Cosa intendiamo oggi per "umanità"? Un dibattito sulla rivista "Parolechiave"

24 Novembre 2017 /

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di Amina Crisma
Come ci ricorda Giacomo Marramao nel saggio introduttivo del nuovo numero (57/2017) di Parolechiave, rivista a lungo diretta da Claudio Pavone e poi da Mariuccia Salvati che dal 1993 è la nuova serie monografica del periodico Problemi del socialismo fondato nel 1958 da Lelio Basso, “la definizione di umanità e di umano è stata da sempre intrinsecamente conflittuale, in quanto ha sempre rappresentato un campo di lotta tra strategie, forze materiali, spinte ideali avverse, un terreno di scontro drammatico e spesso sanguinoso fra pratiche di potere e logiche discriminatorie verso l’esterno (autoctoni e stranieri, “noi” e “gli altri”) come verso l’interno (élite e massa)”.
“L’inumanità e la disumanità sono dunque state sin dalle origini innervate nell’umano come fattori costitutivi del suo significato”, e quindi “non è da oggi che si è prodotto lo sconfinamento tra umano e disumano: quello che a prima vista si presenta come confine è stato in realtà sempre una linea d’ombra lungo la quale venivano attivati tanto i rituali di inclusione quanto i meccanismi di esclusione o reiezione”. Così dunque tanto la soglia umano/disumano, che molte terribili vicende della storia passata e presente si incaricano di illustrare, quanto il transito umano/post-umano prefigurato nel presente e verosimilmente dispiegato in un inquietante futuro, sono entrambi espressioni di una costitutiva e tremenda ambivalenza dell’umano in sé, “capace di fare il male quanto il bene”, come ci rammenta l’Antigone di Sofocle.

Da queste premesse muove la riflessione critica a più voci svolta nelle pagine seguenti, che si sviluppa, com’è consuetudine della rivista fin dalle sue origini, in prospettive interdisciplinari e interculturali che muovono dal passato al presente per additare possibilità future. Nel dialogo fra Gennaro Sasso, Stefano Petrucciani e Giacomo Marramao, “L’umano tra diritto e politica” si ripercorre l’elaborazione del concetto di umanità attraverso la storia dell’Occidente, per proporne infine un nuovo orizzonte, che non si limiti a valorizzare la pluralità, ma che tenti di costruire una comunità umana improntata a un universalismo della differenza.
Sostanzialmente concordi con questo orientamento sono le considerazioni di Pietro Costa svolte in un testo del 2008 qui riprodotto, “I diritti oltre lo Stato”, che analizzando la dimensione retorica della Dichiarazione del ’48 suggerisce di ravvisarvi un elemento potenzialmente fertile, qualora la si consideri “non tanto come l’epifania di un’universalità già data, ma come un testo aperto a sempre nuove stipulazioni di significato, suggerite dal confronto e dalla contaminazione fra culture diverse” (e significative affinità con questa prospettiva mi sembra si possano cogliere, ad esempio, in Per un consenso etico fra culture di PierCesare Bori, del 1991).
Interrogandosi se sia ancora possibile una critica marxista dei diritti umani Ėtienne Balibar si chiede se la rivendicazione di eguaglianza abbia ancora un senso che sia formulabile politicamente, o se invece non sia proprio nelle attuali condizioni che essa acquista tutta la sua urgenza, imprescindibile per una politica dei diritti che non si riduca a mera finzione. In analoga direzione, e segnatamente in riferimento alla condizione degli immigrati senza documenti, Ayten Gündogdu si richiama a Marx e alla Arendt per definire oggi una nozione di umanità che non sia elusiva, e segue l’elaborazione di Claude Lefort per comprendere come il divario uomo/cittadino sia utilizzato come meccanismo di esclusione che implacabilmente genera una condizione di assenza.di diritti. E ancora in tema di diritti umani Daniele Menozzi ripercorre l’evoluzione dell’atteggiamento della Chiesa, dalla contrapposizione del passato al delinearsi di nuove modalità di convergenza caratteristiche del pontificato di Francesco e maturate nella percezione delle nuove e gravi minacce poste dalla società contemporanea alla dignità delle persone.
Nella sezione dedicata ai modelli, Marcello Flores raffigura le peculiarità di un’idea e di una pratica di umanità che appaiono davvero uniche nella storia del Novecento, quelle incarnate nella paradigmatica esperienza di Nelson Mandela. Dal canto suo il contributo di Francesco Remotti, “L’umanità in mano all’umanità”, dopo aver evidenziato gli aspetti salienti dei processi di antropo-poiesi, sottolinea con forza l’esigenza di costruire una nozione di umanità che non guardi solo all’attualità di se stessa, ma anche al di là e al di fuori dei propri confini: in direzione di dei e antenati, di altri gruppi umani, degli altri esseri che abitano il mondo.
Nella sezione Storie e luoghi Luca Baccelli ricostruisce l’istruttiva vicenda della discussione intorno alla nozione di umanità nella conquista dell’America, che offre spunti per considerazioni molto attuali: se essa da un lato ci mostra esempi eloquenti di un suo uso imperialistico e strumentale, fino a giustificare i genocidi dei nativi, dall’altro invece rivela la possibilità di un diverso approccio, pluralistico e inclusivo, paradigmaticamente concretizzato nell’opera di Las Casas, in cui il riferimento alla comune umanità si configura come un’irrinunciabile risorsa di validità perenne.
Nel mio saggio (Amina Crisma, “Umanità nelle tradizioni di pensiero cinesi”) cerco di mostrare come il confronto con esse sia ineludibile, se si vuol davvero uscire dall’eurocentrismo, e al tempo stesso non se ne può sottovalutare la complessità, irriducibile al vieto gioco di specchi di una stereotipata antitesi Oriente/Occidente. Le nozioni di umanità elaborate nella Cina antica se da un lato si inscrivono in un comune background che concordemente privilegia la relazionalità intrinseca degli esseri umani, dall’altra si sono esplicitate in una vasta gamma di differenti espressioni, dando luogo a diverse concezioni di “natura umana” (xing) e a posizioni programmaticamente divergenti fra considerazioni della realtà effettuale e ideali, fra disincanto e utopia. Diverse sono state anche le concezioni del ruolo del Femminile, che ha conosciuto segnatamente in ambiente taoista quanto mai fertili tematizzazioni e sviluppi; ma anche la nozione del “senso d’umanità” (ren) confuciano, qualora se ne riconosca l’articolata dialettica interna, sottraendola alle grandi narrazioni invalse che la riducono a mera disciplina conformistica e autoritaria, può rivelarsi una risorsa feconda per costruire un inedito orizzonte di universalismo contestuale.
“Diritti delle donne e diritti umani” e “Congedarsi da una grande trasformazione: da Solaris a Blade Runner e ritorno” si intitolano i saggi di Anna Rossi Doria e Carlo Donolo, entrambi recentemente scomparsi (rendono loro omaggio Andreina De Clementi, Mariuccia Salvati e Goffredo Fofi). Il primo esorta a una rinnovata riflessione sul tema della differenza sessuale, sottolineando come essa possa portare non a un rinnegamento, ma anzi a un rafforzamento del principio dell’uguaglianza: nel contesto attuale tanto segnato dai pericoli dei fondamentalismi, essa può contribuire alla critica di ogni concezione identitaria e fondamentalista sia della differenza sessuale che delle differenze culturali, da definire criticamente, “non come identità statiche, ma come frutto di continui incroci e trasformazioni”.
Il secondo definisce un modo peculiare di pensare alla globalizzazione, “non tanto ai fatti crudi di cui è costruita, ma sempre e prevalentemente al modo in cui siamo in condizioni di viverla”, e inoltre precisa: “Fin dall’inizio ho scartato l’ovvia ma inconsistente contrapposizione fra apocalittici e integrati, tra i fautori delle magnifiche sorti e progressive e i catastrofisti, ma anche tra gli ipercritici del reale e i laudatores temporis acti”. Rifiutando sia gli assolutismi di una critica fondamentalista sia ogni apologia della realtà “che a ben vedere è solo copertura degli interessi dominanti”, lo sforzo è quello di “capire e vedere anche nell’opacità”: muovendo da questi assunti, Carlo Donolo ci consegna in pagine penetranti due diversi panorami del mondo futuribile, quello di Solaris, dove il futuro sembra serbare un cuore antico, e quello infernale di Blade Runner, dove alle passioni tristi e disumane degli umani si contrappone la capacità dei non-umani di coltivare umanissimi affetti: in entrambi i casi, “resta il grande interrogativo di una riconciliazione possibile fra passato e futuro, tra tecnica e ominazione, tra anima e civilizzazione”.
Un interrogativo che attraversa con la sua tensione il visionario, profetico (e ironico) testo di Philip Dick L’androide e l’umano (1972) dedicato al mysterium incarnationis biotecnologico richiamato nell’introduzione a questo volume, e opportunamente posto a suo efficace e problematico suggello.
Questo articolo è stato pubblicato da Inchiesta Online il 22 novembre 2017 e sul numero 57/2017 della rivista che è erede e prosecutrice di “Problemi del socialismo”, il celebre periodico fondato quasi sessant’anni fa da Lelio Basso

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