di Sergio Sinigaglia
A 72 ore dall’esito elettorale non è ancora possibile un’analisi del voto esauriente, ma sicuramente il quadro che ne emerge è piuttosto chiaro. E quindi alcune considerazioni vanno fatte. Il voto del 4 marzo fotografa in modo piuttosto chiaro l’immagine del Paese in cui viviamo. Un’Italia, come già in precedenza sottolineato, che in questi anni recenti, e più lontani, ha subito una trasformazione profonda dal punto di vista sociale ed economico, ancora prima che sul versante politico. Un mutamento antropologico.
Sicuramente la cosiddetta crisi del 2008, in realtà tappa fondamentale di quella “shock economy” efficacemente analizzata più di dieci anni fa da Naomi Klein, ha determinato un salto di qualità delle politiche in atto da tempo qui come in tutto l’Occidente. Ma è indubitabile che in Italia abbiamo assistito a dinamiche ancora più laceranti che altrove.
Dalla reazione xenofoba e razzista di buona parte della popolazione di fronte all’aumento dei flussi migratori, alle conseguenze che la recessione economica ha avuto sul tessuto sociale, fino, sul piano squisitamente politico, alla graduale e sempre più travolgente crescita del Movimento 5 Stelle, soggetto che non ha eguali nel panorama europeo e probabilmente mondiale.
Dunque l’Italia che esce dalle urne è lo specchio di questa situazione. È necessario però chiarire un aspetto centrale. Mettere sullo stesso piano Lega e 5 Stelle è sbagliato, e lo può fare solo un establishment cialtrone e ben interessato a proporre una narrazione volutamente omertosa e superficiale, attraverso il leit motiv del “populismo” e delle “forze antisistema”.
Dalle prime analisi del voto proposte dall’Istituto Cattaneo c’è la conferma di un processo in atto da tempo. Il M5S ha irreversibilmente eroso il seguito elettorale della sinistra nelle sue varie articolazioni, il Pd (partito di centro, ma con ancora in parte una tradizionale base elettorale di sinistra) in primis. Certamente da alcuni anni il consenso elettorale nei confronti dei grillini, che nella prima fase si registrava tra i delusi dei vari partiti del centrosinistra e delle stesse formazioni radical, si è esteso anche verso l’elettorato di destra, soprattutto grazie alla narrazione contro “la casta” e le posizioni contro i migranti. Ma è evidente che una parte dei voti avuti domenica è frutto di un ulteriore travaso di consensi proveniente dalla sinistra in tutte le sue articolazioni.
Così come non possiamo nasconderci che i 5 Stelle hanno svolto un ruolo da “cuscinetto”, impedendo che dell’indubitabile voto di protesta beneficiasse principalmente la Lega di Salvini, con tutte le tragiche conseguenze immaginabili.
Ha ragione chi in queste ore fa notare come parallelamente con il crescere dei pentastellati, ci sia stata una grossa incapacità degli stessi movimenti di aprire contraddizioni su questo fronte, ponendosi il problema di un’interlocuzione seria con quegli strati sociali che vedevano verso questa nuova realtà un’alternativa. Il recente libro di Loris Campetti, un viaggio nella classe operaia e nel mondo del lavoro in genere, è in questo senso molto istruttivo.
Un capitolo a parte deve essere dedicato alla sconfitta elettorale della sinistra. Non si tratta della ennesima tappa di una crisi che viene da lontano, ma evidentemente della sua scomparsa sul piano elettorale. Cioè è arrivato a compimento quel lungo processo iniziato con la Bolognina, che aveva prodotto una diaspora della sinistra politica espressa, da un lato, dalla nascita di vari partiti poi trasformati nell’attuale Pd, dall’altro dalla creazione di Rifondazione Comunista, poi implosa in varie piccole soggettività.
Sarebbe lungo fare l’elenco degli errori compiuti. Basti rammentare che negli anni del cosiddetto movimento no global, avevamo le piazze piene e le assemblee affollate di varia umanità, che il PRC aveva il 10% e che il tutto è evaporato anche a causa di gruppi dirigenti narcisi e incapaci di dare una prospettiva ad una nuova generazione di ribelli e di giovani che riempivano, pur facendo i conti con una dura repressione, le piazze di tutta Italia. In termini ridotti la stessa vicenda di Vendola, di Sel, la foto di Vasto con Di Pietro e Bersani, sono emblematici.
Sul piano elettorale l’ascesa dei 5 Stelle si spiega soprattutto così. A fronte di politiche antisociali che hanno visto prima l’Ulivo di Prodi, poi ancora di più il Pd renziano adoperarsi per smantellare gradualmente il welfare. Scelte in sintonia con le socialdemocrazie europee.
Ma la situazione italiana si contraddistingue per essere da sempre un laboratorio politico particolare. Ha visto nascere il fascismo, alla fine degli anni Settanta anticipò con l’accordo DC-PCI quello che diverso tempo dopo, in uno scenario molto diverso, succede in Germania con le Grandi Coalizioni, dopo Tangentopoli spalancò la strada al partito-impresa di Berlusconi, oggi propone il trionfo di un movimento anomalo come i 5 Stelle e nello stesso tempo vede la scomparsa quasi totale della sinistra politica (è bene ricordare che in Inghilterra, Francia e soprattutto Spagna, invece, negli ultimi si registra una inversione di tendenza, al di là delle e profonde differenze tra Corbyn, Melenchon e Podemos).
In questo contesto così complicato, dove la Lega miete consensi sempre più ampi non solo al Nord, visto che ha ormai sfondato anche in quelle che una volta venivano chiamate “regioni rosse” (oggi pallido ricordo del tempo che fu), dove a Macerata il partito di Salvini diventa il primo della città, quali prospettive si offrono ai movimenti, all’associazionismo di base, a quell’arcipelago di soggettività sceso parzialmente nelle strade della cittadina marchigiana il 10 febbraio?
Non sappiamo ancora che tipo di governo avremo di fronte. È evidente che un esecutivo a guida pentastellata insieme a un Pd libero da Renzi, si delineerebbe come il male minore, perché l’alternativa sarebbe Salvini. Ma al di là delle alchimie istituzionali, l’esito della tornata elettorale consegna uno scenario aperto. Il vuoto è enorme. Si tratta di riempirlo in molti modi.
In primis mettendo al centro del nostro agire politico un fondamentale lavoro sociale e culturale nei confronti di quella ampia parte del Paese regredita su posizioni xenofobe, razziste. Un Paese impoverito, spaventato, che nel “mors tua vita mea” vede l’unica soluzione.
Ma anche iniziando a dare vita a pratiche di vero e proprio mutuo soccorso, che mettano in rete le tante ricchezze e generosità che il mondo dei movimenti, dell’associazionismo e del volontariato laico e cattolico offrono. Sono questi i veri anticorpi presenti nella società italiana. E per fare questo non si può che partire, come sempre, dai nostri territori. Qui già da oggi sono presenti pratiche, esperienze importanti che vanno rafforzate e ampliate.
Si è detto che Macerata può significare una svolta. L’assemblea nazionale del 10 marzo ad Ancona, sarà una prima verifica importante. E a proposito del dopo 10 febbraio, a Senigallia è già iniziato un percorso per la nascita di un laboratorio politico -sociale con al centro l’antirazzismo, l’antisessimo e ovviamente l’antifascismo che ha già avuto, il 23 febbraio, in una affollata assemblea, un primo riscontro positivo individuando nell’8 marzo e nel 25 aprile due date simbolo su cui creare aggregazione e alfabetizzazione politica e culturale. L’auspicio è che questo esempio sia raccolto, anzi che già lo si stia raccogliendo.
Questo articolo è stato pubblicato di Arvultura.it