di Vincenzo Vita
Non era ancora successo. C’è sempre una prima volta, come si dice. E così il G7 a Ischia, dedicato alla lotta al terrorismo, vedrà seduta allo stesso tavolo dei governi una cospicua rappresentanza degli Over The Top: Google, Microsoft, Facebook e Twitter.
Anche simbolicamente si prende atto che lo stato-nazione non è ormai declinabile secondo le consuete definizioni spazio-temporali tipiche dell’era analogica, bensì nuota in un acquario assai più ampio. Accanto ai poteri finanziari, che da tempo stanno nella zona rossa della stanza dei bottoni, attraversano ora prepotentemente il «red carpet» imperiale gli oligarchi dei dati, i padroni esclusivi degli algoritmi che reggono l’architettura della conoscenza, i custodi delle nostre identità digitali: quelle che solo loro, e non noi semplici utenti-sudditi, conoscono.
La «Datacrazia» è, secondo il sociologo dei media Derrick de Kerckhove, la dimensione reale verso cui si incammina il mondo post-democratico, il territorio della transizione in corso. Di cui, per capirci, il ridimensionamento dei parlamenti e delle assemblee elettive è uno dei capitoli.
Alla dialettica delle istituzioni che lo stato di diritto ci ha consegnato si sostituisce un arcipelago variegato di fonti di decisione. E i grandi aggregatori nella e della rete sono le star acclamate. Ad Ischia, dove l’ospite è il ministro italiano, si legittima un nuovo status della sovranità. Lo ha annotato con sapienza il giornalista e docente Michele Mezza, cui si devono diversi testi inascoltati dai ceti dirigenti.
Insomma, il G7 ci racconta la verità: non solo le tecniche, bensì direttamente la politica si sono fatte digitali. C’è pure del grottesco in tale vicenda. I responsabili dei governi accolgono a mo’ di nuovi divi coloro che ancora non pagano le tasse dovute, tant’è che la Commissaria europea Vestager ha comminato multe salatissime a Google.
Solo ora, dopo anni di discussione, si sta immaginando una «digital tax» nella legge di Bilancio. Inoltre, i risultati elettorali, come avvertono le cronache prima ancora che la scienza delle comunicazioni, sono largamente influenzati dalla «profilazione» dei cittadini connessi ai social o riconosciuti dalle mille strisciate nell’«Internet delle cose».
Il caso degli Stati Uniti e della vittoria di Trump (ma lasciamo a lui lo scettro del combattente?) o le avventure degli hacker russi (tra i tanti) insegnano che la vecchia televisione generalista conta sì, ma molto meno. Dunque, i gestori delle fortune degli stessi governi partecipano direttamente alle riunioni con i loro clienti.
Ovviamente, il dialogo con i protagonisti della post-democrazia digitale è utile e necessario ma la diplomazia ha sempre curato – quasi ossessivamente – la collocazione dei posti a tavola. Quindi, la vicenda di Ischia non va ridotta a una necessità dettata dal delicato ordine del giorno. Proprio la lotta al terrorismo esige, se mai, un quadro di riferimento da discutere con il vasto mondo della rete, non limitandosi ai «trust» del sistema.
Le Nazioni unite diedero vita a un organismo specifico, l’«Internet governance forum», il cui primo coordinatore fu Stefano Rodotà. Perché l’Igf non sarà ad Ischia? A meno che il negoziato non sia la premessa per scrivere la sintassi di uno spazio pubblico, trasparente e partecipato, senza algoritmi proprietari. Che ne dice il ministro Minniti? Il terrorismo si ferma con la democrazia, non con gli scambi di potere.
Utopia per realisti, come scrive il titolo di un bel libro.
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano il manifesto il 18 aprile 2017