di Mario Agostinelli e Daniele Farina
In Catalogna succedono cose serie e drammaticamente allusive delle implicazioni dei percorsi identitari nella involuta fase europea e mondiale. In Lombardia e Veneto assai meno. Se si volesse seriamente discutere di poteri, di autonomie locali, bisognerebbe piuttosto farlo partendo da quegli enti chiamati comuni. Per ragioni storiche e fatti.
Con un esame piuttosto impietoso anche dell’ultima geniale abolizione delle province, con trasferimento presunto di parte delle competenze alle regioni e la creazione di evanescenti città metropolitane. Non guasterebbe anche, per una valutazione della bontà dell’idea, un esame del come le creature regionali hanno gestito nientemeno che la materia sanitaria e le relative risorse.
Là dove il diritto alla salute collassa e dove lo si autoproclama eccellente. Regnante Formigoni la “Lombardia dell’eccellenza” (e dei cadaveri del Santa Rita) aveva cominciato a proporre più di dieci anni fa, attraverso la formulazione del proprio statuto e la modifica degli articoli 115, 116, 117,
il modello di una piccola Baviera all’italiana, ove ristorare un “popolo” descritto come vessato dal peso dell’Italia sotto il Po. Poi la pausa di Milano sottratto alla Moratti,
l’eccessivo entusiasmo per EXPO, la città verticale, ci hanno fatto dimenticare che il problema principale della nostra regione, in crisi strutturale, è di rientrare nel circolo dell’innovazione. di produrre e redistribuire ricchezza, non di stringersi al petto quella residua, sempre più spesso inquinata da corruzione e intrusioni mafiose.
In estrema sintesi, reputiamo prevalenti le pessime intenzioni politico generali di chi propone i referendum e non ci solleva affatto conoscerne l’efficacia concreta sostanzialmente nulla. Ci indignamo, anche senza strapparci le vesti soltanto per i soldi buttati,, ma noi il 22 ottobre, qui in Lombardia, rispettando chi si astiene, votiamo NO.
Questo articolo è stato pubblicato da Inchiesta online il 18 ottobre 2017