di Iside Gjergji
Luigi Pintor, in un memorabile editoriale di diversi anni fa, scriveva che essere immigrati in Italia era peggio che avere il cancro. Invitava, infatti, i cittadini italiani malati di cancro a sentirsi “fortunati” nella loro condizione, se paragonata a quella degli immigrati. Da allora, il giudizio del noto giornalista si è sostanzialmente confermato veritiero in ogni momento: basterebbe dare una sbirciatina ai provvedimenti normativi nazionali e locali o alle circolari ministeriali e prefettizie che si sono susseguiti nel corso degli anni, oppure sarebbe sufficiente osservare le reali condizioni di lavoro e di esistenza degli immigrati per averne prova.
Mai però come oggi il giudizio di Pintor è apparso così vero e reale e, contemporaneamente, a tratti, quasi un po’ naif. Mai egli avrebbe immaginato, infatti, che sui cancelli dei centri di accoglienza, sparsi in tutta Italia, un giorno avrebbe campeggiato la scritta “Il lavoro gratuito vi darà asilo”. E tutto ciò avviene per opera del governo attualmente in carica, sostenuto dal partito democratico.
È dei giorni scorsi la notizia, pubblicata dal Corriere della Sera, circa una disposizione, contenuta nel nuovo “pacchetto di misure sull’immigrazione” (l’ennesimo), con la quale si intende imporre il lavoro socialmente utile, cioè il lavoro gratuito obbligatorio, per tutti i richiedenti asilo in attesa dell’esito della domanda. Le novità previste nel “pacchetto” sono tante, ma questa “è una delle novità più importanti” afferma Fiorenza Sarzanini, e ha ragione da vendere. L’introduzione per legge (era già stata fatta tramite circolare ministeriale, mascherata come “lavoro volontario”) dell’obbligo del lavoro gratuito, non solo presso gli enti locali pubblici, ma anche presso varie aziende private, come prerequisito per vedersi riconosciuto lo status di rifugiato, è una di quelle novità che segnano una svolta epocale.
La novità segnerà, in particolare, e per sempre, la condizione giuridica e sociale del richiedente asilo: lo status di rifugiato diventerà uno status da acquistare, con il lavoro gratuito o a paga ridottissima. Al momento, la protezione internazionale è uno status da “riconoscere” e non da “assegnare”. Vale a dire che non è l’autorità italiana (commissione o tribunale che sia) ad “assegnare” lo status al richiedente, ma semplicemente si limita a riconoscere la sua esistenza in capo a colui che già ce l’ha. Per intenderci: il giudice non assegna lo status di figlio a qualcuno, si limita a riconoscere la parentela sulla base degli elementi presenti. Vale lo stesso per lo status di rifugiato. La novità normativa prevista nel disegno di legge Minniti introdurrà un terremoto nell’ordinamento vigente, smantellando dalle fondamenta lo stesso concetto di asilo.
L’altro elemento che segnerà una svolta epocale è l’introduzione nel mercato del lavoro di un esercito di manodopera gratuita, il cui impiego può arrivare fino a due anni per ogni richiedente. Gli effetti saranno devastanti per tutti i lavoratori, italiani e immigrati, i quali saranno così messi in una competizione sfrenata tra di loro. In particolare – è sembrerà paradossale – la concorrenza spietata sarà imposta nell’ambito degli stage: tra studenti delle scuole superiori, delle università e, da ultimi, i richiedenti asilo si scatenerà una guerra per accaparrarsi un posto di lavoro gratuito, senza il quale non è consentito più avere il diploma di maturità, la laurea o lo status di rifugiato. Il tutto finirà per svalorizzare ulteriormente la forza-lavoro, abbattendo di conseguenza le condizioni salariali e di lavoro per tutti. E’ la continuazione della filosofia del ‘Jobs Act’ di Renzi con altri mezzi. L’attacco ai lavoratori è multilevel.
Certo, in tanti si sbracceranno per convincerci che si tratta di una misura per l’integrazione sociale degli immigrati, così come si sostiene, da anni, che l’alternanza scuola-lavoro o università-lavoro serve per l’inserimento lavorativo dei giovani. Si sostiene ciò al di là di ogni statistica nazionale e locale che rivela esattamente il contrario, ovvero che la percentuale dei giovani stagisti che trovano impiego dopo lo stage è irrisoria (leggere per credere: UnionCamere, Formazione continua e tirocini formativi. Indagine 2014, Roma). Per comprendere il senso della norma che si vuole introdurre si potrebbe porre la seguente domanda: come mai si pensa all'”integrazione sociale” tramite il lavoro gratuito obbligatorio anche di coloro che, molto probabilmente, – e che sono la maggioranza, almeno stando alle statistiche negative di riconoscimento della protezione internazionale da parte delle commissioni territoriali negli ultimi mesi – dovranno essere colpiti da un decreto di espulsione? Che ne sarà del loro percorso di integrazione realizzato a colpi di lavoro gratuito dopo che avranno ottenuto un diniego? Si deciderà comunque di farli restare in virtù del percorso di integrazione effettuato, oppure li si darà un calcio nel sedere per spedirli a casa?
L’altra novità che sarà apportata dal disegno di legge – stando alle indiscrezioni – sarà la trasformazione (oppure il disvelamento?) dei centri di accoglienza, i quali saranno sempre di più legati al lavoro gratuito o a bassissimo costo, come un tempo lo furono le case di lavoro (workhouses) in Europa, a cavallo tra secolo XVIII e XIX. Queste fornivano, infatti, ospitalità, vitto e alloggio in cambio di lavoro gratuito da svolgere dentro i centri oppure nelle fabbriche con le quali queste siglavano accordi. Gli studiosi hanno indagato a fondo il fenomeno. Non resta che inviare alla lettura di questi testi per comprendere quanto sta accadendo oggi con i centri di accoglienza.
Alle obiezioni di quanti diranno che in questo modo i richiedenti asilo non peseranno sui contribuenti italiani, non si stancherà mai di dire che sarebbe sufficiente andare a leggere il Dossier Statistico Immigrazione 2016 per conoscere il saldo positivo, di svariati miliardi, del budget dello Stato italiano, tra spesa per l’immigrazione e introiti dai contribuenti stranieri. Inoltre, en passant, non si può dire che allo Stato italiano manchino i soldi da spendere, quando, una settimana sì e l’altra pure, salva i profitti privati delle banche con i soldi di tutti i contribuenti, italiani e immigrati. Last but non least, il lavoro gratuito obbligatorio, almeno stando a quanto dicono i giornali di oggi, sarà previsto anche nell’ambito delle aziende private. In che modo il lavoro gratuito svolto presso privati dovrebbe contribuire alle spese dello Stato?
Questo articolo è stato pubblicato dal FattoQuotidiano.it il 17 gennaio 2017