di Luca Mozzachiodi
Tra le realtà culturali presenti sul territorio di Bologna una delle più attive, non solo in campo letterario, ma anche teatrale, musicale e culturale in senso ampio c’è la casa editrice Qudulibri, portata avanti dal lavoro di Patrizia Dughero, anche poetessa, e Simone Cuva, che si distinguono, oltreché per un notevole impegno nella militanza per i diritti umani a fianco dell’associazione 24marzo Onlus e non solo, anche per diverse iniziative volte a qualificare il territorio di Bologna. Nell’intervista a Patrizia si parla tanto dei volumi pubblicati e del loro spirito di editori, e nel suo caso di autrice, quanto di un particolare e oggi inedito, rapporto tra l’oggetto libro e la promozione culturale che merita di essere conosciuto e approfondito.
Siete una giovane casa editrice, puoi raccontarmi qualcosa sulle origini di Qudu?
Le origini della casa editrice risalgono a quattro anni fa, non siamo giovanissimi, abbiamo all’attivo quasi un libro al mese. Simone ha lavorato per vent’anni in una casa editrice, la sua esperienza professionale e le mie molte esperienze di collaborazione con editori ci hanno spinto a creare un progetto nostro, in cui lavoriamo come un duo ma cerchiamo di espanderci accogliendo e ricercando incontri personali da cui scaturiscono collaborazioni. In particolare siamo nati con la militanza nell’associazione 24marzo Onlus che si occupa della questione dei desaparecidos e della difesa dei diritti umani. Nell’estate del 2012 esce il libro Una voce argentina contro l’impunità di Claude Mary, tradotta dal francese dal P.M. Francesco Caporale, che segna l’avvio della nostra militanza editoriale per i diritti umani e il profondo legame tra Qudulibri e l’Argentina.
Vi caratterizzate per la volontà di propugnare la poesia agita, che cos’è per voi la poesia agita?
Le piccole case editrici hanno bisogno di una promozione serrata che si coniughi a letture che possono essere tradizionali o legate a eventi e performance che possano raggiungere un pubblico più esteso; questo ci interessa molto, per questo facciamo molti chilometri. Siamo particolarmente legati al Friuli e alla Slovenia, tanto d’aver aperto la collana Fare Voci che, con un collegamento tra poeti bolognesi e del Nordest, diventa un percorso e un libro costruito insieme all’autore: ogni testo è un unicum e il legame si rinsalda ad ogni passaggio. Si tratta di un percorso lungo un immaginario binario Bologna-Gorizia, dove ha un ruolo importante come elemento culturale il concetto di frontiera.
Avete dunque un importante legame con il Friuli, vuoi parlarmene?
La collana Fare Voci a cura del poeta goriziano Giovanni Fierro nasce da un desiderio di ascolto del nostro tempo per riconoscere una geografia del gesto poetico, là in una zona dove si conoscono solo confini questa idea può portare con sé un desiderio di liberazione dello spazio, per abbattere muri e barriere. Abbiamo in cura la pubblicazione dell’opera vincitrice al Premio Teglio Poesia, attivi anche in Veneto collaborando con l’Associazione Porto dei Benandanti. Siamo legati al Friuli anche per ragioni biografiche e familiari, insomma in quella terra i nostri progetti editoriali prendono forma.
Quali sono le differenze o le somiglianze tra Bologna e il Friuli?
Non ci sono molte somiglianze tra la situazione culturale friulana e bolognese. L’ambiente poetico di Bologna è connotato dall’accademia e dall’università diversamente dal Friuli; a Bologna è difficile uscire dall’idea del canone mentre in il Friuli si è quasi più vicini ad una forma di oralità, di recitazione ad alta voce della poesia. A Bologna c’è un grande manto di retorica volto a coprire un nichilismo congenito sul fare poesia che non riesco a spiegarmi. Il Friuli è una terra di resistenti, anche la lingua lo dimostra e la poesia pare farsi più candida. A Bologna la nostra azione ha incontrato difficoltà perché la città pare divisa in gruppetti che non arrivano a volte neanche ad essere cenacoli.
Quali sono state le principali iniziative di poesia agita a Bologna?
Agire poesia a Bologna, come abbiamo fatto, è passare attraverso iniziative come quella dei Centomila poeti per il cambiamento (di cui abbiamo curato l’antologia nel 2013), fino alla rassegna di recital musicali promossa al Teatro del Navile da febbraio ad aprile: Giovanni Fierro e il bravo trombettista Sandro Carta con “La conta degli abbracci”; Pericle Camuffo, il duo Toma di Giancarlo Lombardi e Martin O’Loughlin e Pierluigi Pintar che hanno musicato e messo in scena “Inside Black Australia” (antologia di poesia aborigena di protesta); in ultimo un autore che non ha pubblicato con Qudu: Maurizio Mattiuzza con Gli Alberi di Argan Quartet in “Cantata per la La donna del chiosco sul Po”. Non sempre purtroppo dal pubblico abbiamo avuto un grande riscontro e abbiamo dunque la sensazione di non essere ancora capiti. Abbiamo inoltre promosso delle classi di scrittura di haiku, per tutte le età, anche per bambini. Attraverso un progetto che ha per titolo “Possiamo chiamarla poesia gentile?” volto a ritrovare lo stupore tramite le parole che ci abitano, abbiamo tentato di far sì che nei ragazzi si sviluppasse la capacità di attenzione e riflessione sulla parola poetica.
Vuoi parlarmi degli altri vostri progetti?
Innanzitutto il mio progetto di poesia agita a Bologna consiste nel ricercare una connessione tra la poesia e i contenuti sviluppati nei libri di 24marzo Onlus: ricercare cioè una poesia politica e di memoria incisiva, costruendo letture performative, che possibilmente si leghino ad un luogo riconoscibile sul territorio dove sia possibile per tutti i cittadini sapere di trovare cultura di buon livello. Vorrei poter mescolare due passioni: l’azione volta ad una ricerca di giustizia (diritti umani e memorialistica) e la diffusione orale del linguaggio poetico (azione performativa). Stiamo inoltre per fondare una associazione culturale in modo da proporre istituzionalmente i nostri progetti di editoria per bambini e ragazzi legati anche alla collaborazione con altre realtà impegnate nella tutela ambientale.
Possiamo delineare ora il vostro modo, fatto di convinzioni e metodi, ma anche di desideri e speranze nel fare editoria?
Amo molto costruire e immaginare libri, ho molteplici esperienze con la fase di produzione e il pensiero grafico e di questo sono esempio le nostre collaborazioni per le copertine con la quilter Roberta Gasperi. Oggi la poesia, per la sua facilità di divulgazione può avere una funzione simile a quella del teatro e non essere più ridotta solo alla parola stampata.
Un tema per voi molto importante è la memoria, qual è il rapporto tra memoria e poesia e letteratura per voi?
La poesia deve servire a stabilire un rapporto di attenzione e riflessione con il proprio essere nel mondo. La ricerca di memoria mi ha spinto a scrivere poesie, come quelle che ho raccolto nell’ultima silloge Canto del sale, La memoria, come nei monologhi drammatici in essa contenuti, può essere frammentata e ricostruita attraverso narrazioni singole che si uniscono a quelle collettive, così come la memorialistica vuole e così come il poeta dovrebbe sorpassando la liricità della singola poesia per fare della propria opera una sorta di epica.
Tu sei anche una poetessa, vuoi dirmi qualcosa sulla tua scrittura?
Il ricorso alla memoria per me non è solo una scelta politica, ma un insopprimibile processo creativo che, nella militanza assieme alle Madres e Abuelas de Plaza de Mayo, ha fatto sì che potessi avere alcuni riconoscimenti, per esempio da Vera Vigevani Jarach, madre di Franca Jarach, desaparecida a 18 anni, che come altri che oggi sarebbero miei coetanei, ha denunciato crimini “che sono solo nostri”. È con Vera Vigevani che ho avuto l’idea, da lei approvata, di dichiarare la mia scrittura pubblicabile “per una militanza della memoria”, locuzione da lei stessa coniata, poi trasportata come motto a Qudulibri. Altro riconoscimento è stato da parte dell’avvocato Marcello Gentili, di 24marzo Onlus che con l’associazione ha svolto i memorabili processi in contumacia nei primi anni 2000. A Gentili ho dedicato un poemetto che si è arricchito dei suoi disegni: crediamo, insieme a Vera, che la diffusione di memoria debba essere trasmessa il più possibile attraverso l’intersecazione di linguaggi espressivi e artistici efficaci e potenti, oltre che belli. Ma con una delle mie ultime raccolte, ancora inedite, L’ultima foglia, tento di andare a quei confini del linguaggio nella ricerca di verità, che renda iperreale quanto lo sguardo induce a dire. E inseguo quel vento espresso da Basho: “Oriente o Occidente / unica è la malinconia del vento autunnale”. È innegabile, la mia spira continuamente da Est a Ovest e ritorna, la poesia sembra l’unica forma per catturarla nella resa.
Che progetti avete in cantiere?
Merita un accenno il libro in uscita del Gruppo ’98 Poesia, Della propria voce; è importante questa connessione a Bologna con un gruppo di donne e con il percorso femminista della città. Si tratta anche di una battaglia contro la violenza. Così come la traduzione di Betina sin aparecer, volume che riunisce quanto detto finora di un autoesiliato argentino, Daniel Tarnoplsky, cui hanno sterminato la famiglia: una prosa libera tanto da sconfinare nel linguaggio poetico, oltrepassando la memorialistica d’intervista verso una complessa ricostruzione narrativa iperreale. Perché la sostanza è questa: chi si occupa dei diritti umani non fa solo un lavoro politico ma si occupa di un “ne va di noi” che conosce quali sono le questioni di vita e di morte e, personalmente, non riesco a disgiungere la poesia da questo.
Come sintetizzare dunque e condensare in parole il vostro impegno?
Vorrei citare in proposito Ingeborg Bachmann, mia madre poetica, che alla poesia assegna il compito di vegliare con intransigenza, scansando tentazioni e lusinghe: “Non è la bellezza, lo sperimentalismo, la novità, ma l’impegno teorico a determinare la qualità di una pagina di letteratura – e l’impegno teorico si costruisce solo attraverso la cura maniacale del linguaggio”.
“La realtà – afferma – acquista un linguaggio nuovo ogni qualvolta si verifica uno scatto morale, conoscitivo, e non quando si cerca di rinnovare la lingua in sé, come se essa fosse in grado di far emergere conoscenze e annunciare esperienze che il soggetto non ha mai posseduto”.
Mi pare giusto ricordarla con le parole di Christa Wolf che la salutava così: “È venerdì 19 ottobre 1973, una giornata fredda e piovosa, sono le 18.30. In Cile la giunta militare ha proibito l’uso della parola ‘compañero’. Non c’è allora motivo per dubitare dell’efficacia delle parole. Anche se colei che ha sempre fatto affidamento sull’uso serio delle parole non può più ricorrere ad esse; si lascia andare e vive questi giorni in una sua frase: “Con la mia mano bruciata scrivo sulla natura del fuoco. Ondina se ne va”. Un filo scuro si è inserito nella trama. Impossibile lasciarlo cadere. Per raccoglierlo è ancora troppo presto”.
Per contatti diretti con l’editore: info.qudulibri@yahoo.it