di Tomaso Montanari
Il 54% degli italiani non ha votato. È questo il dato più importante, eloquente, drammatico del secondo turno delle amministrative. O si parte da qua, o non si esce da quella che è con ogni evidenza non solo una crisi della sinistra, ma una crisi della democrazia italiana. Per quanto ancora potremo parlare di democrazia, se la maggioranza dei cittadini continuerà a non partecipare?
Eppure era questo il messaggio più importante del 4 dicembre: un’enorme voglia di partecipazione. Milioni di cittadini che hanno detto No al prosciugamento degli spazi di partecipazione, che hanno detto di No alla governabilità come unica stella polare: milioni di cittadini che ora non trovano rappresentanza. Che non trovano nessuna forza politica a cui dire di sì.
L’arroganza e la sordità ormai grottesche di Matteo Renzi sono un tappo poderoso, e sono l’ostacolo più clamoroso sulla strada di una sinistra unita e nuova. Ma anche se Renzi scomparisse oggi stesso dalla scena politica italiana, non avremmo certo risolto il nostro problema.
La soluzione è, invece, rifondare una comunità politica intorno a un progetto chiaro di Paese. Che, a sinistra, non può che essere un progetto di redistribuzione della ricchezza, costruzione della eguaglianza, ricostruzione dello Stato e del pubblico. Partendo dal basso: cioè dalla partecipazione, dalla creazione di un progetto condiviso, dalla ricomposizione di una rappresentanza parlamentare che non sia l’emanazione degli apparati, ma una vera proiezione del tessuto del Paese.
Purtroppo mi pare che ciò a cui lavora Giuliano Pisapia non sia questo. Il primo luglio sarò ad ascoltare, e cercherò finalmente di capire. Ma per quel che si legge sui giornali sembra che si lavori ancora una volta a una aggregazione dall’alto. E, come dimostra l’incredibile incontro napoletano a cui hanno partecipato Pisapia e Bersani, si tratta di un’aggregazione che non va molto per il sottile.
E poi c’è un altro interrogativo: Pisapia dice che questa lista sarà “alternativa al Pd”. Ma intende alternativa nelle urne, o anche in Parlamento? È un nodo da sciogliere prima del voto, evidentemente.
Il caso drammatico di Genova dimostra che una sinistra tutta unita dall’alto, intorno al Pd e senza discontinuità con la classe dirigente delle ultime stagioni è destinata a perdere. Anche a Genova il dato clamoroso è l’astensione: non ha votato il 57,3 % dei genovesi!
E mentre i vertici di questa povera sinistra sono persi nei loro rituali da Bisanzio assediata e condannata, la base sembra avere le idee molto più chiare.
Per esempio. L’assemblea regionale lombarda di Articolo Uno – Mdp che si è riunita sabato scorso, ha approvato una mozione in cui si legge:
“Occorre un nuovo soggetto politico che sappia offrire al vasto mondo del centrosinistra un’alternativa al Pd, che sia credibile e con ambizioni di governo. Un nuovo centrosinistra non può esistere a prescindere da questo nuovo soggetto. Per fare questo serve:
- il riconoscimento degli errori compiuti negli ultimi 3 anni di governo, ma anche una forte discontinuità con le politiche neoliberiste che hanno condizionato anche le migliori esperienze di centrosinistra degli ultimi 20 anni;
- la piena consapevolezza di ciò che ha rappresentato il voto del 4 dicembre. Cioè che i cittadini, in particolare le giovani generazioni, si sono mobilitati per esprimere il proprio disagio e per difendere i valori fondanti della Costituzione;
- prendere atto che non è questa la stagione di possibili accordi elettorali prima del voto e che serve invece sfidare il Pd sui contenuti da una posizione di forte autonomia. Attardarsi nella riproposizione di uno schema politico esaurito non fa altro che accrescere la diffidenza ancora elevata anche nei nostri confronti e contribuisce ad alzare artificiosi steccati nei confronti di una parte importante delle associazioni e delle forze politiche che hanno partecipato alla battaglia referendaria e che si sono riunite domenica 18 giugno al Brancaccio”.
Ecco, il primo luglio io andrò ad ascoltare, in Piazza Santi Apostoli. Ma spero che anche chi sarà su quel palco saprà ascoltare la sua gente. Perché – come canta Francesco De Gregori – “è la gente che fa la storia: quando si tratta di scegliere e di andare te la ritrovi tutta con gli occhi aperti, che sanno benissimo cosa fare”.
Questo articolo è stato pubblicato dall’Huffigton Post il 26 giugno 2017