di Luigi Ambrosio
Con l’annuncio di candidatura nelle fila centriste della galassia berlusconiana del presidente della Lazio, Claudio “famo ‘sta sceneggiata” Lotito e del presidente della Sampdoria, Massimo Ferrero, il mitico Viperetta reso celebre dall’imitazione di Maurizio Crozza, la campagna elettorale iniziata da appena una settimana potrebbe chiudersi qui.
Quantomeno dal punto di vista dello spettacolo. O meglio, c’è da sperarlo che si chiuda qui, dal punto di vista dello spettacolo. A fronte di un Paese attraversato da pulsioni pericolose, quali la rabbia, il risentimento, la paura, a fronte delle esistenze sempre più precarie, a fenomeni di portata storica come quello dell’immigrazione che necessitano di pensiero e di politiche capaci di guidare il cambiamento, a fronte di una società che invecchia e a una marginalizzazione progressiva rispetto al resto del mondo, la politica dovrebbe essere capace di proporre visioni alte, inclusive, proiettate nel futuro, immaginando l’Italia nel contesto europeo e mondiale quantomeno nel medio periodo, quantomeno nei prossimi dieci, venti, trent’anni.
Invece no. Invece ha prevalso il brevissimo periodo, fino a questo momento. Il mettere in tasca qualche soldo alle persone. Sia chiaro, il problema non sono le proposte in quanto tali che in sé potrebbero essere perfino ottime. Il problema è che non si vede il disegno complessivo entro cui si collocano. I protagonisti della campagna elettorale rinunciano a comunicarlo, a proporlo agli italiani. Viene il sospetto che il disegno complessivo non sia contemplato.
La parola di questa campagna elettorale, fino a oggi, è stata “abolizione”. Abolizione di tutto quello che è stato fatto in precedenza. Ma la parola chiave potrebbe essere anche “rinuncia”. La rinuncia a spiegare con cosa verrà sostituito quello che si promette di abolire. La convinzione è che ai fini della comunicazione spiegarlo non importi e non sia utile.
Non è nemmeno più la prevalenza dello storytelling. È la prevalenza della promessa immediata. Quella che eccita l’immaginazione per un periodo brevissimo, fino al successivo flame sui social network, o al successivo titolo di telegiornale. Lo ha capito meglio di tutti, ancora una volta, Berlusconi, il quale infatti ha inventato la promessa che si autodistrugge nel giro di poche ore. Un format che non si era mai visto. Al mattino presto ti prometto che abolirò il jobs act, alla sera ho già cambiato idea.
L’importante è che qualcosa si sedimenti. Un sentimento che vada a solleticare il desiderio di rivalsa degli elettori. Del progetto chi se ne frega, il progetto non c’è. Come se nessuno avesse davvero voglia di vincere e di assumersi la responsabilità di cambiare. Come sembra lontano perfino il 2013. L’Italia affrontava una crisi grave, Monti imponeva lacrime e sangue, Bersani voleva smacchiare il giaguaro senza capire che Renzi si preparava a mandarlo in pensione, Grillo voleva aprire il Parlamento come una scatola di tonno.
Oggi Bersani è tra i promotori di una lista di sinistra antagonista del Pd ma che litiga al suo interno per l’appoggio ai candidati del Pd alle elezioni regionali, Renzi da rottamatore è diventato rottamando, il Movimento 5 Stelle si sforza di tranquillizzare tutti. E la stampa internazionale riabilita Berlusconi. È la rinuncia al futuro
Questo articolo è stato pubblicato da Radio Popolare l’11 gennaio 2017