del Comitato acqua bene comune di Rimini
Rimini, come Reggio Emilia e Piacenza è una delle tre province che doveva decidere il modello di gestione del Servizio idrico integrato entro il 30 settembre, come previsto dal decreto Sblocca Italia. La storia di Rimini è decisamente diversa da quella delle altre due province emiliane. A Rimini, il 12 e il 13 giugno 2011, si sono recati alle urne 153.133 (61,51%) elettori, facendo una scelta ben precisa: eliminare la forzata privatizzazione dei soggetti GESTORI del servizio idrico integrato (art. 23 bis del DL 112/2008) ed eliminare la remunerazione del capitale investito (comma 1 art. 154 D.Lgs 152/2006). I SI sono stati 144.722, ossia il 95,6% dei votanti.
Il referendum ha coinciso, con le elezioni amministrative del Comune di Rimini, entrando di fatto nella discussione politica durante la campagna elettorale, tanto che il sindaco eletto si era pubblicamente impegnato a tornare alla gestione pubblica dell’idrico, firmando l’appello del comitato referendario per la gestione pubblica del Servizio idrico.
Il Comitato acqua bene comune di Rimini sostiene, oggi come allora, che si debba e si possa tornare alla gestione pubblica per due semplici ragioni. La prima perché scaturisce dal voto popolare che, pur non avendo votato esplicitamente per la ripubblicizzazione (non era neppure possibile farlo fin tanto che non si fosse abrogato l’articolo 23 bis), ha comunque espresso questa volontà dicendo no alla privatizzazione obbligatoria e chiedendo di togliere il profitto dalla gestione dell’idrico.
La seconda ragione è dimostrata sul piano economico e giuridico rispetto al vantaggio della gestione pubblica, cosa che la storia di Rimini ha ben dimostrato, grazie alla società pubblica di Romagna Acque che gestisce le fonti e la produzione dell’acqua nel bacino idrico comprendente le province di Rimini, Forlì Cesena e Ravenna, e grazie anche a scelte fatte negli ultimi 4 anni nella gestione del SII.
Nel corso di questi 4 anni post referendum, si è più volte chiesto di effettuare uno studio puntuale sugli scenari delle tre formule di gestione a partire da una criticità propria dell’ambito Rimini, ossia gli urgenti e decisamente cospicui investimenti da farsi nell’ambito riminese, derivanti dall’ammodernamento del sistema fognario del Comune. Questo problema ha impegnato l’ambito riminese nei due anni post referendum, per la definizione degli investimenti necessari e la loro quantificazione economica.
Ma è proprio grazie a questo tema che si sono radicalizzate le posizioni verso la ripubblicizzazione da parte del comitato acqua pubblica riminese e non solo di esso.
Per i sostenitori delle multiutility, in primis il Partito Democratico, orientati al liberismo sfrenato nella gestione dei servizi pubblici locali, l’ammontare degli investimenti è stato invece sbandierato come pericolo di indebitamento per i Comuni e come ragione in più per affidare ai privati la sua realizzazione. Negli ultimi due anni il dibattito riminese ha portato alla realizzazione di un primo studio fatto sul piano meramente giuridico, a cui andava dato seguito con uno studio e un piano industriale sulle forme di gestione possibili a dimostrazione dei vantaggi sul piano economico e di controllo della gestione pubblica. Ma questo secondo aspetto nonostante vi siano stati pronunciamenti da parte dei consigli comunali e le dimissioni dell’assessore all’ambiente del Comune di Rimini, non è mai stato attuato.
Al contrario si è prodotto uno studio mirato a fare terrorismo nei confronti dei Sindaci del territorio, che si sono dimostrati finora disattenti e disinformati sulla questione, che quantifica gli ammortamenti da restituire al gestore attuale Hera. Così il PD, con la prepotenza chi è stato eletto da un’esigua minoranza, ha deciso di affidare la gestione dell’idrico al privato, in contrasto con l’esito referendario. Decisione presa a livello regionale, senza alcun passaggio democratico, in un silenzio omertoso, anche da parte della stampa locale al suo servizio, con una votazione nel consiglio di Atesir regionale il 29 settembre.
La delibera infatti indica quale forma di gestione l’affidamento tramite gara europea, salvo che Atesir Rimini entro il 31 dicembre 2015 decida diversamente, cosa che ha evitato di fare e di discutere negli ultimi 4 anni. E in più se decideva diversamente dovrebbe produrre una documentazione dettagliata su piani industriali e di finanziabilita che non ha ancora mai votato uno dei tre modelli di gestione.
Il comitato acqua bene comune di Rimini, ha chiesto a gran voce con il sostegno di forze politiche, associazioni e comitati, di rivedere la scelta partendo proprio dalla specificità riminese e analizzando scelte e risultato sulla gestione messi in campo in questi anni dal pubblico, sfruttando come possibili soggetti gestori pubblici, le società degli asset o la stessa Romagna Acque.
Proprio quest’ultima che negli anni ha decisamente migliorato infrastrutture per la produzione e l’erogazione dell’acqua, sta investendo direttamente nell’impianto fognario riminese, grazie a risorse accantonate negli anni attraverso l’introito generato dalla remunerazione del capitale investito, che una società pubblica non può dividere fra i soci come utile, ma reinvestirlo in opere pubbliche. A oggi, proprio a causa della modifica del sistema tariffario che mantiene la remunerazione del capitale (ridotta dal 7% al 4%) generando ingenti introiti per la società, ha deciso di rinunciarvi per evitare incrementi in bolletta.
A questa considerazione si aggiunge inoltre che l’indebitamento dei comuni per la gestione del SII, che a nostro avviso non è per nulla negativo, è già in atto da parte del Comune di Rimini, che per ridurre la tariffa dei cittadini sta investendo oltre 25 milioni di risorse proprie in opere fognarie. Come dimostra la gestione del idrico a Rimini, negli ultimi 4 anni con la necessità di rimettere mano al sistema fognario e la sua definizione attraverso processi partecipativi che hanno coinvolto, cittadini, associazioni ambientaliste e università, si è riusciti a recuperare un patrimonio di informazioni e quindi di scelte compatibili con il territorio, per definire il piano degli investimenti, generando maggior controllo per la sua attuazione e maggior peso nella scelta finale.
Rimini dunque sta dimostrando sul campo come la gestione pubblica del servizio idrico integrato potrebbe nel medio periodo generare risorse costanti per gli investimenti, oltre che sviluppare sistemi di gestione pubblica di bacino idrico allargato, dove alla gestione degli impianti fognari si legano scelte politiche integrate sul recupero delle acque e la gestione delle fonti idriche, senza spacchettare in gestioni privatistiche e legate al mero profitto di alcuni, tali scelte strategiche.
L’obiettivo però è chiaro e finalizzato a privatizzare la gestione per garantire alle grandi multiutility italiane (HERA,IREN, A2A, ACEA)Il mercato dell’idrico, nonostante che nella seduta del Parlamento Europeo dell’8 settembre 2015, si sia votata la relazione sul seguito all’iniziativa dei cittadini europei “L’acqua è un diritto” (Right2Water), nella quale si è stabilito di togliere la gestione del servizio idrico integrato dal Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti, non sottoponendolo dunque alla logica di spartizione del mercato fra le Multinazionali mondiali, dal momento che l’accesso all’acqua deve essere garantito a tutti e a tutte.
In questi 4 anni a vari livelli (nazionale, regionale e locali) gli orientamenti sono andati in direzione contraria alla scelta referendaria, lo si è fatto approvando leggi che impediscono di scegliere la ripubblicizzazione e lo si è fatto distruggendo la democrazia, accentrando le scelte e deprivando i territori del diritto di pronunciarsi su questioni che toccano direttamente la vita dei propri cittadini.