di Ivo Murgia
Per lungo tempo in Sardegna ci siamo vantati, inorgogliendoci, della nostra ospitalità e della capacità di accoglienza della nostra comunità, così come ci siamo beati del fatto che dalle nostre parti non esistesse razzismo, o fosse limitato a rarissimi episodi subito stigmatizzati dalla società sarda, refrattaria a questi fenomeni.
Quei tempi oggi, ci paiono drammaticamente lontani. A leggere le cronache riportate dai media locali, vengono allo scoperto le reazioni istintuali più basse e di pancia di quei sardi che direttamente hanno avuto a che fare con il dramma dell’immigrazione e dei rifugiati politici. Recentemente a dei poveri immigrati eritrei alloggiati in un hotel di Pirri, sono stati rivolti i commenti più sprezzanti e intolleranti, tipici dei veri razzisti e di chi ha perso ogni briciolo di umanità.
Cosa drammatica a tutte le latitudini ma che nel nostro caso, come sardi oltre che esseri umani, ci riporta bruscamente alla realtà del nostro razzismo più bieco e per nulla strisciante, anzi, palesato ad alta voce. Ricordiamo, per dovere di cronaca, che questi immigrati non hanno nessuna intenzione di stare in Sardegna e tantomeno in Italia, per quello rifiutano di essere identificati. In base al Trattato di Dublino, venendo identificati dallo stato italiano dovrebbero chiedere asilo politico obbligatoriamente in Italia, mentre loro vorrebbero raggiungere i loro parenti e amici in altri stati europei.
Quanta memoria corta! Proprio noi sardi, con un’altra Sardegna in giro per il mondo, con circoli dei nostri emigrati in ogni dove, noi che abbiamo lasciato la nostra terra costretti a cercare fortuna altrove, fenomeno che continua senza sosta tutt’oggi peraltro, ci ritroviamo a mal sopportare altri esseri umani che hanno varcato il mare, tra mille pericoli e con il loro carico di disperazione, che altro non sono che lo specchio di noi stessi?! Allora cosa dovrebbero dire i paesi che hanno accolto i nostri figli, tutti quei sardi sparsi per il mondo che si sono sistemati in terre altrui, tornatevene a casa che qui ci rubate il lavoro? Non vi vogliamo, dobbiamo pensare prima ai nostri problemi?
E ci siamo forse dimenticati che noi sardi fino a pochi anni fa eravamo oggetto di razzismo da parte degli italiani? Basti ricordare espressioni come ‘Ti sbatto in Sardegna’, di uso comune prima dell’avvento del turismo di massa per indicare una punizione, così come le teorizzazioni di Lombroso sui sardi razza criminale, o quando si invocava l’uso del napalm da parte del governo italiano sui sardi banditi.
Ed è di poche settimane fa l’uscita del procuratore di Cagliari che parla con tutta tranquillità di istinto predatorio della mentalità barbaricina come se questa fosse la cosa più normale e scontata del mondo, senza che le autorità cittadine, e sarde in generale, si siano prese il benché minimo disturbo di replicare o pretendere un chiarimento da parte dell’esponente de sa giustìtzia italiana. Da oggetto di razzismo ci stiamo trasformando rapidamente in razzisti noi stessi, verso altri più disgraziati di noi.
Noi sardi e la nostra isola siamo stati oggetto di colonizzazione, prima spagnola e poi piemontese-italiana e questo ci ha portato deforestazione, rapina delle nostre risorse, sfruttamento dissennato del nostro territorio, occupazione militare, negazione della nostra storia e cultura, censura della nostra lingua, vergogna di noi stessi, complessi di inferiorità fino all’autorazzismo e all’autocolonialismo.
Ora che il ciclo della colonizzazione si è concluso e siamo diventati italiani, o italianizzati sarebbe meglio dire, dopo essere stati spagnoli e dimenticandoci dei nostri periodi di indipendenza e di essere prima di tutto sardi, siamo velocemente passati dalla parte dei colonizzati a quella dei colonizzatori. E così i nostri interessi, i nostri bisogni e perfino i nostri morti si collocano naturalmente a un livello superiore, mentre quelli altrui sono relegati a bisogni, disperazioni e morti inequivocabilmente di serie B.
Come europei invece, seppure marginali e periferici, dovremmo ricordarci, o meglio informarci, sull’antefatto, sul perché questi uomini e donne scappino dall’Africa verso l’Europa. Forse gioverà, in questa sede, ricordare la famigerata conferenza di Berlino del 1884 dalla quale in poi inizierà la spartizione coloniale del continente africano ad opera degli europei. Confini artificiali, unioni territoriali forzate di etnie rivali, sfruttamento indiscriminato, tratta degli schiavi, milioni di morti sono il lascito di secoli di colonizzazione europea in Africa.
I recenti processi di indipendenza si sono rivelati in molti casi più formali che reali, date le continue ingerenze europee nella politica africana, e hanno portato gli intellettuali panafricanisti a parlare senza troppi giri di parole di neocolonialismo. I continui interventi militari europei e gli appoggi a leader graditi e filo europei o viceversa le destabilizzazioni di quegli stati non allineati, senza farsi scrupolo di finanziare e armare frange di ribelli e mercenari per organizzare colpi di stato, eliminare capi di stato legittimamente eletti ma scomodi perché troppo indipendenti e pericolosi per gli interessi europei, sono la prassi quotidiana del neocolonialismo in Africa.
Gli europei da secoli si arrogano il diritto di andare a rubare, comandare e ammazzare a piacimento in casa d’altri, in Africa come in Oriente o altrove, secondo i loro interessi del momento e senza nessuno scrupolo. Detto brutalmente, i figli dell’Africa oggi scappano perché per primi gli europei sono andati a casa loro a sfruttare e a farla da padroni, creando quegli inferni dai quali i nostri fratelli fuggono cercando rifugio in Europa. Il fatto che ora quella stessa Europa, artefice di questa catastrofe antropologica, voglia chiudersi a riccio e respingerli, è quanto di più vergognoso e infame si possa immaginare. Visto che è stata l’Europa a creare questo disastro umanitario, lei stessa lo deve gestire e chi se no?
Questo sia detto a livello politico, a livello di uomo a uomo, la solidarietà è quanto di più umano si possa offrire a questi nostri fratelli figli del disordine europeo che, come detto, ci ricordano noi stessi solo qualche anno fa. La strada, comunque sia, ormai è segnata, al di là di questa emergenza contingente. Il mondo è destinato a mischiarsi, le genti si sposteranno sempre di più, anche l’Europa non sarà più solo per gli europei attuali, ci saranno dei nuovi europei e anche dei nuovi sardi, impensabile tornare indietro o negare il nuovo corso.
Il nostro compito sarà quello di garantire la diversità culturale come ricchezza dell’umanità e l’uguaglianza nell’accesso ai diritti per tutti, uomini e donne di qualsiasi provenienza o colore essi siano. Se non sapremo fare questo avremo perso anche l’ultima connotazione valoriale che ci distingueva, la solidarietà umana, e ci avvieremo inesorabilmente a perdere per sempre il nostro essere umani nel senso più nobile del termine.
Questo articolo è stato pubblicato dal Manifesto sardo il 1 aprile 2016