di Alessandro Pace
Fino ai primi anni Ottant è stato pacifico, almeno in dottrina, che le revisioni costituzionali dovessero avere un contenuto omogeneo e puntuale. Si riteneva cioè che, secondo l’art. 138 della Costituzione, fossero modificabili soltanto singoli articoli della Costituzione o tutt’al più una pluralità di articoli tra loro connessi, in modo tale che, nell’eventuale voto confermativo, gli elettori potessero esprimersi su una sola questione.
Le cose cominciarono a cambiare con l’istituzione della c.d. Commissione Bozzi, che nel 1985 propose una vasta modifica anche della Parte prima della Costituzione. Il primo vero tentativo di una mega-riforma lo si ebbe però solo con la Commissione De Mita-Jotti (1993), cui fu affidato il compito di elaborare un “progetto organico” di riforma relativo a quasi tutta la Parte seconda della Costituzione, che non fu nemmeno posto all’esame delle Camere, in conseguenza dell’anticipata conclusione della XI legislatura.
Il secondo tentativo lo si ebbe con la Commissione D’Alema che si impegnò a lungo, nella XIII legislatura, per elaborare una riforma in senso federale dello Stato con il Presidente della Repubblica eletto dal popolo, ma la riforma si arenò a seguito del venir meno dell’appoggio di Forza Italia. Il terzo tentativo fu quello della mega-riforma Berlusconi – bocciata dal popolo (2006) – che pretendeva anch’essa di instaurare una forma di Stato federale, con un premierato assoluto e una diversa composizione (federale) della Corte costituzionale.
Il quarto tentativo è stata la mega-riforma Letta (2013), che prevedeva una legge costituzionale “madre”, cui sarebbero dovute seguire svariate leggi costituzionali “figlie” afferenti alle materie della forma di Stato, della forma di governo e del bicameralismo: modifica che si arenò non solo per l’ostracismo del M5S ma soprattutto perché Forza Italia fece mancare l’appoggio alla maggioranza poco prima del voto definitivo. Il quinto e ultimo tentativo è quello recente della discutibilissima mega-riforma Boschi, sonoramente bocciata dagli elettori.
In conclusione, nessuna mega-riforma (dal contenuto disomogeneo) ha mai avuto successo. Per contro le leggi di revisione costituzionale finora approvate sono tutte omogenee e puntuali. Ne ricordo alcune: l’estradizione dei rei del delitto di genocidio; la previsione della circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere; la pari opportunità tra donne e uomini; la pari durata delle due Camere; l’eliminazione dell’autorizzazione a procedere per i parlamentari; l’attribuzione alle Camere del potere, a maggioranza dei due terzi, di disporre l’amnistia e l’indulto; la diversa disciplina costituzionale del bilancio dello Stato: l’eventuale possibilità del Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere anche negli ultimi sei mesi; la sottoposizione del Presidente del Consiglio e dei Ministri alla giurisdizione ordinaria per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni; la sostituzione del titolo V della Costituzione relativo a Regioni, Province e Comuni.
Ebbene, non poche sono le modifiche costituzionali, omogenee e puntuali, che potrebbero essere approvate dalle Camere addirittura quasi all’unanimità. Innanzi tutto l’eliminazione della seconda parte del terzo comma dell’art. 30 della Costituzione che presuppone la differenza giuridica tra filiazione legittima e la filiazione naturale, che già da tempo è stata eliminata dal legislatore ordinario (e dalla pubblica opinione), per cui è priva di significato giuridico. E poi l’eliminazione del CNEL, la cui permanenza come non ha ostacolato la vittoria del No, così anche non ha minimamente influenzato gli elettori che hanno votato Sì.
Al di là di queste due modifiche che dovrebbero ritenersi scontate, penso a talune semplici modifiche che troverebbero ostacoli solo in coloro che auspicano mega-riforme che potrebbero non arrivare mai (per cui meglio un uovo oggi che una gallina domani!). Modifiche che però avrebbero anche un grande significato politico.
La riduzione dei deputati a 400 e i senatori a 200, con una comitato misto per superare le eventuali divergenze; l’introduzione della sfiducia costruttiva nei confronti del Governo, tanto più necessaria qualora si dovesse tornare ad un sistema elettorale proporzionale; la riattribuzione alla competenza esclusiva dello Stato di alcune materie troppo generosamente assegnate nel 2001 alla potestà legislativa concorrente delle Regioni che hanno determinato un immenso contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale (istruzione; porti e aeroporti civili; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; grandi reti di trasporto; trasporto e di navigazione; turismo; radiodiffusione e telecomunicazione eccetera).
Modifiche, tutte queste, che comunque dovrebbero riguardare la futura legislatura, perché l’attuale, quand’anche ci fosse tempo sufficiente, è viziata nella sua rappresentatività popolare (così la sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale) per cui, come non avrebbe dovuto approvare la mega-riforma Boschi, non potrebbe nemmeno approvare queste minori modifiche.
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano la Repubblica il 18 dicembre 2016