di Stefania Brai, responsabile nazionale cultura del Prc
Eravamo stati facili profeti nel dire, nel luglio scorso e a proposito del disegno di legge sul cinema della Di Giorgi, che il governo aveva in testa un’altra legge. E la legge è uscita fuori, anche in modo altisonante. Usciti malconci dallo scandalo internazionale delle statue coperte, Renzi e Franceschini hanno avuto la bella idea di invitare a pranzo quattro registi italiani premi Oscar (Bertolucci, Sorrentino, Benigni e Tornatore) a sponsorizzare il governo e la sua legge sul cinema (ma anche sullo spettacolo dal vivo, cosa di cui nessuno parla).
Perché l’abbia fatto Renzi si capisce bene, perché i quattro registi si siano prestati si capisce meno. Ma questi sono i tempi. Questi sono i tempi in cui non contano più le organizzazioni collettive ma il potere del singolo, questi sono i tempi in cui le organizzazioni collettive non solo non si oppongono, ma neanche si permettono di criticare il potere. E questa legge avrebbe molto bisogno di essere criticata. Anzi, avrebbe bisogno di battaglie collettive per impedirne l’approvazione.
Intanto alcune note di carattere generale. Primo punto. La commissione cultura del Senato sta discutendo e facendo audizioni su un altro testo: quello della Di Giorgi. Cosa succederà ora? Si tenterà di unificare i due testi? missione quasi impossibile perché sono due impostazioni strutturali molto diverse, anche se poi raggiungono lo stesso risultato di impedire la nascita di un cinema d’autore e l’esistenza di una produzione indipendente e di un’offerta plurale.
Se ne cancellerà uno? Proviamo a indovinare quale? I tempi saranno comunque non certo brevi e quindi nasce il dubbio più che concreto che anche qui si tratti di pura propaganda in vista dei prossimi appuntamenti elettorali delle amministrative.
Secondo punto. Una volta approvata, dopo un iter così complicato e faticoso, la legge Franceschini prevede la necessità di moltissimi decreti attuativi oltre ad alcune deleghe al governo (revisione della censura, ad esempio). L’individuazione della maggior parte dei criteri e delle tecniche applicative sono infatti demandate al governo. Quindi: quanto ulteriore tempo ci vorrà? Quel dubbio espresso prima diventa quasi certezza. Il sospetto ulteriore che viene e che con tutto il cuore ci auguriamo che resti “sospetto” è che con la scusa della nuova legge si blocchino i finanziamenti al cinema erogati con la normativa esistente, facendo così morire di fatto e per mancanza di nutrimento un cinema indipendente e d’autore. Che è quello che più dà fastidio.
Terzo punto. Nelle dichiarazioni del ministro per illustrare la legge appaiono alcune, diciamo così, “imprecisioni”. Il ministro dice che “questo disegno di legge è frutto del tavolo di lavoro con tutte le parti interessate”: non ci risulta che a quel tavolo si siano seduti gli autori. O forse giustamente gli autori non si considerano “parti interessate” perché questa legge non sostiene gli autori e le loro opere ma le imprese (in particolare quelle grandi e forti).
Sul sito del ministero si dice inoltre che il testo è ispirato al modello francese perché il fondo per il cinema è alimentato “dagli introiti erariali già derivanti dalle attività di programmazione e trasmissione televisiva; distribuzione cinematografica; proiezione cinematografica; erogazione di servizi di accesso ad internet da parte delle imprese telefoniche e di telecomunicazione”. Si attuerebbe cioè, secondo il ministero, un “meccanismo virtuoso di autofinanziamento”.
Ma non è così. Non è così perché la legge cinema francese prevede la cosiddetta “tassa di scopo”, cioè un prelievo “aggiuntivo” su tutti i soggetti che hanno dei proventi tramite il cinema. Non è così perché questa legge non introduce nessuna tassa di scopo ma è invece lo Stato che rinuncia a una parte delle sue entrate prelevando una quota dell’Ires e dell’Iva – che questi soggetti già versano – per destinarla al cinema. Questo è un punto importantissimo. Nessun onere aggiuntivo per le televisioni e per i colossi delle telecomunicazioni, ma oneri aggiuntivi per lo Stato, che vuol dire prelievo dalla fiscalità generale, che vuol dire che non sono le imprese a sostenere il cinema ma i cittadini. Nessun “meccanismo virtuoso di autofinanziamento”, quindi.
Questo però è un punto di fondo e di principio sul quale occorre essere molto chiari per non creare equivoci. Noi abbiamo sempre sostenuto che deve essere la fiscalità generale a sostenere la cultura, così come la scuola, così come la sanità. Perché stiamo parlando di sapere, conoscenza, cultura e salute, cioè di diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione. Così come abbiamo sempre sostenuto che – per quanto riguarda la cultura e in questo caso il cinema – serve una legge di sistema che stabilisca regole trasparenti e finanziamenti certi per quelle opere (opere sottolineato) che attraverso i soli meccanismi di mercato non potrebbero mai vedere la luce. Perché questo è il senso e la finalità dell’intervento pubblico, non certo quello di premiare chi è già forte sul mercato.
L’operazione mascherata che si sta facendo allora non è la dismissione del finanziamento pubblico che viene invece dirottato a favore delle imprese, ma la dismissione del ruolo sociale dello Stato. Operazione mascherata perché non si ha il coraggio di dire “non si possono toccare gli interessi delle multinazionali della comunicazione e delle televisioni”; mascherata perché non si ha il coraggio di dire: “noi prendiamo i soldi dei cittadini e invece di finanziare la cultura finanziamo le imprese”. Mascherata perché tutto avviene sotto lo slogan falso del “sistema virtuoso di autofinanziamento”.
Ovviamente ogni legge è complessa e andrebbe analizzata nel dettaglio. Provo a descrivere alcuni punti a mio parere davvero “allarmanti” e che oscurano quelli eventualmente positivi contenuti nel testo, se fossero presenti. Cercando di non entrare troppo nei dettagli tecnici, con la consapevolezza di correre il rischio della semplificazione.
- La legge equipara sotto tutti gli aspetti l’opera cinematografica e quella audiovisiva, compresi i videogiochi. A parte la valenza e le implicazioni culturali di questa operazione, la prima conseguenza è che tutti i fondi vanno quindi spartiti tra i due settori.
- Viene istituito il “Consiglio superiore del cinema e dell’audiovisivo” che ha tantissimi compiti, tutti consultivi o propositivi. Le decisioni sono tutte in mano al ministero, cioè al governo. È composto da dieci membri tutti designati dal ministro (cioè dal governo) d’intesa con altri ministeri, di questi dieci uno solo è scelto su una rosa di nomi proposta dalle associazioni di categoria. Come dire il massimo di democraticità e partecipazione. Viene soppressa la attuale sezione cinema della Consulta dello spettacolo dove invece sono oggi rappresentati gli autori, i produttori, i critici, gli esercenti, i distributori, tutti indicati dalle rispettive associazioni.
- Sotto il titolo “finalità e strumenti” si dice che “lo Stato contribuisce al finanziamento del cinema… allo scopo di facilitarne l’adattamento all’evoluzione delle tecnologie e dei mercati nazionali ed internazionali”. Non so se è necessario commentare la gravità di una simile “finalità”. La domanda spontanea che ci si pone è: Franceschini e Renzi cosa pensano che sia la cultura? Sicuramente qualcosa che si mangia (non con cui si mangia) visto che viene trattata alla stregua di una industria di pomodori che per stare sul mercato deve “adattarsi”. E ancora: Franceschini e Renzi quale pensano sia il ruolo dello Stato? È come se si dicesse “lo Stato finanzia gli ospedali pubblici per aiutarli a trasformarsi in cliniche private”. Se finora non fosse stato ancora chiaro questo è davvero il senso e la filosofia di tutta la legge.
- Finanziamenti. L’85 (ottantacinque!) percento del fondo per “lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo” (la definizione è fondamentale anche qui per capire il senso della legge) è destinato al credito d’imposta o ai finanziamenti automatici.
Il credito d’imposta è previsto per le imprese di produzione, di distribuzione, dell’esercizio, delle industrie tecniche e di post-produzione, così come per le imprese non appartenenti al settore cinematografico ed audiovisivo. Ancora una volta saranno dei decreti del governo a stabilire la ripartizione delle risorse tra le diverse tipologie di impresa, i limiti di importo per ciascun beneficiario, i requisiti, le condizioni, le procedure per la richiesta… insomma tutto.
I contributi automatici sono dati sulla base di parametri “oggettivi, non discrezionali e relativi unicamente ai risultati raggiunti dall’impresa in relazione alle opere cinematografiche e audiovisive precedenti”. Cioè rigorosamente in base al mercato (leggermente attenuato perché tra i criteri è prevista anche la partecipazione e il conseguimento di riconoscimenti in rassegne internazionali). Ulteriori “parametri oggettivi possono essere stabiliti da altri decreti governativi”. Tanto per cambiare.
Non so se è chiara fino in fondo la gravità della portata di questa impostazione. Se ogni impresa riceverà finanziamenti in base agli incassi delle opere prodotte fino a quel momento (“precedenti”) vuol dire che sopravviveranno e vivranno solo i produttori che hanno realizzato negli anni film di successo e film commerciali, vuol dire che chiuderanno tutte quelle imprese indipendenti che hanno finora tentato di produrre film d’autore – un tempo si diceva “di qualità”, ma oggi è una bestemmia – ; vuol dire che non potranno mai vedere la luce i film dei nostri migliori autori di ieri e di oggi, che hanno fatto la storia del cinema anche se sono stati un insuccesso al botteghino (un esempio per tutti: “La terra trema” di Luchino Visconti fu un totale flop tra il pubblico ed è uno dei capolavori della storia del cinema mondiale). Vuol dire in sostanza che ci saranno poche imprese e molto forti sul mercato, e pochi autori e molto forti sul mercato. Con buona pace del pluralismo culturale e produttivo.
A tutto questo e per eliminare qualsiasi dubbio residuo, si aggiunge che solo il restante 15 (quindici) percento del fondo è destinato ai finanziamenti selettivi che, per quanto riguarda le opere cinematografiche e audiovisive, saranno attribuiti in base alle valutazioni di cinque “esperti” – individuati in un successivo decreto governativo – in base a modalità applicative anche queste decise con decreto governativo.
Si potrebbe andare avanti con la finta eliminazione della censura, con il finto sostegno alle sale di città e il reale sostegno alla “trasformazione delle sale e multisale esistenti in ambito cittadino finalizzata all’aumento del numero degli schermi”. In parole più chiare: finalizzata alla trasformazione delle monosale e delle multisale in multiplex, cioè nei luoghi adatti esclusivamente al cinema commerciale.
Si potrebbe andare avanti ma il progetto mi pare chiarissimo ed è quello che accumuna questo testo con la legge di riforma del servizio pubblico radiotelevisivo, con la riforma della scuola e dell’università, con l’abolizione dei contributi pubblici alla carta stampata e all’editoria. E con tutte le altre riforme messe in campo da questo governo. Da un lato la mortificazione del ruolo del parlamento e la concentrazione di tutti i poteri nelle mani del governo, dall’altro il tentativo di eliminazione di tutto ciò che può rappresentare un ostacolo: le organizzazioni rappresentative delle istanze sociali, la partecipazione, la forza della creatività, della ricerca e del pensiero, il pluralismo culturale e sociale, la crescita individuale e collettiva, la formazione di una coscienza critica. Insomma i “lacci e lacciuoli” della democrazia. Per una società di individui singoli e soli.
Destinati a rimanere singoli e soli, meglio se anche passivi.
Questo articolo è stato pubblicato su BookCiakMagazine.it il 3 febbraio 2016