Ilva e veleni, nessuna giustizia per Taranto?

6 Dicembre 2016 /

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Ilva
di Antonia Battaglia
La nota dei Commissari Straordinari dell’Ilva ha confermato l’accordo tra il gruppo Ilva, la famiglia Riva e le società ad essi riconducibili, accordi per un totale di 1,33 miliardi di euro, di cui 1,1 per “il piano ambientale” e 230 milioni per la gestione corrente dell’azienda.
Un accordo che sarà stipulato entro febbraio e che prevede contestualmente che siano rese disponibili alla società, con accordo dei Riva, le somme sotto sequestro penale custodite in Svizzera. Un patto tra il Governo ed i Riva, ma senza Taranto, che non potrà avanzare più nessuna pretesa nei confronti della famiglia Riva.
L’accordo, infatti, stipulato tra le Procure di Taranto e di Milano, con i Commissari straordinari (quindi con il Governo) e con la famiglia Riva dovrebbe consentire di “completare” il processo di ambientalizzazione dello stabilimento. Ma in realtà l’accordo e la proposta di patteggiamento fanno uscire l’Ilva dal processo “Ambiente Svenduto”. Sembrerebbe che il Governo, quindi, abbia rinunciato alle azioni giudiziarie contro i Riva, svendendo Taranto per 1.33 miliardi di euro.

La cosa che appare molto singolare è la posizione della Procura di Taranto, che era stata baluardo della difesa dei diritti di una città calpestata per decenni.
Perché non possono non lasciare stupiti le iniziative che sembrerebbe essere state prese dalla stessa Procura, volte a favorire la presentazione di una proposta di patteggiamento (che non è escluso possa essere depositata alla prossima udienza del 6 dicembre) e che dal punto di vista delle regole processuali sarebbe stata altrimenti inammissibile.
La società Ilva infatti non era più nei termini per avanzare istanza di patteggiamento, dopo il rinvio a giudizio. Ma per rimettere nei termini la società e rendere possibile la presentazione di una istanza di tal genere, sembrerebbe che la Procura di Taranto abbia operato, nell’udienza del 26 ottobre scorso, una strategica e mirata modifica del capo di imputazione riguardante la società stessa (e le altre imputate nel processo). Modifica a cui normalmente in un processo la Procura procede solo dopo che le prove assunte nel dibattimento (che nel caso del processo Ilva non è neppure stato dichiarato aperto!) lascino emergere che il fatto di reato si è svolto diversamente da come originariamente delineato dalla stessa Procura.
Come può essere avvenuta la modifica del capo di imputazione prima dell’attività istruttoria dibattimentale? Quale novità è potuta intervenire a dibattimento non ancora cominciato? Sulla base di quali elementi è cambiato il capo di imputazione per l’Ilva nel processo “Ambiente Svenduto”?
Perché la Procura di Taranto avrebbe accettato di attivarsi in queste trattative col Governo, di cui i commissari Ilva sono emanazione? Questo non risponde affatto né alla logica processuale, né ad un concetto di giustizia sostanziale. Perché dovrebbe essere il processo, e quindi i giudici, a stabilire, a fine processo, responsabilità ed entità dei danni.
Appare chiaro come l’obiettivo del Governo sia ottenere il dissequestro degli impianti così da poter vendere lo stabilimento. Ma come mai la Procura avrebbe accettato la proposta ‘al ribasso del Governo, con un processo in corso con più di 1.300 parti civili e senza che sia stata ancora operata dai Giudici del processo (come dovrebbe avvenire all’esito del processo stesso!) l’esatta quantificazione di tutti i danni cagionati all’ambiente e alla salute delle costituite parti civili?
Danni che non possono essere risarciti con una così minima somma quale quella per la quale sarebbe stato raggiunto l’accordo per il patteggiamento che, ove mai dovesse essere accolto definitivamente dai Giudici, consentirebbe l’uscita dal processo della società Ilva e, cosa altrettanto grave, porrebbe le premesse per il dissequestro degli impianti, che come è noto continuano ad inquinare e che verrebbero così ad essere definitivamente sottratti al controllo dell’autorità giudiziaria e alla possibilità di una confisca, alla fine del processo.
Taranto è stata “stimata”, senza attendere la fine del processo in corso, a 1.33 miliardi. In questa somma ci sono il nostro passato, i nostri morti, le nostre speranze, la sete di giustizia riposta nel processo.
Gli impianti dell’Ilva non sono a norma, lo confermano anche le ispezioni dell’ISPRA. Continuano a essere trasmesse alla Procura di Taranto esposti su varie situazioni che richiederebbero altre approfondite indagini. I dati sanitari, anch’essi derivanti da stime istituzionali, sono drammatici. Taranto è una città condannata di nuovo a morte, alla quale viene negato l’ultimo baluardo di giustizia.
Questo articolo è stato pubblicato da Micromega online 5 novembre 2016

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