di Alfiero Grandi
Noi rivendichiamo con forza il risultato del referendum del 4 dicembre 2016, che troppi stanno cercando di ignorare e di far dimenticare. Naturalmente la vittoria del No appartiene a tutti coloro che il 4 dicembre 2016 si sono pronunciati contro la deformazione della Costituzione fortemente voluta da Renzi. Quindi non è solo nostra, ma perfino di settori che in passato non si sono certo schierati a difesa della Costituzione, ma questo è un problema loro non nostro.
In questo ambito noi rivendichiamo di avere svolto un ruolo preciso, che riteniamo importante. Non solo siamo partiti per primi l’11 gennaio di un anno fa, proprio in questa sala, nella campagna per il No, ma soprattutto abbiamo lavorato per dare dignità, argomenti di merito e forza collettiva a quanti erano contrari alla deformazione della Costituzione ma erano frenati dal timore di entrare nell’orbita politica di altri.
Grazie a noi chi non si sentiva di centro destra e neppure dei 5 stelle, con cui pure abbiamo spesso collaborato nella campagna referendaria, è stato incoraggiato a dire un No forte e chiaro e questo ha contribuito a salvare la nostra Costituzione nata dalla Resistenza. Questo lo rivendichiamo con forza. Renzi aveva ragione su un punto: c’era, e c’è, un rapporto inscindibile tra modifiche della Costituzione e legge elettorale (Italicum) da lui fortemente volute.
Non possiamo dimenticare che dalla legge elettorale (Italicum) fu tolta la parte riguardante il Senato quando si decise di ridurlo ad un dopolavoro di lusso – non eletto – per consiglieri regionali e sindaci. Italicum approvato ricorrendo ad un uso spregiudicato dei regolamenti parlamentari e perfino al voto di fiducia. In seguito, durante la campagna referendaria, per ragioni puramente tattiche Renzi ha sostenuto che modifiche costituzionali e legge elettorale erano cose diverse. Noi al contrario di altri non abbiamo dimenticato la sua posizione iniziale e restiamo convinti fosse quella autentica.
Dopo la vittoria del No, che troppi cercano di archiviare, ora è la fase della legge elettorale.
Prima abbiamo combattuto il Porcellum che troppi, anche nel centro sinistra, hanno subito volentieri perché consentiva di scegliere i parlamentari da eleggere. Dopo abbiamo combattuto l’Italicum renziano, degno erede del Porcellum. Grazie all’azione intelligente della rete di avvocati promossa dal Cdc e guidata da Besostri abbiamo sollevato di fronte alla Corte l’incostituzionalità dell’Italicum, ottenendo risultati che hanno cambiato la legge addirittura prima che entrasse in vigore.
Risultati importanti, senza dubbio, ma non sufficienti a cambiare la struttura di fondo dell’Italicum. Tanto è vero che quanto resta dell’Italicum, attualmente in vigore per la Camera, consente ai capi partito di nominare nel complesso i 2/3 dei deputati, attraverso i capilista bloccati, che per molte liste sarebbero gli unici eletti, e le pluricandidature. Senza dimenticare che l’impianto sostanzialmente proporzionale può ancora diventare ipermaggioritario se una lista arriva al 40 % dei consensi e questo aumenterebbe ancora la quantità di nominati. Non a caso il centrodestra, accreditato al 36 % , sta facendo di tutto per arrivare ad una lista unica. Mentre al Senato con quel che resta del porcellum avremmo collegi enormi, con milioni di elettori, con conseguenti campagne elettorali molto costose perché la scelta dei senatori avverrebbe attraverso le preferenze. Senza dimenticare le soglie di accesso all’8 % per le liste, tali da escludere in partenza i rappresentanti di liste con milioni di voti.
Rendere omogenee le due leggi e togliere gli elementi di incostituzionalità (ad esempio voto di genere non c’è al Senato) è possibile, come ha suggerito il prof Pertici, ma non può essere fatto dal governo con un provvedimento d’urgenza all’ultimo minuto, come si sente proporre da alcuni ambienti. Questa sarebbe un’ulteriore porcheria.
Questo va ricordato a chi si è frettolosamente precipitato a chiedere l’estensione di quanto è rimasto dell’Italicum anche al Senato. Per quanto a impatto negativo ridotto l’Italicum resta una legge elettorale inaccettabile soprattutto per chi ha partecipato alla campagna per il No. L’iniziativa degli avvocati, che si sono riuniti in questa sala questa mattina, prosegue tuttora per tentare di ottenere ulteriori pronunciamenti dalla Corte, ma l’aspetto più importante è prepararsi fin da ora a sollevare le questioni di costituzionalità sul nuovo testo di legge elettorale che potrebbe continuare a non rispettare la Costituzione.
I costituenti decisero di non inserire esplicitamente nella Carta i principi della legge elettorale. E’ tanto vero che l’articolo 138, che regola le modifiche costituzionali, cambia i suoi effetti in presenza di leggi elettorali maggioritarie. Basta ricordare quanto è accaduto sull’articolo 81, che è stato modificato all’epoca del governo Monti da una maggioranza parlamentare bulgara, eletta grazie al porcellum, e questo ha impedito il referendum su questa inaccettabile modifica della Costituzione.
La soluzione preferibile più che alzare il quorum del 138 per tutelare la Carta costituzionale è tornare ad una rappresentanza parlamentare eletta sostanzialmente con il proporzionale. Il professor Zagrbelsky ha scritto: il proporzionale è l’unico sistema imparziale in un sistema politico non bipolare come è l’attuale.
Perfino se pensiamo al voto tedesco le giuste preoccupazioni sulla crescita dell’ultra destra non possono farci dimenticare che quel sistema elettorale proporzionale ha spinto 2 milioni di elettori in più ad andare a votare e questo in sé è un aumento di partecipazione democratica importante, mentre in Francia il Presidente è stato eletto con il 24 % dei voti e il suo partito che aveva preso il 28,2 % dei voti ha ottenuto il 53,4 % dei seggi, dopo aver ricordato questi dati il prof D’Alimonte conclude scoraggiato che l’assemblea nazionale francese è incostituzionale secondo le sentenze della nostra Corte.
Appunto. Anche se la legge elettorale non è inserita nella Costituzione, la Corte costituisce una rete di protezione importante per dare coerenza con i principi fondamentali alla legge elettorale. La Corte va chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità delle leggi elettorali, come abbiamo fatto, e incoraggiata a svolgere il suo ruolo di garante. Questo purtroppo non ha impedito al nostro paese di votare ben 3 volte con il Porcellum, dando vita alla serie nefasta dei parlamentari nominati dai capi partito, con la conseguenza di una drammatica caduta di credibilità tra i cittadini del ruolo del parlamento.
Non è questione da poco per una Costituzione che attribuisce al parlamento un ruolo fondamentale nella vita democratica, sia per rappresentare i cittadini, sia per legiferare. Ruolo oggi in gran parte svolto dal parlamento sotto il ricatto dei voti di fiducia e di deleghe in bianco al governo oltre ogni ragionevole misura. Questo parlamento ha già una forte ipoteca sulla sua legittimità per essere stato eletto con una legge dichiarata incostituzionale. Malgrado questo ha tentato con protervia di cambiare la Costituzione. Ora dovrebbe sentire come un dovere dare ai cittadini una nuova legge elettorale, pienamente costituzionale dall’inizio, coerente con l’esito del referendum costituzionale.
Occorre una legge elettorale coerente per Camera e Senato come ha chiesto anche il Presidente Mattarella. Naturalmente non una legge qualsiasi, ma coerente con la Costituzione, come ha opportunamente detto il Presidente del Senato Grasso quando ha ricordato che esistono dubbi su aspetti dell’ultima proposta in discussione (Rosatellum 2).
Naturalmente si può votare anche con queste due leggi elettorali ma ricordando che sono il risultato di due diverse sentenze della Corte, emesse in epoche diverse su due testi di legge diversi e gli effetti sono difficilmente prevedibili. Questo va ricordato a quanti hanno a cuore la governabilità a giorni alterni.
Dopo la vittoria del No c’è stata una lunga pausa seguita alle dimissioni del governo Renzi, in seguito si sono susseguite ben 4 proposte di legge, con orientamenti molto diversi, dal maggioritario al proporzionale, ma tutte con il dato comune che i cittadini non potevano scegliere i loro rappresentanti perché i parlamentari erano sempre nella grande maggioranza nominati dall’alto, dai capi partito. Più proporzionale o più maggioritario: i parlamentari nominati dall’alto sono sempre stati la costante delle diverse proposte. Questa è la costante presente anche nella proposta attuale, la quinta, che in questo senso è forse ancora peggiore.
A giugno abbiamo assistito ad una commedia di scarso valore scenico su un testo che è stato definito unilateralmente derivato dalla legge tedesca, al solo scopo di confondere le idee. Una proposta che aveva sulla carta l’80 % del parlamento a favore è saltata per un emendamento approvato senza l’accordo di tutti ma largamente preannunciato. Un incidente, certo, ma che in realtà è servito da pretesto perché la reazione dei sostenitori del maggioritario, molto forti anche nel Pd, ha consigliato a Renzi di lasciare cadere questo tentativo e quindi l’incidente è stato un pretesto per bloccare tutto.
Ora la nuova proposta oscilla tra l’esplicita vendetta per penalizzare chi ha lasciato il Pd e in generale ciò che si muove alla sua sinistra e una quantità di nominati dai capipartito che la avvicina al porcellum: 64 % di parlamentari direttamente nominati dai capi partito nelle liste di partito, senza dimenticare la parte dei candidati nel maggioritario. Va sottolineato che sarebbe un netto peggioramento rispetto ad oggi visto che il 64 % di nominati nelle liste del proporzionale varrebbe per la Camera e il Senato, raddoppiando, al netto degli altri meccanismi.
Siamo decisamente contrari, moralmente ed eticamente, ad un altro parlamento composto sostanzialmente da nominati dall’alto. Chi avanza questa proposta forse non si rende conto che apre una grande questione democratica. Non è in gioco solo il ruolo parlamento, ma la Costituzione stessa. Di conseguenza è in gioco l’assetto democratico del nostro paese, che per noi deve restare fondato sulla centralità del parlamento, come prevede la nostra Costituzione, e sulla separazione dei poteri.
La destra aveva teorizzato che i voti ottenuti e la maggioranza parlamentare ottenuta con artifici elettorali ripulivano tutto con una sorta di amnistia generale automatica per gli esponenti politici, altri dovrebbero al contrario mantenere ben fermo il principio dell’autonomia dei poteri come indica la nostra Costituzione.
Un altro parlamento di nominati (ha scritto Lorenza Carlassare: parlamentari ridotti a manovrabili pedine) che non rappresenta il paese potrebbe essere aprire la strada ad una deriva di tipo presidenzialista, che del resto era ben visibile anche nella preferenza di Renzi per una sorta di sindaco d’Italia, cioè lo scivolamento verso una personalizzazione estrema della rappresentanza politica.
Le modalità per consentire ai cittadini di scegliere i parlamentari possono essere diverse. Collegi piccoli uninominali inseriti in un sistema proporzionale, preferenza unica sui candidati sempre in presenza di una sostanziale proporzionalità. Va sottolineato che la proposta di legge che dovrebbe andare in aula alla Camera il 10 ottobre prevede il proporzionale per i 2/3 degli eletti e quindi la soglia del 3 % è in realtà solo per quella quota di parlamentari e non tiene conto degli effetti del voto unico per l’uninominale e per la lista, o le liste, meccanismo che favorisce i partiti maggiori, a scapito dei partiti minori.
Ha ragione il professor Onida, il voto unico per uninominale e liste del proporzionale è inaccettabile, le due schede che lui propone potrebbero essere un passo avanti, tuttavia questo non basta perché la proposta di legge attuale prefigura un parlamento di nominati dall’alto, peggio di quanto attualmente accadrebbe con le norme in vigore. Questa è una questione democratica di enorme portata perché riguarda la credibilità stessa del parlamento presso gli elettori, il loro sentirsi rappresentati.
Sono due i capisaldi della nostra posizione: 1) tutti i parlamentari debbono essere scelti direttamente dagli elettori con il voto e quindi debbono rispondere a loro del loro operato; 2) sostanziale proporzionalità della rappresentanza, con soglie limitate di accesso, non escludenti di liste con un seguito rilevante di elettori e che non ostacolino la costituzione di nuovi soggetti politici, aggiungo: esclusione di ogni ulteriore premio di maggioranza, tanto più in presenza di soglie di accesso, altrimenti è meglio parlare di premio ad una minoranza più che di premio di maggioranza.
Adami ha avanzato una proposta ragionevole per realizzare un diritto di tribuna graduale fino alla soglia di accesso. Proposta che sembrava impraticabile, poi all’improvviso è comparsa la soglia dell’1 % nella proposta di legge elettorale che andrà in aula tra pochi giorni al solo fine di favorire le liste maggiori con cui queste “liste a perdere” potranno apparentarsi svolgendo il ruolo di acchiappavoti, facendo un vistoso favore a Berlusconi.
La governabilità è un problema reale ma va risolto senza manomettere la rappresentanza, semmai introducendo la sfiducia costruttiva (su cui ha già lavorato Alessandro Pace) e ridando ai partiti il ruolo che dovrebbero avere secondo quanto afferma la Costituzione, cioè essere centri di iniziativa di cittadini che avanzano proposte politiche da sottoporre agli elettori e che trovano le sintesi necessarie nel confronto parlamentare. Semmai va regolata dalla legge la loro vita democratica interna garantendo le minoranze. Il professor Volpi ha ricordato che malgrado meccanismi elettorali maggioritari dal 1993 abbiamo avuto 14 governi.
E’ evidente che la modifica della Costituzione e l’Italicum spingevano verso un accentramento politico con forti venature autoritarie. Questa scelta interpreta la spinta di poteri europei e internazionali, in particolare delle multinazionali e del mondo finanziario, che vogliono mani libere e decisioni conformi alla loro volontà in tempi rapidi. La globalizzazione è l’alibi per giustificare la riduzione degli spazi di democrazia in nome della velocità delle decisioni. Il modello sono i consigli di amministrazione e gli amministratori delegati. In Italia gli attacchi alla Costituzione hanno radici antiche, come del resto il presidenzialismo proposto da Craxi alla fine del 1979.
Sono tornate in campo con nuova forza le pressioni per rivedere Costituzioni come la nostra considerate di ostacolo a questa evoluzione autoritaria e tecnocratica perché fortemente influenzate dalla Resistenza e da una discriminante antifascista, posizione che oggi non sembra affatto fuori tempo. Anche per questo aderiamo alle proposte di Smuraglia e dell’Anpi di lanciare una campagna per rispondere ai rigurgiti neofascisti.
Nel nostro paese vengono riproposte esplicitamente proposte di modifica della Costituzione, malgrado la vittoria del No. Il rilancio attuale mette direttamente in discussione non solo la seconda parte della Costituzione ma, superando ogni imbarazzo precedente, anche la prima, quindi i diritti che sono alla base della coesione sociale e che anzi andrebbero realizzati. Questo dovrebbe chiarire a tutti che i meccanismi decisionali e l’assetto istituzionale sono decisivi per le scelte politiche, lo ha ricordato più volte Massimo Villone.
Un parlamento rappresentativo è in grado di ascoltare i cittadini e di fare politiche conseguenti per risolvere i loro problemi, un parlamento prono al volere dei capi no. Per questo è aperta in Italia una grande questione di democrazia, della sua qualità. Compromettere ulteriormente il ruolo del parlamento apre spazi alla destra che è presidenzialista da sempre, meno comprensibile è perché il Pd si presti a questa deriva, se non in nome di un possibile ruolo neocentrista.
In ogni caso gli altri settori politici, penso non solo alla sinistra, hanno il dovere di ingaggiare una battaglia nazionale democratica per ottenere un parlamento non solo eletto con un sistema proporzionale ma con parlamentari scelti dai cittadini. Se stiamo agli squilli di tromba questa proposta di legge elettorale avrebbe i numeri per passare, ma molti e forti segnali dicono al contrario che si tratta dell’ennesima finta per evitare di restare con il cerino in mano per il fallimento dell’approvazione di una nuova legge elettorale.
Non facciamo gli scommettitori di professione, ma dobbiamo essere pronti a tutte le possibilità, mettendo in moto una campagna di informazione, per accelerare la presa di coscienza dei pericoli per la nostra democrazia, nata dalla Resistenza, avviando la mobilitazione più ampia possibile per esporre in qualunque situazione i semplici capisaldi che ho ricordato: potere agli elettori e rappresentanza reale della loro volontà.
Oggi chiediamo a tutti i Comitati territoriali, alle diverse associazioni che considerano la Costituzione un bene comune del nostro paese, di impegnarsi in questa campagna per ottenere una legge elettorale nuova, pienamente costituzionale, che garantisca piena rappresentatività del parlamento, a partire dal diritto degli elettori di decidere direttamente chi li deve rappresentare. Invitiamo a diffondere materiale, organizzare dibattiti e manifestazioni, per rendere chiaro che siamo ad un tornante decisivo e delicato da cui dipende la qualità della futura democrazia del nostro paese. Una campagna martellante di propaganda ha cercato di convincere i cittadini che la legge elettorale è materia complicata, inaccessibile, che è inutile occuparsene tanto non se ne farà nulla. Noi cercheremo di contrastare questa campagna e di risalire questa china, di informare, di chiarire e invitiamo quanti hanno a cuore le sorti della nostra democrazia ad appoggiare questa iniziativa o di agire in autonomia con lo stesso obiettivo.
Facciamolo ora, se non vogliamo pentirci domani di quanto non abbiamo fatto. Una buona legge elettorale è condizione necessaria per garantire la Costituzione, questo dovrebbe essere il compito di tutti coloro che si sono schierati per il No.
Questo testo è l’introduzione di Alfiero Grandi all’assemblea romana del Coordinamento democrazia costituzionale tenutasi il 2 ottobre 2017