di Nadia Somma
L’Italia non è un Paese per donne. Le statistiche ce lo ricordano impietosamente tutte le volte. La “Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri”, presentata alla fine di giugno al Ministero del Lavoro, descrive la dura realtà contro la quale impattano molte donne italiane. Il documento è stato praticamente ignorato da buona parte della stampa e sarebbe interessante capirne il motivo. Non fa notizia la disoccupazione femminile o l’impoverimento delle famiglie o il numero crescente di giovani donne senza un reddito?
In Italia, le lavoratrici che scelgono di mettere al mondo un figlio o una figlia corrono il rischio di restare disoccupate, di crescere i figli in una famiglia monoreddito e quindi a rischio di povertà, e di perdere definitivamente l’indipendenza economica.
La situazione è preoccupante. Le dimissioni e le risoluzioni consensuali delle lavoratrici e dei lavoratori sono state 37.738 nel solo 2016. Il 12% più del 2015 (31.249), il 19% del 2014 e l’11,27% in più rispetto al 2013 confermando un trend negativo che non conosce arresto e che coinvolge soprattutto chi è in attesa del primo figlio: circa il 60% del totale.
Ma sono soprattutto le neomadri ad essere penalizzate. Costrette o indotte a licenziarsi anche per l’impossibilità di conciliare l’occupazione e la cura dei figli, quando non perdono il lavoro possono andare incontro a mobbing, demansionamento o isolamento sul luogo di lavoro. Se si mettono alla ricerca di un nuovo lavoro, l’essere madre può divenire una condizione di esclusione permanente. I numeri parlano chiaro: nel 2016 ben il 79% delle lavoratrici madri (27.443) si sono dimesse dal lavoro, circa duemila in più del 2015 quando erano state 25.620.
In una nota congiunta, Loredana Taddei, responsabile nazionale delle Politiche di Genere della Cgil, Liliana Ocmin, responsabile del Coordinamento Nazionale Donne Cisl e Laura Pulcini, Coordinamento Pari Opportunità Uil, hanno dichiarato che “sono dati che confermano il perdurare dei fenomeni discriminatori che penalizzano fortemente le donne, nonostante in ogni sede ed in ogni luogo si ribadisca il concetto che il benessere delle donne coincide con quello del Paese”. Considerazioni che non attraversano la strada alla politica del governo. Mettere al mondo i figli è diventata una questione privata che grava solo sulle spalle di chi fa questa scelta e infatti le risposte politiche, quando ci sono, si appellano alla buona volontà delle cittadine e sono risibili come la campagna sul Fertility day. A parte gli opuscoli, il nulla. Le disparità aumentano e la precarietà del lavoro, l’abbattimento di garanzie e diritti e la cancellazione del welfare continuano ad amplificare le disparità.
Questo articolo è stato pubblicato dal FattoQuotidiano.it il 12 luglio 2017