È mancato lunedì scorso, 24 aprile, Maurizio Matteuzzi, 69 anni, filosofo del linguaggio e studioso d’intelligenza artificiale. Aveva insegnato all’Alma Mater per oltre 40 anni. Improvvisa la sua scomparsa dell’accademico, che lascia la moglie Giulia, scrittrice, e un figlio. Matteuzzi, già allievo di Enzo Melandri e compagno di studi di Stefano Bonaga, era stato uno dei leader del collettivo Docenti Preoccupati e ha scritto molti testi per il Manifesto in Rete. I funerali sono stati fissati per venerdì 28 aprile. Di seguito riproponiamo un articolo il 26 giugno 2016, La tesi sui No Tav e la condanna: non si può soffocare la ricerca, proprio su alcuni dei temi che gli stavano a cuore.
La tesi sui No Tav e la condanna: non si può soffocare la ricerca
di Maurizio Matteuzzi
Il 15 giugno 2016, il tribunale di Torino ha condannato Roberta, ex studentessa di antropologia di Ca’ Foscari, a 2 mesi di carcere con la condizionale per i contenuti della sua testi di laurea, conseguita nel 2014.
Per scrivere la tesi «Ora e sempre No Tav: identità e pratiche del movimento valsusino contro l’alta velocità», Roberta ha trascorso due mesi sul campo durante l’estate del 2013, ha partecipato a varie dimostrazioni in Valsusa, intervistando attivisti e cittadini. Coinvolta insieme a lei in questo procedimento giudiziario era Franca, dottoranda dell’Università della Calabria, che come Roberta era in Valle per ragioni di ricerca, che compare con Roberta nei video e nelle foto analizzati dalla procura ma che a differenza di Roberta è stata assolta da tutti i capi d’imputazione.
A differenza di Franca, Roberta è stata condannata a 2 mesi di reclusione con la condizionale. Nonostante le motivazioni della sentenza saranno rese pubbliche tra 30 giorni, la ragione della sua condanna è stata attribuita all’utilizzo, nella sua tesi di laurea, del “noi partecipativo” interpretato dall’accusa come “concorso morale” ai reati contestati.
Di fatto, i video e le foto scattate durante le manifestazioni parlano chiaro: le due donne sono lì, presenti, anche se in disparte. È stato dimostrato in tribunale che nessuna delle due imputate ha preso parte a momenti di tensione. Durante l’azione dimostrativa tenutasi davanti alla ditta Itinera di Salbertrand che fornisce il cemento al cantiere di Chiomonte le due ragazze partecipano ma rimangono ai margini.
Ciononostante il pm Antonio Rinaudo ha chiesto 9 mesi per Roberta sostenendo che la studentessa non si limitò ad osservare da spettatrice, ma partecipò ai fatti con una “complicità morale” testimoniata dal fatto che in alcuni passaggi della tesi raccontò i fatti in prima persona plurale. Quello che per la difesa era un “espediente narrativo” – nella ricerca etnografica il posizionamento del ricercatore rispetto all’oggetto della ricerca è una scelta soggettiva che fa parte di ciò che si chiama storytelling – diventa, per l’accusa, la prova di collusione rispetto ai reati contestati.
Siamo indignati: che ci consti, è la prima volta dal 25 aprile 1945 che una tesi di laurea viene considerata oggetto di reato e subisce una condanna. Ci domandiamo, increduli, quale perversione attraversi un paese che porta nelle aule di un tribunale le parole di una tesi di laurea. Ci sconvolge che tutte le tesi di laurea siano potenzialmente oggetto delle letture inquisitorie dei magistrati e che la Procura di Torino si senta legittimata a sanzionare penalmente l’uso di un pronome personale a tutti gli effetti fondante della grammatica italiana quando usato in riferimento a un tema politico ad essa non gradito.
L’accusa di “concorso morale” in riferimento all’analisi situata di un problema politico va intesa come sintomo dell’accanimento contro chiunque osi raccontare quanto avviene in Val di Susa senza criminalizzare la determinazione di una comunità a lottare contro la devastazione del suolo, della salute dell’ambiente e del territorio. Va intesa inoltre per ciò che è: un inaccettabile atto intimidatorio contro la libertà di pensiero e la libertà di ricerca, ancor più grave in quanto portato avanti contro giovani studenti accusati di mettere troppa passione in ciò che fanno e minacciati di essere pesantemente sanzionati se prendono posizione, “partecipano” o osano fare politica.
Rivolgiamo questo appello in modo particolare al mondo universitario italiano per rompere il silenzio e denunciare la violazione della libertà di ricerca e di opinione. Nessuno dei classici difensori delle libertà democratiche si è fatto, fino a ora, sentire. Nessun esponente di rilievo del mondo accademico né del ministero dell’Università e della Ricerca ha ritenuto necessario dover rilasciare una dichiarazione. Vogliamo rivolgerci in particolare al mondo accademico per chiedere quanto a lungo intenda accettare esplicite intimidazioni e minacce di ritorsioni.
Se il fine di questo processo è sigillare la colpevolezza di chi racconta le ragioni di chi lotta contro la violenza e i soprusi, siamo tutti colpevoli. “Per uno scrittore il reato di opinione è un onore” ha scritto Erri De Luca, il primo assolto per un crimine che non esiste ma che l’Italia odierna punta pericolosamente a restaurare: il reato d’opinione. Sentiamo l’esigenza di prendere parola in difesa della libertà di ricerca e di pensiero in Italia e chiediamo a tutti di moltiplicare le iniziative in questa direzione.
Ribadiamo che nessuna intimidazione o minaccia di ritorsioni potrà distoglierci dalla nostra narrazione, dal nostro storytelling, dal nostro impegno di ricerca perché il nostro mestiere lo conosciamo e lo amiamo, nonostante tutto.