di Lorenzo Battisti
Queste elezioni presidenziali rimarranno nella memoria degli elettori francesi a lungo. Il paesaggio politico, definito dal 1970 in poi, è stato stravolto e i nuovi equilibri restano ancora nell’ombra. Quello che è certo è che il padronato francese è il vero vincitore politico e sociale.
Cinque anni di presidenza socialista
Il 2012, anno delle ultime elezioni nazionali, sembra appartenere ad un’altra epoca storica [1]. Quelle elezioni erano state vissute da molti come una liberazione da un presidente, Sarkozy, che era il più impopolare e filo americano di tutta la storia della Francia. Il risultato di Hollande e della sinistra francese, che andava al governo per la seconda volta durante la Quinta Repubblica dopo l’esperienza di Mitterand, era il risultato di cinque anni di mobilitazioni che erano culminate con il lungo ciclo di scioperi contro la riforma pensionistica che faceva aumentare l’età pensionabile dai 60 ai 63 anni (e duramente repressa dal governo).
Hollande cercò di farsi portavoce di tutto questo, mantenendo ambiguità e reticenze. Ma anche con alcuni slogan chiari e alcune promesse precise. Ricordiamo quante speranze questo suscitò nella disarticolata sinistra italiana, la promessa di essere il candidato anti-Merkel? E ricordiamo anche la promessa di cambiare i trattati europei, a partire dal six-pack e dal fiscal-compact! Ma suscitò molte speranze, specie in tempi di crisi finanziaria ed economica, la designazione del suo nemico, la finanza:
“Mais avant d’évoquer mon projet, je vais vous confier une chose. Dans cette bataille qui s’engage, je vais vous dire qui est mon adversaire, mon véritable adversaire. Il n’a pas de nom, pas de visage, pas de parti, il ne présentera jamais sa candidature, il ne sera donc pas élu, et pourtant il gouverne. Cet adversaire, c’est le monde de la finance” [2]
[Ma prima di parlare del mio progetto, vi confiderò una cosa. In questa battaglia che comincia, vi dirò chi è il mio avversario, il mio vero avversario. Non ha un nome, non ha un viso, non un partito, non presenterà mai la sua candidatura, e quindi mai sarà eletto, ciononostante governa. Questo avversario è il mondo della finanza.]
Sappiamo tutti com’è andata. Nessuna riscrittura dei trattati, nessuno scontro con la Germania, nessun disturbo per il mondo della finanza [3]. Questa da nemica diventa sua fida alleata, quando, in un rimpasto di governo, entra come Ministro dell’Economia il giovane banchiere Macron, con un cospicuo patrimonio guadagnato al servizio di banche d’affari internazionali.
Altre promesse riguardavano l’inversione della curva della disoccupazione, in crescita ormai da oltre 10 anni. Nei cinque anni di Sarkozy, questa era aumentata di 1 Milione di nuovi disoccupati. Dopo cinque anni di presidenza socialista un altro milione si aggiunge ai precedenti [4]. Hollande ha cercato di mascherare la cosa a fine del mandato, attraverso l’aumento dei fondi per la formazione, in modo che questi sparissero dalle statistiche come disoccupati, per figurare tra le persone in formazione: un trucco che serve ad ingannare le statistiche ma non i disoccupati e i precari. A questo si aggiunge la riforma del lavoro imposta a suon di bastonate ai sindacati e ai lavoratori, nell’idea che se il lavoro costa meno ed è flessibile, le imprese investono maggiormente e la disoccupazione diminuisce [5].
Infine le guerre. Molti avevano confidato nella promessa di un presidente normale, fuori dal machismo di Sarkozy [6] (con le sue bombe sulla Libia). Invece si sono trovati un presidente che è intervenuto in Mali e che ha giocato in Siria un ruolo a volte più spinto di quello americano. E ha promulgato una legge per l’immunità totale delle truppe Nato su territorio francese. Senza dimenticare che niente è stato detto contro le sanzioni alla Russia, a cui si è preferito pagare una penale dei centinaia di milioni di euro piuttosto che consegnare una nave da guerra già ordinata e costruita
Hollande è diventato il presidente più impopolare della storia francese, battendo anche Sarkozy. Tanto da essere il primo a non presentarsi per la rielezione.
Un antipasto del disastro: le primarie
Non che la bufera che ha colpito domenica la Francia non fosse stata annunciata da venti sempre più forti. Negli anni ho cercato di raccontare i pericoli a cui i francesi andavano incontro, i cui segnali erano evidenti.
Ad ogni elezione che si è svolta negli ultimi cinque anni, i socialisti e le altre forze che sostenevano il Governo sono sempre state puniti [7], mentre i voti del Fronte Nazionale crescevano. Non si può tacere il fatto che a questo ha contribuito la strategia socialista, come già avvenuto in precedenza: per imporre politiche antisociali, senza per questo perdere il governo, una crescita del FN avrebbe permesso di dividere i voti della destra, che in questo modo non sarebbe riuscita a vincere alle successive elezioni. Già Mitterand aveva usato questa tattica. I risultati li abbiamo sotto i nostri occhi [8].
Non contenti dei risultati che stavano raccogliendo, e a fronte degli insuccessi elettorali, i socialisti hanno deciso, a metà mandato, un cambio completo di governo: via il centrista Marc Hayrault, e al suo posto è entrato il “renziano” Manuel Valls, sconfitto da Hollande alle primarie socialiste con un voto bassissimo e propugnatore della fine dell’esperienza socialista in Francia, in favore di un partito post-ideologico. Una svolta a destra dopo i ripensamenti centristi post elettorali. Così hanno continuato a perdere un’elezione dopo l’altra [9]. Forse la sconfitta più simbolica è quella delle regionali dell’anno scorso [10]: i socialisti sono passati dal governare tutte le regioni tranne una, a una situazione in dopo averle perse quasi tutte si è trovato a dover sostenere la destra in diversi ballottaggi con il Fn.
Che qualcosa sarebbe cambiato profondamente in Francia, lo si era capito anche dalle primarie che i vari partiti hanno organizzato. Tutte hanno dato risultati inattesi e indesiderati per le dirigenze dei pariti.
L’Ump, diventata I Repubblicani per volere di Sarkozy (tanto per rimarcare il legame atlantico), ha visto l’ex presidente finire addirittura in terza posizione: i due candidati al ballottaggio sono stati Alain Juppé (ex primo ministro di Chirac) e il futuro candidato Fillon. Stessa cosa è accaduta in casa socialista: il candidato della dirigenza e presidente del Consiglio Emmanuel Valls ha perso di fronte al socialista frondista Hamon (che apparteneva ai deputati socialisti che, pur sostenendo i vari governi, si sono opposti da sinistra alle riforme proposte). Infine tra i verdi prevale un altro outsider, Yannick Jadot, mentre l’ex ministra verde Cécile Duflot finisce anch’essa terza.
I risultati
I risultati elettorali non sono altro che il risultato di questi cinque anni, delle speranze frustrate e della reazione sociale e sindacale.
È doveroso partire da un dato spesso ignorato. In Francia l’iscrizione alle liste elettorali non è automatica. Quando si cambia di residenza (e questo avviene con maggiore frequenza rispetto all’Italia), bisogna ricordarsi di chiedere l’iscrizione alle liste e va fatto in tempo per le elezioni. Su 45 milioni di potenziali elettori, si stima che i non iscritti siano 4 milioni a cui si aggiungono 7 milioni di mal-iscritti (quelli iscritti in un comune in cui non si risiede più, spesso a centinaia di chilometri di distanza) [11]. Mentre sicuramente una parte importante dei mal-iscritti si sarà recata alle urne, i 4 Milioni di non iscritti sono un sintomo forte forse più dell’astensione.
L’astensione stessa è in crescita ed è passata dai 9’400’000 elettori (pari al 20,52% degli iscritti) ai 10’500’000 (il 22,23%). Sebbene la partecipazione rimanga alta, un milione di francesi si è aggiunto a chi ha ritenuto non fosse importante votare, nonostante le sirene sul pericolo Le Pen.
Il grande perdente (dopo Hollande) è François Fillon, uscito vincitore dalle primarie della destra. In queste si era disputato (tra le altre cose) su quanti dipendenti pubblici licenziare: la cifra variava dai 500’000 ad oltre un milione (su 5,5 Milioni [12], cioè tra il 10% e il 20%). Vista la crisi verticale di Hollande e dei socialisti, prima dello scandalo personale che lo ha colpito, era dato sicuro vincitore. Le sue posizioni in ambito internazionale sembravano orientate a una minore ostilità verso la Russia e forse a una sospensione delle sanzioni (anche se su questo tema ha oscillato a lungo). I voti dei Repubblicani passano dai 9,7 milioni di voti di Sarkozy ai 7,2 milioni di Fillon (20% dei votanti).
La candidata che ha più beneficiato di questo crollo è stata Marine Le Pen, che passa dai 6,4 milioni di voti del 2012 ai 7,6 milioni di quest’anno (21,3% dei votanti). Il processo seguito ormai da anni è quello di eliminare i toni troppo aspri del padre (marginalizzato e poi cacciato dal partito), di mettere in secondo piano l’ala violenta, e di mostrare un volto più accettabile. In particolare ha più volte cercato di appropriarsi di temi cari alla sinistra, come la laicità, utilizzata contro gli immigrati colpevoli di fare mostra della propria fede. Una novità sembra essere il voto islamico per il Fn, dovuto alla comune opposizione alla legge sui matrimoni gay. Spesso descritta come la candidata di Putin, quella che chiede l’uscita dalla Nato e dall’Unione Europea, nella realtà il suo programma risulta essere molto meno pacifico: la retorica anti musulmana sfoderata in occasione degli attentati non fa altro che preparare il terreno a nuove incursioni militari in medio oriente a fianco degli americani.
Un crollo ancora più forte lo hanno subito i socialisti. Questi passano dai 10,2 milioni di voti di Hollande nel 2012, ai 2,2 di Hamon (6,3% dei votanti). Queste cifre impietose raccontano meglio di qualsiasi altra cosa il disastro del governo socialista. Hamon ha fatto opposizione ai governi, cercando insieme ad altri deputati socialisti, di proporre una linea differente, spesso in coordinamento con il Front de Gauche. Ma non si può recuperare in due mesi cinque anni di massacro. E in politica internazionale non si sono osservate differenze. Se poi si pensa che il candidato era sostenuto anche dai Verdi, che dopo aver fatto le primarie per un proprio candidato, hanno raggiunto un accordo con i socialisti e hanno ritirato il proprio candidato. Questi, nel 2012, avevano ottenuto 820’000 voti pari al 2,8%.
Molti di questi voti si sono spostati su Jean-Luc Mélenchon, candidato del neonato movimento La France Insoumise. Questa non ha niente a che fare con il Front de Gauche, formato dai partiti della sinistra francese, che aveva sostenuto Mélenchon nel 2012. Dopo il declino di questo a causa di divisioni elettorali e al rifiuto da parte dei comunisti di trasformarlo in partito, Mélenchon ha lasciato temporaneamente la politica, per rientrarvi successivamente per lanciare il suo movimento. Un movimento dal basso, formato da gruppi di cittadini che si ritrovano per discutere e che si coordinano tramite una piattaforma internet. In un anno il movimento è passato dai 10’000 aderenti del Giugno 2016 ai 450’000 di oggi. Si basa su gruppi di appoggio che possono essere liberamente creati, formati da sostenitori iscritti alla piattaforma. La simbologia della sinistra, molto forte nel Front de Gauche, è abbandonata: si canta solo la Marsigliese non più accompagnata dall’Internazionale e il simbolo è il phi greco. Il programma, elaborato, discusso e votato dagli aderenti, è orientato verso l’ecosocialismo. I punti forti erano la proposta di una profonda riforma istituzionale che eliminasse il presidenzialismo e reintroducesse il proporzionale (una battaglia portata avanti dai comunisti fin dal 1958); l’aumento del salario minimo a 1’300 euro; la riforma dei trattati europei e in alternativa un’uscita della Francia; l’uscita dal comando Nato e l’adesione all’ALBA bolivariana e alla banca dei BRICS [13]; l’abrogazione della legge sul lavoro di Hollande e la fine del precariato [14]. Il modello di Mélenchon è Chavez, con il tentativo di creare un movimento populista in Francia, che sebbene non si richiami apertamente alla sinistra, ne riprenda molti punti. I suoi voti sono passati dai 3,9 milioni del 2012 ai 7 milioni di oggi (19,6% dei votanti).
Il vero vincitore di queste elezioni è sicuramente Emmanuel Macron, che con il suo nuovo movimento En Marche! [15] È arrivato in testa al primo turno. Giovane, già milionario, ex banchiere presso la Banca d’affari Rotschild ed ex ministro delle finanze durante la presidenza Hollande, è riuscito in poco tempo dall’essere un “tecnico” prestato alla politica al candidato più votato. Molti dubbi restano sui finanziamenti, tutt’ora molto opachi. Mentre è stato chiarissimo l’appoggio unanime dei media, che l’hanno aiutato a crescere e l’hanno lanciato verso il primo posto. Il suo programma è totalmente liberista, teso a smantellare in poco tempo quanto resta delle politiche sociali francesi, in nome di un nuovo che sblocchi un paese preda della disoccupazione: quindi basta con le 35 ore, aperture domenicali, fine della securité sociale (la sanità e le pensioni), e vendita delle società statali. Il tutto da compiere nel più breve tempo possibile, non appena eletto, per mettere i sindacati e l’opposizione di sinistra davanti al fatto compiuto. Ovviamente è il candidato più europeista. La retorica è sempre quella del nuovo e del giovane, contro il vecchio che non funziona. Se proprio si vuole trovare un paragone italiano, lo si può descrivere come la fusione di Renzi e di Monti. In poco più di un anno ha creato un movimento che ha raccolto 8,6 milioni di voti e che lo ha portato ad essere in testa al primo turno. I voti sono venuti da destra [16] e (per la maggior parte) da sinistra [17]. Il partito centrista di Bayrou, i Modem, che aveva preso 3,2 milioni di voti nel 2012, ha deciso di sostenerlo.
Dal punto di vista sociale, Macron ottiene i successi maggiori nelle grandi città, soprattutto nei quartieri agiati e in quelli ricchi. Mélenchon ha successo nelle periferie e nei quartieri popolari delle grandi città: un esempio su tutti, quella che una volta era la Banlieu Rouge di Parigi, ha votato per lui, e ovunque ottiene risultati oltre il 30 percento e a volte oltre il 40%. Marine Le Pen è invece la prima candidata in tutta la Francia rurale, nei piccoli e piccolissimi paesi.
Il risultato è che per la prima volta nessuno dei due partiti che hanno governato la Francia sarà al ballottaggio: la Le Pen si scontrerà questa volta contro un volto nuovo. E chiunque sarà eletto, governerà con il sostegno di solo il 20% dei francesi.
A questi si aggiungono i 600.000 voti della sinistra trotskysta (Npa e Lutte Ovrière), rimasti invariati negli ultimi 5 anni.
Infine si è assistito all’exploit dei candidati gollisti, tanto di destra quanto di sinistra, legati alle posizioni politiche del Generale che ritengono essere state tradite da Sarkozy. Le posizioni sono anti americane e filorusse, con posizioni diverse sull’Europa (alcuni chiedono di uscirne, altri vogliono un polo europeo indipendente dagli Usa a guida francese); tutti sostengono uno stato sociale non assistenzialista, sul modello francese dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il successo maggiore è di Nicolas Dupont-Aignant, di Debout la France (Francia in Piedi!), il cui slogan è “Né il sistema, né le estreme”, che passa dai 640’000 voti del 2012 ai 1,7 milioni di oggi (4,7%). A questi vanno aggiunti altri 500’000 voti di Assalineau e Cheminade, su posizioni politiche simili (1,4%).
Se guardiamo ai saldi, la sinistra (Ps, Verdi e Mélenchon) passando dai 15 milioni di voti del 2012 ai 9,2 attuali; la destra dai 16 milioni (Sarkozy e Le Pen) di cinque anni fa ai 15 di oggi. Il centro invece esplode, grazie a Macron e Bayrou, che passano dai 3,2 milioni agli 8,6 milioni di oggi.
Emersione del blocco centrista
Questo sconvolgimento ha cause profonde che non possono (e non devono) essere ignorate.
Da un lato, come detto in precedenza, il popolo francese si è opposto alle riforme degli ultimi 10 anni, tanto a quelle di Sarkozy che a quelle di Hollande. Il segno di queste riforme, a dispetto delle diverse etichette politiche, era lo stesso, così come il modo di imporle: approvazione imposta dal Presidente, in mancanza di una maggioranza parlamentare (articolo 49-3 della Costituzione francese); provocazioni e repressione poliziesca contro le manifestazioni sindacali che vi si opponevano. Il prezzo di 10 anni di crisi economica è stato fatto pagare interamente ai ceti popolari, ai lavoratori, ai giovani e ai pensionati. Di fronte a quello che appare ai più come un teatrino teso ad ingannare gli elettori, questi hanno dapprima cercato facce nuove alle primarie, per poi premiare alle elezioni chi appariva fuori dal sistema: Macron, Le Pen, Mélenchon.
Ma il vero artefice e vincitore del nuovo scenario è il padronato francese. Come mostrano le statistiche sul saggio di profitto, anche questo ha di cui lagnarsi: a causa della forte resistenza operaia, il saggio di profitto francese continua a stagnare [18], soprattutto se comparato a quello del rivale tedesco. I governi da esso sostenuti negli anni non si sono rivelati capaci di sconfiggere la resistenza dei lavoratori e di applicare riforme tali da permettere una considerevole compressione dei salari (diretti, indiretti e differiti) e dello stato sociale tale da fare aumentare la parte di prodotto di cui si appropriano loro. Il risultato è un apparato produttivo francese che, al di fuori di alcuni settori strategici e collaterali allo stato (difesa, aeronautica, automobilistica e poco altro) soccombe davanti al capitale straniero.
Una grande coalizione come quella che usata altrove è difficile da attuare in Francia senza una generale riforma istituzionale. Al contempo governi deboli difficilmente possono imbarcarsi in un’avventura di tale portata. Inoltre questo sistema istituzionale si è dimostrato ottimo nel marginalizzare le forze ritenute pericolose (il Pcf e la sinistra radicale), anche quando queste raccoglievano un consenso consistente.
Il metodo per imporre una grande coalizione alla Francia è stata la coppia Macron/Le Pen. Macron, giovane e rampante banchiere, senza partito (e quindi in teoria senza maggioranza parlamentare) rappresenta la soluzione ideale. La sua maggioranza sarà costituita dai deputati centristi sia del Ps che dei Repubblicani, che davanti alla crisi verticale dei propri partiti, decideranno di accettare l’etichetta di “En Marche” [19] e candidarsi per Macron. In questo modo si formerà un largo gruppo parlamentare centrista, a sostegno delle politiche liberiste e atlantiche di Macron, che non dovrà temere di subire i rovesci elettorali conseguenti alle politiche anti-popolari che imporrà. Quando queste colpiranno nel vivo la carne della classe operaia francese, sicuramente aumenteranno i voti delle due ali estreme, Le Pen e Mélenchon. Ma la distanza ideologica di questi due blocchi impedirà che una nuova maggioranza si possa formare per scalzare l’attuale. E in caso che anche il blocco centrista dovesse subire punizioni consistenti, la soluzione della Le Pen sarebbe già pronta all’uso.
Come si vede, la vittoria è assicurata, qualsiasi sia la reazione (elettorale) dei lavoratori e dei ceti popolari.
Ma ci sono ancora diverse partite da giocare. E il risultato è tutt’altro che determinato. Innanzitutto bisognerà vedere chi prevarrà al secondo turno. Poi ci saranno i due turni delle legislative, in cui si dovranno eleggere i deputati: stando alle stime fatte dal Pcf sui voti alle presidenziali, la sinistra unita potrebbe eleggerne 292 su 600. Ma i socialisti accetteranno di unirsi e farsi guidare dalla forza politica al momento più forte a sinistra, cioè la France Insoumise di Mélenchon? E infine ci sarà quello che i sindacalisti francesi chiamano il quinto turno sociale: le mobilitazioni sociali, sicuri che chiunque dei due vinca, i lavoratori francesi dovranno continuare la resistenza e le lotte di questi anni.
NOTE
- [1] Presidenziali di Francia. Quale lezione per l’Europa?
- [2] L’intégralité du discours de François Hollande au Bourget
- [3] I primi sei mesi del governo Hollande: la pericolosità di un presidente “normale”
- [4] Chômage: le vrai match Sarkozy-Hollande
- [5] La riforma del lavoro francese, la Nato e la fine del ruolo del Ps
- [6] Una parte dei militari francesi aveva sostenuto il candidato socialista, poiché non avevano apprezzato il reintegro della Francia nel comando Nato deciso da Sarkozy, che metteva la Francia sotto comando americano, con annesse decisioni sulle carriere.
- [7] Sulle elezioni in Francia e in Andalusia
- [8] Al riguardo, scrivevo su Marx 21tre anni fa: “È un gioco pericoloso quello che i socialisti stanno giocando. È lo stesso gioco che portò nel 2002 i francesi a scegliere tra la destra di Chirac e quella di Jean-Marie Le Pen, quando le politiche del pareggio di bilancio per il rispetto dei trattati della Gauche Plurielle furono sonoramente bocciate dagli elettori. Nella mente di alcuni socialisti c’è forse l’idea di arrivare, tra tre anni, a vivere la stessa esperienza al contrario: un ballottaggio tra Hollande e la Le Pen che costringa tutti i francesi a un fronte repubblicano per fermare l’estrema destra. In questo modo si potrebbero imporre le misure le europee, senza pagarne un prezzo elettorale. Ma è appunto un gioco estremamente pericoloso”. La crescita della destra estrema in Francia. Le responsabilità dei socialisti
- [9] Riflessioni sulle elezioni municipali francesi: la sconfitta dei socialisti, la resistenza del Pcf
- [10] Le cause della vittoria del Front national alle regionali francesi
- [11] Radiés des listes, mal-inscrits… ces Français qui ne voteront pas malgré eux
- [12] Idées reçues sur les fonctionnaires (2/4): «Ils sont trop nombreux»
- [13] Sui temi internazionali ci sono state alcune incertezze. Mentre non si può dimenticare che Mélenchon nel 2011 appoggiò il bombardamento della Libia, per quanto riguarda la Siria ha avuto posizioni altalenanti, che andavano dall’appoggio all’intervento russo, a semplici opposizioni all’uso delle armi per dirimere il conflitto.
- [14] È stato fatto notare che, dietro queste proposte, si celano diversi passi indietro rispetto al programma del 2012. Per esempio in esso si proponeva di aumentare il salario minimo a 1700 euro al mese, in linea con le richieste sindacali, e di eliminare la disoccupazione, mentre qui si parla solamente di eliminare la precarietà. Le programme de la «France insoumise»: des choix contraires à ce pour quoi nous combattons
- [15] Il nome è stato scelto partendo dalle iniziali del nome del suo fondatore.
- [16] Tra questi il più conosciuto è l’ex primo ministro Dominique de Villepin.
- [17] I sostegni da sinistra sono numerosi. Un gruppo di 54 deputati socialisti ha deciso di appoggiarlo in blocco; molti dirigenti nazionali del Ps, dopo la vittoria di Hamon, hanno esternato il loro appoggio a Macron. Tra questi l’ex sindaco di Parigi e l’attuale Ministro della Difesa. Inoltre lo hanno sostenuto l’ex comunista Braouzec e l’ex segretario del Pcf Robert Hue.
- [18] France: penned
- [19] In modo simile a quello che avviene in Italia con i 5 Stelle, solo il fondatore ha il potere di attribuire questo marchio.
Questo articolo è stato pubblicato da Marx21.it il 28 aprile 2017