di Silvia R. Lolli
Il libro della professoressa israeliana Nurit Peled-Elhanan che è stato presentato di recente presentato alla Sala Imbeni del Comune di Bologna a cura dell’AssoPacePalestina, ci potrà descrivere come sono rappresentati i palestinesi nei testi scolastici israeliani. Titolo del libro è La Palestina nei testi scolastici di Israele. Ideologia e propaganda nell’istruzione (Edizioni Gruppo Abele, 2015).
La docente insegna alla facoltà di Scienza dell’educazione linguistica dell’università ebraica di Gerusalemme e ha scelto un’eloquente frase dell’etologo e biologo britannico Richard Dawkins, per introdurre l’argomento:
“La psiche umana conosce due grandi mali: il bisogno di vendicarsi lungo il corso delle generazioni e la tendenza ad attribuire appellativi di gruppo agli esseri umani, piuttosto che quella di considerarli degli individui”.
La prefazione è introdotta da un altro incipit, della storica inglese Keith Jenkins:
“La storia non la si racconta né la si legge mai con innocenza perché essa è sempre per qualcuno”.
Nurit Peled-Elhanan contestualizza subito la situazione, avvertendoci:
“In Israele i testi scolastici sono destinati a ragazzi che a diciott’anni si arruolano nel servizio militare obbligatorio per attuare la politica israeliana di occupazione dei territori palestinesi”.
Sono tante le verità che possiamo non conoscere e che quindi bisogna scoprire di persona attraverso le testimonianze, i libri, mai dimenticando la tendenza odierna dell’informazione dei mass media per lo più incapaci di descrivere la realtà senza falsificarla. Qui non ci si sofferma solo all’analisi dell’informazione, ma dello studio della storia di queste terre, dove è in atto un conflitto in cui non si riconosce la storia millenaria di popoli nomadi, anche palestinesi, su territori oggi occupati da Israele con l’arroganza del più forte. Perché può avvenire questo disconoscimento?
Sempre in prefazione scrive l’autrice:
“Il mio particolare interesse per questo tipo di libri discende da una convinzione condivisa con diversi ricercatori, non solo in Israele: nonostante tutte le altre fonti di informazione, i testi scolastici costituiscono potenti mezzi mediante cui lo Stato può configurare le forme di percezione, classificazione, interpretazione e memoria necessarie a determinare identità individuali e nazionali”.
La nostra memoria collettiva non dovrebbe aver dimenticato questo tipo di educazione, in cui non solo i libri di storia, ma anche di matematica formavano ad un pensiero unico e spesso gli altri libri erano bruciati! Anche oggi le biblioteche e le scuole sono le prime ad essere attaccate nei conflitti.
Non crediamo purtroppo che la presentazione del libro di Nurit Peled-Elhanan possa essere di monito solo per l’educazione israeliana; il libro ci può avvisare e a comprendere che in troppi paesi europei stiamo vivendo un ritorno verso identità etnocratiche nazionali, in nome di false certezze e del racconto di una storia spesso di parte.
La scuola, l’educazione e quindi i giovani sono normalmente le prime vittime di questi poteri sempre meno democratici. Ma la democrazia non dovrebbe essere per tutta l’umanità e per il suo futuro?