di Tomaso Montanari
Esattamente sei mesi fa, il 14 giugno scorso, ho spiegato perché non potevo accettare la proposta di entrare nella giunta di Virginia Raggi come assessore alla Cultura, e perché l’avrei votata al ballottaggio se fossi stato un cittadino romano.
Allora, tra l’altro, scrivevo: «Se la sinistra radicale non riesce, con ogni evidenza, a rispondere a tutto questo, è impossibile non riconoscere che i Cinque Stelle (occupando di fatto lo spazio che in Spagna è stato conquistato da Podemos) stanno invece aprendo nuovi spazi di cittadinanza: suscitando partecipazione almeno quanto questo Pd sembra invece puntare, irresponsabilmente, sull’astensione. Se votassi a Roma, al secondo turno sceglierei dunque la Raggi, anche perché (nonostante l’evidente probità di Roberto Giachetti) è vitale – dopo l’impressionante disastro consociativo – che sul Campidoglio tiri un’aria radicalmente nuova. Se poi quest’aria riuscirà a costruire una alternativa nazionale ispirata ad un riformismo radicale, e se lo farà aprendosi a valori e personalità della sinistra, il Paese non avrà che da guadagnarci».
Ebbene, a distanza di sei mesi quelle promesse, quelle possibilità, quelle aperture si chiudono nel peggiore dei modi. Personalmente ero già rimasto interdetto dalla fiducia continuamente rinnovata alla Muraro contro ogni ragionevolezza, e poi dalla palese insopportazione per il rigore di Paolo Berdini, ben deciso a far rispettare il piano regolatore e dunque a non far affogare il futuro stadio nel cemento e nella corruzione.
L’arresto clamoroso di Raffaele Marra è il drammatico epilogo di un crescendo di inadeguatezza, superficialità, arroganza. E peggio ancora dell’arresto, è come ora si cerchi di minimizzarlo e addirittura di rimuoverlo.
È il momento di ricordare a Virginia Raggi che i valori fondamentali per cui una parte rilevante dei cittadini italiani continua a guardare al Movimento Cinque Stelle sono la totale trasparenza; la discontinuità radicale con il sistema di poteri che annulla la politica vera; l’onestà; la fedeltà al mandato dei cittadini e la dichiarata volontà di perseguire solo l’interesse generale. Ebbene, cosa rimane di tutto questo quando addirittura le manette certificano che siamo tornati al peggio della gestione Alemanno?
E non si dica che Marra era un qualunque dipendente del Comune: perché l’effetto di questa versione da impuniti è lo stesso che provocò chi farfugliò di email non lette, o (per cambiare partito) lo stesso che ora provoca chi prima promette di ritirarsi dalla politica in caso di sconfitta al referendum, e ora cerca di fare il puparo dietro le quinte. Tutto: ma non provate anche a prenderci in giro.
Ora siamo al momento della verità: o il Movimento 5 stelle dimostra agli italiani di saper tener fede alle proprie promesse, e cioè di essere in grado di rispondere ai propri principi e di mantenere il proprio patto con gli elettori, o la sua sorte è segnata. E sarebbe una notizia terribile per la democrazia italiana, che ha bisogno di un Movimento 5 Stelle davvero trasparente come avrebbe bisogno di un Partito Democratico davvero di sinistra.
Ci vuole coraggio: se fosse l’unica strada possibile, anche il coraggio di dichiarare chiusa l’esperienza di questa giunta, chiedere scusa solennemente e impegnarsi a selezionare in modo efficace la propria classe dirigente. «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nel fuoco della Geenna». Un linguaggio radicale, certo: ma non era questo il linguaggio del Movimento?
Questo articolo è stato pubblicato da Libertà e giustizia il 17 dicembre 2016