di Lorenzo Carapellese, urbanista
Gli obiettivi dichiarati della nuova legge urbanistica sono quattro: saldo zero di suolo, riqualificazione degli edifici, semplificazione della disciplina urbanistica e controllo della legalità.
A partire da quest’ultimo obiettivo, sorge il dubbio che dalla legge urbanistica 47/78 alla legge 20/2000 e sino ad ora ci sia stata tanta illegalità diffusa su tutta la regione sì da spingere il legislatore ad enunciare così pomposamente il principio del “controllo della legalità” probabilmente perso in tutti questi anni ( a suo parere). Come se mettere per iscritto il principio del “controllo di legalità” questa sia assicurata cosicché con questa logica potremo fare tutte le prossime future leggi e mettere mano a quelle esistenti: basta mettere che nella legge per pesatura delle alici e quella per la sanità, così come quella per la legge elettorale “ci sia il controllo della legalità”. Cantone può iniziare a fare gli scatoloni e chiudere l’agenzia che dirige.
L’impressione è che “il controllo della legalità” sarà determinato da di ricorsi e litigi delle aule dei tribunali di tutta l’Emilia Romagna vista la contraddittorietà con la legislazione vigente in cui articolo dopo articolo si sfarina questa legge di sviluppo edilizio. La nuova proposta di legge è però perentoria: non si potrà costruire più del 3%. Fatti salvi però i 250 chilometri quadrati già inseriti nei piani esistenti che ovviamente , nella migliore prassi , sono da considerarsi “diritti acquisiti”, come i vitalizi e le pensioni d’oro. Inoltre quel solo 3% di superfice in più ammessa rappresentano altri 70 chilometri quadrati, che nelle città di Ferrara, Modena, Parma, Ravenna, Reggio Emilia è stato calcolato sarebbero equivalenti a due chilometri quadrati per ognuna di ulteriori espansioni, corrispondenti ad altri ventimila abitanti o diecimila posti di lavoro per città.
Un “quantitative easing building” in salsa emiliano- romagnola, che consentirà di immettere sul mercato tutte le aree che già sono inserite nei piani regolatori vigenti con l’aggiunta del “solo” 3%, oltre nuove infrastrutture.
La legge urbanistica vigente avrebbe bisogno di una sostanziale revisione, ma Invece di mettersi con ragionevole pazienza a cercare di semplificare con attenzione, anche chirurgica, ridurre e di molto le previsioni insediative, cercare appunto di ricucire i tessuti urbani con la cassetta degli attrezzi del sapere tipico dell’urbanistica e di tutte quelle discipline che nel tempo hanno arricchito la progettazione urbana e territoriale, si è preferito di fatto dare spazio alla rendita fondiaria.
Approfittando della persistente crisi economica si cerca di lisciare il pelo a tutti i soggetti del settore edile ,dalla piccola impresa ai progettisti, all’artigiano :facendo loro credere che il giorno dopo l’approvazione sarà tutto un cantiere e che architetti ed ingegneri già potranno fatturare dopo anni e anni di fame. Pare una ricerca di consenso agendo sulle fragilità di tutto il settore. In realtà saranno sempre le solite imprese ad intervenire e distribuirsi torte dolci per loro ed avvelenate per la comunità. Ovvero i grandi interventi, quelli “degli accordi operativi” ai soliti noti, e per tutti gli altri legislazione invariata con l’onere di oltre 25 autorizzazioni (che rimangono in piedi) per ampliare il bagno della zia Nina. Come ieri, come sempre.
La rigenerazione urbana è invece rapportata solo all’incremento di densità edilizia per arginare lo sprawl urbanistico che è stato agevolato a piene mani negli ultimi 20 anni. Come, con quali criteri, in che misura si deve appunto intendere la densità edilizia? Van bene i 54.305 abitanti per chilometro quadro di Hong Kong? Oppure meglio i 7.774 di Los Angeles ? E se facessimo i 2.960 di Sydney, oppure i 5.054 di Vancouver? Forse è meglio giocarsela ai 16.640 di Tokyo che ai 4.516 abitanti di Parigi? Qui la legge non dice nulla: l’importante non è l’urbanistica, ovvero il cercare di capire come ed in che modo la città del prossimo futuro ed i rapporti tra spazi pubblici, privati, mobilità, paesaggio, convivenza urbana, relazioni umane, commercio, produzione e welfare debbono essere reinterpretati.
L’importante per questa legge pare essere il costruire, semplificare il più possibile con l’accetta, facendo credere che così si rimette in moto l’economia nonostante le migliaia e migliaia di edifici residenziali vuoti, aree artigianali ed industriali deserte, centri commerciali in affanno, alle quali se ne aggiungeranno ancor di più ( senz’altro anche sulla carta) con il probabile effetto di far crollare ancor di drammaticamente i valori immobiliari, ipotecari e collaterali. Se non fosse per il fatto che la crisi del mercato immobiliare è ancora in corso si profilerebbe a brevissimo un armageddon di mattoni e finanza impazzita, di una nuova bolla immobiliare al cui confronto quella degli anni passati sarebbe uno scherzo.
Ed i primi a pagare sarebbero i poveri, le aree residenziali da recuperare e rigenerare e poi a venire le banche regionali e la piccola impresa. Ancora una volta si confonde l’urbanistica con edilizia! Una coazione a ripetere che ricorda lo “Sblocca Italia” e lo “Sblocca Trivelle”. A cui si aggiungono i territori pregiatissimi dell’inutile Cispadana a scapito della ferrovia e della sicurezza idraulica di territori fragilissimi.
Oltretutto questa nuova legge edilizia ( non urbanistica) non entra nel merito tecnico, visto che si potrà costruire sul perimetro di un vecchio capannone utilizzando le stesse distanze dal confine esistenti. Si potrà costruire ad esempio, un palazzo per l’altezza che si vuole sempre a partire dai confini esistenti. In barba agli standard urbanistici conquistati in anni di pianificazione urbana e regionale.
Isole di calore in città e temperature in aumento specialmente quelle minime nelle ore notturne, fonti di numerosi decessi in più tra gli anziani? Ventilazione naturale tra edifici in forte diminuzione? Evaporazione in sensibile decremento nelle aree fortemente urbanizzate? Effetti del cambiamento climatico sulle città densamente costruite con cieli sempre più sporchi e difficoltà a smaltire polveri sottili? Mobilità da rivedere? Servizi di quartiere a” walking distance”?
Questioni neanche sfiorate, tanto c’è il controllo di legalità. Principio di per se sensato come il cercare di aumentare la densità edilizia per diminuire appunto il consumo di suolo, viene proposto senza nessuna analisi storica ed attuale delle condizioni meteoclimatiche nelle zone dense delle nostre città. Nessun supporto tecnico scientifico che supporti una legge edilizia ( non urbanistica) che più la si legge e più appare “inconsistent” come direbbero oltre manica.
Ma le leggi e le norme urbanistiche devono essere fatte in funzione di una visione di quel che si vuole realizzare in rapporto non solo all’edificio in sé, sia esso residenziale che produttivo, ma in rapporto ad una visione dell’uomo nella società che è e sarà sempre più urbana, dove gli spazi pubblici avranno sempre più valore. Questa legge edilizia ( non urbanistica) vuole ottenere solo una libertà di costruire dovunque e comunque, confermando altresì le enormi quantità di aree già esistenti nei piani e non messe in discussione. Aree che sono il frutto di previsioni insediative abnormi, solo speculative mai contestate ne dalla Regione che dalle Province in nome di un falso rispetto dell’ autonomia locale. Quasi una ammissione che si è governato male il territorio negli ultimi venti anni, favorendo ampliamenti eccessivi di aree edificabili su suoli agricoli di eccellenza, solo parzialmente per necessità ma soprattutto per favorire speculazione.
I sacerdoti della de-legiferazione di oggi, sono gli stessi che a spada tratta sostenevano zoning rigidissimi, iper-legiferazione e normazione per poi alla fine dirci che ci sono 250 chilometri quadrati in pancia pronti per essere edificati! Ma dove erano questi sacerdoti? Molte di queste aree sono oggi anche/solo collaterali di garanzia a fronte di debiti ed ipoteche che il settore delle costruzioni ed immobiliare non riuscirà mai a pagare ma possono tuttavia essere davvero edificate con il rischio di aggiungere invenduto ad invenduto, spreco di suolo a quello già avvenuto oltreché svalutazione perdita del valore del patrimonio immobiliare di tutti.
Invece di rimediare a tale eccessi la legge propone una semplificazione tout court che abolisce l’urbanistica quando si tratta di iniziative immobiliari consistenti e lascia inalterato il pesante fardello normativo in capo alle operazioni più semplici. Una contraddizione evidente. Ai comuni viene tolto ogni potere sulle trasformazioni intensive nel territorio urbanizzato infatti a questi sarà tassativamente vietato “stabilire la capacità edificatoria, regolare la disciplina di dettaglio degli interventi la cui attuazione sarà subordinata ad un “accordo operativo”.
Il Piano Urbanistico Generale (Pug) come le cornicine colorate e le aste stanno alla pagina del quaderno di prima elementare, tanto sarà sempre il privato che deciderà cosa costruire, dove e quanto. Il Comune potrà solo individuare “le parti del territorio extraurbano, contermini al territorio urbanizzato, che non presentano fattori preclusivi o fortemente limitanti alle trasformazioni urbane e che beneficiano delle opportunità di sviluppo insediativo derivanti dalle dotazioni territoriali, infrastrutture e servizi pubblici”. Un blabla per dire in poche righe che la pianificazione e la programmazione la devono fare i privati. Punto.
Una legge truffa che di urbanistica non ha nulla. Addirittura la cartografia, localizzazioni, indici di edificabilità, modalità di intervento, usi e parametri urbanistici ed edilizi eventualmente stabiliti dalla componente strategica del PUG (l’unica cui compete disciplinare le trasformazioni intensive) sono considerate semplici indicazioni di massima, modificabili in sede di “accordi operativi “senza richiedere la variazione del Pug, cioè del piano urbanistico generale. Ovvero la codifica del modo di dire ed agire “a fra’, che te serve?”
Il nocciolo di tutta questa legge sta infatti nell'”l’accordo operativo”. Qualità dell’abitare,compatibilità di funzioni, mobilità, infrastrutture, visione urbana non sono questioni che riguardano questa nuova legge edilizia (non urbanistica). Appunto! Una delegificazione felice a pareri dei proponenti, una disgrazia di proporzioni vaste ed irreversibili per tutti gli altri.
L’accordo operativo, di solo iniziativa privata, sarà il vero unico strumento di pianificazione al quale si dovrà oltretutto rispondere entro 60 giorni . Che si tratti di un ipermercato, di un insediamento rilevante residenziale, industriale o direzionale, e turistico non importa. Mentre i cittadini normali che devono aprire una porta o modificare un tinello dovranno invece seguire le norme urbanistiche ed edilizie tradizionali, ovviamente sotto controllo legalitario.
Saranno soddisfatti i sindaci e le loro comunità? Commissioni urbanistiche, norme e codici, studi di fattibilità, analisi infrastrutturali,studi complessi sulla mobilità, esperti di sociologia delle relazioni, verde e paesaggio urbano? Non più. Ricucitura urbana e riqualificazione, percorsi partecipativi. coinvolgimento delle comunità, del quartiere, dei famosi stakeholders invocando la legge regionale 3/2010 sulla partecipazione. In 60 giorni? Una beffa.
Invero un tentativo per rendere ornamentali le autorità locali , lasciandole così disarmate di fronte all'”accordo operativo”, brandito come minaccia, “avete 60 giorni di tempo” se no…
Si impedisce così la programmazione, si mortifica la ricerca verso la qualità dell’abitare: tutto in nome dei diritti acquisiti, rendita fondiaria e finanza. L’urbanistica in mano totale agli immobiliaristi, ai grandi gruppi di costruzione. A loro d’ora in poi spetterà la programmazione territoriale. Dopo anni ed anni di crisi ( economica, sociale ed anche edilizia ) si fa finta di credere che grazie ad una de legiferazione massiccia migliaia di abitanti potranno finalmente arrivare in Emilia Romagna in soccorso di una popolazione sempre più anziana, Dove migliaia e migliaia di disoccupati troveranno occupazione nella vecchia cara edilizia a costruire , capannoni, direzionali, outlet, laboratori dell’innovazione, università e centri di ricerca sparsi a piene mani sulle parti della città costruita e sulle tante messe in piano. Una legge che sa di zolfo e belzebù, da Far West, roba da chiamare Tex Willer e Kit Carson! Una legge che rinnega una forte e civile tradizione di governance territoriale.