di Dimitri Deliolanes
Il 2017 sarà un anno cruciale nel lungo confronto tra il governo di Alexis Tsipras e le autorità europee che, proprio sul caso greco, dovranno prendere decisioni importanti anche per gli equilibri di tutta l’eurozona.
Un primo assaggio delle intenzioni della Commissione si avrà a metà gennaio, quando il “quartetto” (ex troika) tornerà ad Atene per concludere la seconda valutazione. Si tratta di una scadenza importante perché dalle loro conclusioni dipenderà l’ingresso della Grecia nel programma di quantitative easing della BCE e anche l’inizio di un primo tentativo di tornare ai mercati finanziari internazionali.
Se i creditori metteranno al primo posto delle loro richieste questioni che riguardano il nuovo diritto del lavoro, allora sarà evidente che si cerca una mediazione ragionevole. Il governo di Alexis Tsipras ha già manifestato la sua disponibilità ad andare incontro alle richieste europee, mantenendo in vigore il diritto del lavoro europeo. In pratica, si tratta di abbandonare le richieste radicali, espresse dal FMI l’anno scorso, di legalizzare le serrate e i licenziamenti in massa ma di mettere ordine nel diffuso lavoro nero, ridurre i casi di falso lavoro autonomo, disciplinare i permessi sindacali e altre questioni del genere.
Se invece i creditori adotteranno le richieste del FMI di imporre già da ora nuovi tagli di bilancio per 4,2 miliardi di euro per gli anni 2019- 2020, allora è evidente che sarà difficile trovare una mediazione.
Per evitare spiacevoli sorprese, ma anche per acutizzare i contrasti tra la Commissione Europea e il FMI, prima della fine dell’anno, il ministro delle Finanze greco Euclide Tsakalotos ha accettato di inviare una lettera ai creditori in cui dichiarava che il sostegno di 630 milioni dato a fine anno a circa un milione e mezzo di pensionati (solo a quelli con la pensione più bassa), è una misura “una tantum” che non sarà ripetuta senza previa consultazione con la troika. Per neutralizzare le richieste del FMI di nuovi tagli “preventivi”, Tsakalotos si è anche dichiarato pronto ad estendere nel tempo la validità del meccanismo automatico di taglio della spesa pubblica adottato agli inizi del 2016. Tale meccanismo è stato imposto dai creditori per prevenire un ritorno alla vecchia politica di “spese allegre” per ragioni elettorali e la sua validità avrebbe dovuto terminare con la fine del programma greco, nell’estate del 2018.
Ad Atene si teme che, anche nel caso di una conclusione positiva della valutazione della troika, a Bruxelles si adotti una tattica di rinvio di ogni apertura verso il quantitative easing, dando così un duro colpo alla politica di collaborazione (anche se obtorto collo) seguita finora da Tsipras. In sostanza, i dolorosi compromessi adottati finora dal governo greco si saranno dimostrati privi di qualsiasi risultato concreto, sia sul piano del debito (giunto oramai al 180% del PIL) sia su quello del finanziamento autonomo attraversi i mercati. Una tattica dilatoria, quindi, questo farebbe pensare che si punta a provocare una crisi politica ad Atene, nella speranza che nuove elezioni portino al governo la destra neoliberista di Kyriakos Mitsotakis, un leader pienamente allineato con le indicazioni del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble.
In sostanza, Atene vi leggerebbe l’applicazione fedele del progetto del FMI rivelato a settembre dall’intercettazione (probabile opera dei servizi greci) di una telefonata tra il responsabile per Europa Poul Thomsen e la rappresentante dell’organizzazione nella troika Delia Velculescu: sospendere con mille pretesti fino a giugno il versamento delle tranche di finanziamento ad Atene, in modo che Tsipras si trovi di nuovo in condizioni di asfissia finanziaria e, di fronte al pericolo di bancarotta, accetti il ricatto: o nuove misure di austerità o grexit. Anche Schauble, negli ultimi mesi dell’anno scorso, è sembrato condividere questo progetto, moltiplicando i suoi attacchi al governo greco. La tesi di Schauble, che sembra essere rimasto inchiodato nella sua stessa retorica degli anni 2010-2011, continua a essere che “i greci sono gli unici responsabili della crisi” poiché “vivono al di sopra delle loro possibilità”. Affermazioni del genere alla fine del sesto anno di austerità hanno solo un significato preelettorale: puntano, in poche parole, a portare voti verso il ministro conservatore tedesco, presentandolo nella solita veste del “duro negoziatore” che non fa sconti a quei “pelandroni” dei greci.
Ma c’è una parte delle richieste del FMI che a Schauble non piace per niente. Ed è quella che richiede un “generoso haircut” del debito greco e anche la revisione delle previsioni per l’avanzo primario per il periodo seguente il 2019. L’accordo capestro imposto a Tsipras nel luglio del 2015 prevede per Atene l’obbligo di produrre avanzi primari del 3,5% per poco meno di un decennio. Se si considerano con realismo le condizioni pietose dell’economia greca, è evidente che si tratta di una misura punitiva. Il Fmi ritiene, a ragione, che tale obiettivo sia fuori da qualsiasi prospettiva di crescita della Grecia e propone di abbassare la quota al 1,5%.
La Commissione Europea ha già dichiarato la sua contrarietà alle misure aggiuntive proposte dal FMI. A fine novembre Moscovici si pronunciò apertamente contro le proposte di Tomsen: secondo il Commissario Europeo, il governo greco aveva adempiuto “pienamente” ai suoi impegni e non c’erano motivi per nuovi tagli. Dietro la polemica del Commissario francese c’erano anche frecciate neanche tanto velate verso Berlino. Moscovici non parlava a titolo personale né per conto di Hollande. La verità è che la Commissione Europea negli ultimi tempi ritiene che sia arrivata l’ora di rivendicare un ruolo da protagonista nella gestione delle crisi dell’eurozona. A Bruxelles si sono accorti, anche se in ritardo, che il ministro delle Finanze tedesco non ha mai abbandonato il suo vecchio e folle progetto di restringere l’area della moneta unica ai paesi “virtuosi” del Nord Europa, lasciando i paesi del “sud”, Francia compresa, fuori o ai margini, comunque ininfluenti nella gestione politica dell’euro. Si tratta di un piano estremamente rischioso, che emerge periodicamente nelle dichiarazioni di Schauble, provocando reazioni negative persino dentro il suo governo.
Per scongiurare un’evoluzione dalle conseguenze drammatiche e imprevedibili, la Commissione Europea ritiene che sia essenziale riportare il caso greco nell’ordine della normalità. Lo stesso Jean- Claude Juncker ha si è espresso apertamente per una rapida conclusione della seconda valutazione della troika. Per Bruxelles è meglio che il Fondo continui la svolgere l’attuale ruolo di consulente senza partecipare al finanziamento del programma greco. Come è noto, il FMI ha smesso di partecipare al programma greco fin dall’estate del 2014, poiché i suoi statuti non gli permettono il finanziamento di paesi con un debito insostenibile, come era la Grecia già prima di sottoporsi al terzo memorandum di austerità. L’influenza di Tomsen e della Velculescu nelle deliberazioni della troika è quindi sproporzionata rispetto al loro ruolo istituzionale di “consulenti”. Si spiega però con l’affinità di vedute strategiche tra Berlino e l’organismo di Christine Lagarde. Non è un caso che fin dal 2010 proprio la Merkel ha insistito per includere il FMI negli affari dell’eurozona.
La speranza di Juncker è che dopo le elezioni tedesche, previste per l’autunno, ci sia maggiore chiarezza sugli orientamenti politici dei maggiori paesi europei e la Commissione possa svolgere un ruolo più attivo nella gestione del caso greco, magari rinunciando del tutto ai servizi del FMI. Il Presidente della Commissione ha un approccio più realista perché tiene in conto tutti gli elementi che hanno portato in breve tempo l’Unione Europea ad affrontare la più grave crisi dalla sua fondazione. Dopo la brexit, le forze politiche esplicitamente antieuropee hanno preso nuovo vigore e minacciano di conquistare il governo sia in Italia che in Olanda e in Francia. Allo stesso tempo l’Europa appare incapace di gestire l’ondata di profughi e di immigrati che preme maggiormente sui due paesi di frontiera, l’Italia e la Grecia. Di tutto avrebbe bisogno l’Unione Europea meno che di una nuova crisi greca.
Questo articolo è stato pubblicato da Sbilanciamoci.info il 9 gennaio 2017