di Sergio Sinigaglia
Il 13 novembre di un anno fa, Alessio Abram, 48 anni, attivista dei centri sociali, presidente della Polisportiva antirazzista Assata Shakur, figura storica della tifoseria anconetana, è stato arrestato e condotto in questura, dove gli è stata notificata una condanna definitiva a più di cinque anni di carcere per violazione del Daspo.
Per chi non lo sapesse si tratta di un provvedimento di restrizione della libertà personale che, vietando l’accesso allo stadio, costringe il soggetto ad andare in questura a firmare ogni qualvolta gioca la squadre del cuore. Alessio, sottoposto da circa otto anni a questa costrizione, per alcune volte era andato a firmare in ritardo o non si era recato in questura per seri impedimenti. Condannare a una pena così pesante per un “reato” che dovrebbe essere sanzionato amministrativamente, per di più nel Paese della corruzione diffusa e impunita, dove imperversa la criminalità organizzata, è sicuramente una cosa di una gravità inaudita.
Sin dai primi giorni dopo l’arresto si è dispiegata una mobilitazione non solo ad Ancona e nelle Marche, ma in varie parti d’Italia, dato che Alessio è conosciuto a stimato soprattutto per il suo impegno nello sport di base. L’esperienza della Polisportiva, il suo lavoro sociale tra i migranti per usare lo sport come strumento di inclusione sociale, hanno catturato l’attenzione di mass media e del mondo dell’associazionismo. In particolare la nascita alcuni anni fa della squadra di calcio composta in buona parte da ragazzi di origine straniera, iscritta al campionato dilettanti di terza categoria, è a presto un esempio per realtà simili all’Assata.
Ma dietro l’arresto di Abram in molti hanno visto la volontà di colpire una figura “scomoda” in un contesto come quello anconetano, dove vige lo status quo e le dinamiche di potere locali non devono essere disturbate. Basti pensare all’esperienza di Casa de nialtri, il movimento per il diritto alla casa che nel dicembre del 2013 per 44 giorni vide 60 senza casa occupare un asilo comunale abbandonato, una esperienza di autogestione sociale che fece parlare di sé anche fuori dai confini regionali ed ebbe la solidarietà, fra gli altri, del premio Nobel Dario Fo. E in questa lotta Alessio fu in prima fila, insieme a tanti altri.
In questi mesi purtroppo le domande per fargli ottenere misure alternative alla detenzione sono state tutte respinte, confermando un intento persecutorio nei confronti di Abram, visto che stiamo parlando di un reato certamente non grave. Per tenere alta l’attenzione su questo emblematico caso di “mala giustizia”, è uscito il volume “Un calcio alle sbarre”, edito da Affinità Elettive. dove sono raccolti contributi di scrittori, giornalisti, personaggi della cultura, nonché amici e compagni di Alessio.
Vi sono riportati testi su argomenti cari ad Alessio: l’antirazzismo, lo sport popolare, la lotta alle ingiustizie, nonché testimonianze sul lavoro sociale da lui svolto in questi anni.
Brunella Antomarini, Loris Campetti, Enzo Cucchi (che ha dato volentieri un proprio disegno per realizzare la copertina) Angelo Ferracuti, Cladio Piersanti, Massimo Raffaeli, Francesco Scarabicchi per citare i nomi più noti, pur non conoscendo Alessio Abram, hanno volentieri collaborato all’uscita di questo “tascabile” perché hanno capito come ci si trovi di fronte ad un caso emblematico di palese ingiustizia.
Nessuno di loro ha una particolare simpatia per il mondo ultras, fenomeno complesso e contraddittorio, ma hanno chiaro che il fenomeno della violenza negli stadi, non può essere risolto con provvedimenti abnormi e palesemente anticostituzionali, fermo restando che nel caso di Alessio ci troviamo di fronte ad una persona il cui impegno sociale è da sempre apprezzato e riconosciuto da più parti, in primis dal mondo cattolico. Nel testo è presente anche il comunicato che Dario Fo scrisse in occasione dell’occupazione dei senza casa, per scongiurare la sindaca P a non reclamare lo sgombero, appello rimasto inascoltato.
Il libro uscito a settembre è già stato presentato in diverse città. Giovedì 24 novembre, per iniziativa del gruppo parlamentare di Sel, verrà discusso presso la Sala Stampa della Camera dei deputati. In questo modo si vuole dare ulteriore impulso alla campagna per fare uscire Alessio dal carcere. Un piccolo spiraglio si è recentemente aperto grazie alla Cassazion, che ha dato ragione alla difesa che aveva ricorso contro la condanna, a dicembre già abbassata a tre anni e nove mesi, sottolineando come il giudice avesse sbagliato il conto della pena. Ora si dovrà pronunciare nuovamente il Tribunale di Ancona. L’auspicio è che la nuova sentenza indichi una pena sotto i tre anni in modo da rendere automatici, in considerazione dei mesi già trascorsi in prigione, gli arresti domiciliari, in attesa dell’affido ai servizi sociali.
Certamente non potranno far dimenticare ad Alessio l’ingiustizia subita, ma almeno a restituirlo all’affetto della sua compagna, dei quattro figli, degli altri suoi cari, nonché dei tanti che gli vogliono bene.