Testamento biologico: Welby e dieci anni di battaglie per la "morte opportuna"

20 Dicembre 2016 /

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di Carlo Troilo
Il 20 dicembre celebreremo alla Camera, con Laura Boldrini, Emma Bonino, Beppino Englaro, Mario Riccio e tanti altri, i 10 anni della morte di Piergiorgio Welby e faremo il punto sull’iter della legge sul testamento biologico. Mina Welby presenterà il film “Love is All – Piergiorgio Welby, Autoritratto”.
Nel 2016 – oltre 30 anni dopo la prima proposta di legge sulla eutanasia, firmata dal “padre” del divorzio Loris Fortuna – l’Associazione Luca Coscioni è riuscita a far sì che il Parlamento metta finalmente nella sua agenda il re dei tabù, l’eutanasia, assieme al testamento biologico. Un successo che ha richiesto tre anni di pressing dopo il deposito alla Camera e al Senato di una nostra proposta di legge di iniziativa popolare con le firme di 67mila cittadini/elettori.
Ci hanno aiutato:

  • i numerosi parlamentari che hanno aderito alla nostra iniziativa per un “Intergruppo eutanasia”
  • i malati, da Max Fanelli A Walter Piludu, che hanno voluto rendere noto il loro dramma e dare sostanza al nostro slogan “dal corpo del malato al cuore della politica”, seguendo l’esempio di Welby e di Englaro
  • il Presidente Napolitano, che – in risposta ad una lettera in cui prendevo spunto dal suicidio di mio fratello Michele per denunciare l’inerzia del Parlamento sulle scelte di fine vita – inviò a me e alla nostra Associazione una lettera aperta in cui sollecitava “un sereno a approfondito confronto di idee” su questi temi (quasi “un messaggio alle Camere”)
  • i congiunti di tre “suicidi illustri” (Monicelli, Magri e Lizzani) che hanno deciso di condividere la nostra battaglia per una “morte degna”
  • gli intellettuali e i giornalisti che hanno sostenuto la necessità di legalizzare l’eutanasia e di varare una legge chiara sulle Dichiarazioni Anticipate di Volontà – DAT (una dicitura più precisa di quella corrente di testamento biologico).


Naturalmente, il cammino si è dimostrato subito irto di ostacoli. Le due Commissioni della Camera competenti per materia (Giustizia e Affari Sociali) hanno impegnato alcuni mesi per una serie di audizioni, sulla cui utilità mi permetto – da ex addetto ai lavori parlamentari – di esprimere dubbi, visto che erano ben noti sia i termini del problema “fine vita” sia le posizioni delle associazioni e delle singole persone che sono state “audite”.
Malgrado questi ritardi, il 7 dicembre la Commissione Affari Sociali della Camera ha deliberato l’adozione del testo base sul testamento biologico così come uscito dal Comitato ristretto presieduto dalla relatrice Lenzi (PD). Il testo (potete leggerlo cliccando qui) passerà all’esame dell’Aula a partire dal 12 gennaio, ultimo giorno utile per presentare emendamenti.
Dunque, ci attende ancora un cammino difficile, specie se dovesse verificarsi la fine anticipata della Legislatura. Ammesso, infatti, che fosse possibile approvare la legge prima delle elezioni, essa non entrerebbe in vigore perché mancherebbe il tempo per il suo passaggio (e la sua approvazione) in Senato: un caso esemplare dei danni del bicameralismo paritario, che il voto popolare ha voluto salvare, forse perché la dialettica “Renzi SI o Renzi NO” ha prevalso su un esame sereno della riforma costituzionale oggetto di referendum.
Ma, come diceva Rocco Scotellaro a proposito delle lotte contadine nel Sud, “nei sentieri non si torna indietro”. Nella peggiore delle ipotesi, sarà la prossima Legislatura a legalizzare il testamento biologico e l’eutanasia.
Il primo è realtà da decenni negli Stati Uniti e da lungo tempo in tutti i maggiori paesi d’Europa: in Germania il testo base è stato redatto insieme dalla Chiesa Cattolica e da quella Luterana e in pochi anni è stato firmato nelle chiese da milioni di tedeschi.
Quanto alla eutanasia, non solo essa è legale nei tre paesi del Benelux e in due comunità autonomiche della Spagna (un quarto degli abitanti del Paese), ma è praticata in Svizzera nella forma del suicidio assistito, ha trovato una soluzione “mascherata” nelle nuove norme francesi sul “laisser mourir” (sospensione delle terapie e sedazione profonda e continuata) e infine è “tollerata” in Inghilterra, dove di fonte alle denunce contro i molti cittadini che vanno in Svizzera a cercare “la dolce morte” i procuratori del Re archiviano regolarmente, in sintonia con lo spirito della “common law” che regge tanta parte dell’ordinamento legale inglese.
Infine, peseranno positivamente sul dibattito parlamentare (speriamo in questa, altrimenti nella prossima Legislatura) due notizie di questi ultimi giorni.
La prima è la sentenza del Tribunale di Cagliari, in cui il giudice tutelare Maria Luisa Delitala ha accolto la richiesta di Walter Piludu, malato di SLA, di vedersi interrotto ogni trattamento, nutrizione e ventilazione e dunque di morire. Non solo, ha invitato i medici a sedarlo, come avviene in Francia. “È un diritto – scrive il giudice – rifiutare le cure e andarsene senza soffrire: sedati per non sentire ansia o dolore”.
“Questa sentenza – ha commentato Marco Cappato – è una rivoluzione perché dice che è il sistema sanitario nazionale che deve rispondere alle richieste che verranno dai malati. E senza bisogno che intervenga un giudice . Ora ci vorrebbe una circolare del Ministero della Salute in modo che tutte le Asl si comportino in modo uguale e la possibilità di andarsene sedati sia data a tutti. Altrimenti c’è, come ora, discriminazione tra chi ha conoscenze, soldi per gli avvocati e chi no”. Peccato che nel frattempo al Ministero sia stata confermata la Lorenzin, che sui “temi etici” è peggio di Ruini.
Importante il commento di Beppino Englaro, esplicito in favore della eutanasia: “Questa sentenza è anche merito dei precedenti pronunciamenti ottenuti per Eluana. Se non c’è un diritto a morire, c’è sicuramente quello ad essere lasciati morire. Il testamento biologico è indispensabile, ma è necessario parlare anche di eutanasia: basti pensare ai casi drammatici di Monicelli e Lizzani”.
La seconda notizia importante è la nuova intervista (la precedente risale e due anni fa) in cui il professor Mario Sabbatelli, primario del reparto di SLA del Gemelli – da sempre, l’ospedale dei Papi – afferma di aiutare i malati a morire senza sofferenze. Lo consentono, dice Sabbatelli, la Costituzione, il codice deontologico dei medici ed anche la Chiesa (fin dagli anni Cinquanta Pio XII diceva che è lecito somministrare farmaci per attenuare il dolore anche se in tal modo si accelera la fine ed auspicava che i malati potessero morire con dignità umana e cristiana). Circa la ventilazione artificiale, Sabbatelli spiega che il 30% dei malati accetta la tracheotomia solo se viene loro garantita la possibilità di staccare le macchine quando lo chiedessero. Solo il malato può decidere se la ventilazione artificiale è un trattamento proporzionale alle sue condizioni. Personalmente – spiega Sabbatelli – attuo la sedazione profonda e poi stacco il respiratore. L’AISLA (associazione dei malati di SLA) – spiega il primario, sta predisponendo un modello di DAT perché la legge sul testamento biologico “è ancora una utopia”. Sabbatelli aggiunge: “Trovo scandaloso che molti medici di pronto soccorso si arroghino il diritto di imporre la ventilazione forzata a malati che hanno detto di no o minaccino di mandarli a casa se non accettano quel trattamento”. Qui l’intervista integrale.
Per concludere, il fronte dei favorevoli alla eutanasia – o quanto meno al “laisser mourir” con sedazione – diviene sempre più vasto.
Ma questo rende ancor più necessario che la soluzione dei problemi del fine vita non sia affidata ai singoli medici ma garantita da una legge, perché ottenere una “dolce morte” non può essere il risultato di un colpo di fortuna (mi è capitato il medico umano) o di sfortuna (a me invece quello clericale e inumano).
P.S. Il 20 dicembre saprò se ho vinto (o almeno pareggiato) una mia personale battaglia. Uno degli argomenti forti in favore della eutanasia è stato in questi anni per noi (e soprattutto per me che per primo ho fatto ricorso a questo argomento) il numero spaventoso di malati che in Italia si suicidano per la impossibilità di ottenere l’eutanasia, come nel caso di mio fratello Michele. Sono mille ogni anno (più dei morti sul lavoro) e oltre mille tentano invano di farlo.
“Scoprii” questi dati nel 2006 fa nelle tabelle sui suicidi dell’ISTAT e feci in modo che divenissero, non solo per me, una motivazione forte a favore della eutanasia assieme all’altro dato (anch’esso di fonte autorevole: uno studio dell’Istituto Mario Negri del 2007) sui 20mila casi di eutanasia clandestina che si verificano ogni anno fra i malati terminali.
Per questo fui molto deluso quando l’ISTAT decise di eliminare dalle sue tabelle la voce “moventi”, che era la sola in grado di dirci quanti casi di suicido sono in qualche misura imputabili alla impossibilità di ottenere l’eutanasia.
Assieme ai congiunti di Monicelli, Magri e Lizzani scrivemmo una lettera al presidente dell’ISTAT, professor Alleva, che ci rispose cortesemente spiegando le ragioni di quella scelta ed assicurandoci che l’Istituto avrebbe studiato le modalità attraverso cui ripristinare quel tipo di informazione.
Martedì 20 il prof. Alleva parteciperà al nostro convegno e mi auguro che ci darà una notizia positiva.
Carlo Troilo fa parte dell’Associazione Luca Coscioni
Questo articolo è stato pubblicato da Micromega online il 19 dicembre 2016

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