente le dure polemiche consumatesi in Parlamento fra i loro due gruppi in materia di cultura, di natura, di ambiente, di aree protette, e, comunque, le opposte opinioni espresse.
Andate a rileggervi sul sito dei 5 Stelle il programma elettorale in materia di beni culturali e paesaggistici:

  • 1) bisogna difendere e rafforzare il ruolo delle Soprintendenze indebolite dai governi Berlusconi e Renzi sul piano dei poteri;
  • 2) bisogna tornare a dividere il Turismo dai Beni culturali evitando che il Mibact consideri quei beni o quel centri storici, beni commerciali, “macchine da soldi”.

All’opposto le posizioni della Lega (e in generale del centrodestra): in uno “storico” dibattito televisivo da Bruno Vespa, Matteo Salvini, infuriato per la bocciatura (sacrosanta) di un’altra strada sul Lago di Como da parte del soprintendente Luca Rinaldi, se ne uscì reclamando l’abolizione delle Soprintendenze e dei loro “assurdi vincoli e poteri”. E la renzianissima Maria Elena Boschi fu di fatto d’accordo: “Della soppressione delle Soprintendenze si può discutere, noi intanto, con la riforma Franceschini, le abbiamo ridimensionate…”. Renzi docebat.

Non meno opposte le posizioni della Lega e dei 5 Stelle in materia di paesaggio e di ambiente, di parchi. Nei mesi scorsi ci sono state forti polemiche (che hanno spaccato pure il Pd) sulla legge Caleo che sfasciava la legge Cederna-Ceruti del 1991 sulle aree protette. La quale ha consentito – pensate quale “rivoluzione verde” – di portare da 4 appena a ben 24 i Parchi Nazionali e a 136 quelli regionali. Con una superficie protetta che da un 4 per cento scarso dell’Italia è balzata all’11 per cento. Con un evidente beneficio per la biodiversità vegetale e animale, per i nostri polmoni e per la nostra salute in generale in tempi di smog sempre più grave nelle città e nelle aree metropolitane.
Contro il disegno di legge “Sfasciaparchi” (firmato dall’onorevole Massimo Caleo del Pd, trombato il 4 marzo) e a difesa della legge Cederna-Ceruti è intervenuto lo stesso Beppe Grillo che nel suo blog ha fatto alcune affermazioni di questo tenore: “La vera scommessa sarebbe quella di destinare maggiori risorse alla tutela del patrimonio attuale che contribuisce alla ricchezza della Nazione e affinare ed estendere le competenze di gestione al di là dei 24 parchi nazionali e delle 30 aree marine protette per garantire una tutela attiva, ad esempio agli oltre 2.200 siti di interesse comunitario localizzati nel nostro Paese, fiore all’occhiello della Ue nel mondo. E invece abbiamo a che fare con una bassa cucina della politica che vuole condizionare le nomine del presidente e dei Direttori dei parchi nazionali (…) e ridurre le aree marine protette a una sorta di condominii degli enti locali”.
Durissimo Grillo contro l’idea di introdurre “royalties” per quanti sfruttano le risorse dei Parchi, e concedere così “una licenza ad inquinare”, a rapinare con cave, estrazioni petrolifere, ecc. Con una frase finale ammonitrice che vale per tutto il patrimonio storico-artistico-paesaggistico: “La tutela non può, non deve essere sacrificata allo sviluppo economico”. Da applausi.
E Salvini? E la Lega? Tutto il contrario: vogliono anzitutto fare “spezzatino” anche dei più antichi Parchi Nazionali e ci sono già riusciti col Parco Nazionale dello Stelvio (80 anni di vita) diviso fra Lombardia, Trento e Bolzano. Vogliono rendere “remunerativi” gli stessi. Vogliono da sempre reintrodurre la caccia nei parchi e nei loro immediati dintorni anche per le specie protette, ecc. ecc. Ma quali accordi di governo sono mai possibili su materie così strategiche per la salute, la cultura, il benessere psico-fisico degli italiani? Quali compromessi fra civiltà e barbarie?
Questo articolo è stato pubblicato dal Fatto Quotidiano in edicola in edizione cartacea il 14 aprile 2018 e ripreso da Eddyburg.it lo stesso giorno

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