di BolognaFiere -123
Il 31 gennaio scorso è stata la data limite entro cui si assumere una decisione sull’acquisizione del Palazzo degli Affari da parte di BolognaFiere. Abbiamo chiesto un parere sulla vicenda al consigliere regionale Piergiovanni Alleva de L’Altra Emilia Romagna, e ne abbiamo approfittato per chiedergli di presentarci il suo progetto di legge regionale per ridurre a 32 ore l’orario di lavoro settimanale.
Professore, nel comunicato stampa del 20 dicembre scorso ha espresso un parere “poco convinto” della necessità dell’acquisizione del Palazzo degli Affari da parte di Bolognafiere. Vuole illustrarcene i motivi anche alla luce delle conseguenze sugli assetti societari?
Temo che si tratti di un’operazione volta a beneficiare unicamente la Camera di Commercio ai danni di BolognaFiere. Se, come noto, realizzare un padiglione ex novo costa 25 milioni di euro, dov’è il vantaggio per l’Expò nell’acquisire un rudere che va raso al suolo al costo di quasi dieci milioni di euro (a fronte dei 19 che ne chiede la Camera di Commercio) per poi accollarsi i costi del rifacimento? Anche se si trattasse di una mera ristrutturazione, date le condizioni del Palazzo, l’operazione si rivelerebbe anti – economica. Confido però che la manovra non andrà in porto perché gli altri soci privati si oppongono ad un peso maggiore della Camera di Commercio nell’azionariato. A proposito di assetti societari, vigilerò affinchè la governance dell’Expò resti pubblica visto che si tratta di un patrimonio costruito con soldi pubblici e che ha un’importanza strategica per l’economia regionale.
Dal suo osservatorio di consigliere alla regione Emilia-Romagna, a che punto è la costituzione della Holding fieristica regionale?
Ufficialmente tutto tace, ma siamo già abituati agli improvvisi blitz della Giunta regionale quando si tratta di interessi forti da tutelare per ridurre al minimo la possibilità di condizionamento da parte dei cittadini e degli utenti. In precedenza su questo argomento, abbiamo assistito all’aperta polemica tra le diverse aziende fieristiche e, alla luce di ciò, ritengo che l’apparente superamento dei contrasti vada seriamente verificato in sede di cda.
Sono a favore della holding regionale se questo progetto si basa su una strategia chiara e concreta, non sono a favore se si tratta di mettere insieme aziende che rispondono a logiche campanilistiche e che non intendono muoversi da quella posizione. In quest’ultimo caso si produrrebbe una paralisi di cui non si sente proprio il bisogno. Quindi o si riesce a mettere insieme un progetto comune tra Parma, Bologna e Rimini o si creerà un ente bloccato da veti reciproci. Nel caso si decida di andare avanti sulla strada della holding, metto sin da subito in chiaro che riterrei inaccettabile qualsiasi riduzione dei diritti e degli stipendi dei lavoratori di BolognaFiere con il pretesto che quelli delle fiere parmigiane e riminesi hanno contratti peggiori.
Vuole raccontarci la proposta di legge che Lei intende presentare alcConsiglio regionale per la riduzione a 32 ore dell’orario di lavoro settimanale?
L’idea che una riduzione importante dell’orario lavorativo settimanale possa consentire, da un lato, di “fare spazio” a nuove assunzioni e, dall’altro, migliorare le condizioni dei lavoratori già occupati sotto il profilo della conciliazione dei “tempi di vita” rispetto ai “tempo di lavoro” non è certo nuova ma, nel trascorrere degli anni non ha perso nulla del suo fascino, anche a causa della oggettiva constatazione della crescente velocità di sostituzione del lavoro umano con processi automatizzati.
È opportuno o addirittura necessario, al proposito, partire da alcuni assiomi, il primo dei quali è dato dal carattere volontario, negoziato e contrattato che deve presentare, a nostro avviso, la riduzione d’orario dei lavoratori già occupati nell’impresa allo scopo della contestuale assunzione di nuovi lavoratori nello spazio così “lasciato libero”. La mia idea è semplice: ridurre la settimana lavorativa da 5 a 4 giorni e compensare la riduzione del 20% dello stipendio con l’intervento di fondi pubblici e del welfare aziendale. So bene infatti che gli stipendi attuali sono vergognosamente bassi e quindi chiedere a qualcuno di rinunciare al 20% del proprio reddito è impensabile, la Regione dunque a mio parere ha il dovere di intervenire per modulare la compensazione.
Sono certo infatti che molti rinuncerebbero ad una giornata di lavoro se ciò non si traducesse in una pari riduzione del salario. Una scelta del genere apporterebbe parecchi benefici, in primis ai lavoratori che avrebbero più tempo da dedicare ai propri interessi, ma sono certo che avrebbe ricadute positive anche sulla produttività: il monte ore lavorativo infatti resterebbe invariato, solo spalmato su una platea più ampia di lavoratori, mentre rispetto ad oggi si potrebbe anche creare un turno in più di lavoro riuscendo così a saturare pienamente gli impianti. Ci tengo a sottolineare il carattere volontario di questa operazione e il fatto che aumenterebbe la competitività delle imprese e non il contrario.
Questo articolo è stato pubblicato da BolognaFiere -123 il 25 gennaio 2017