di Amina Crisma
Segna per molti versi una novità senza precedenti e dalle molteplici implicazioni l’attribuzione del premio Nobel per la medicina a una ricercatrice cinese, Tu Youyou, che le viene conferito ex aequo con l’americano di origine irlandese William Campbell e con il giapponese Satoshi Omura. È la prima donna cinese a ottenere il Nobel.
Finora, i Nobel assegnati a cinesi si sono riferiti all’ambito della letteratura (nel 2000 il premio è andato allo scrittore Gao Xingjian, espatriato in Francia dagli anni Ottanta, e nel 2012 ha consacrato la fama planetaria del grande romanziere Mo Yan) o all’ambito della pace (è stato attribuito nel 2010 al dissidente Liu Xiaobo, che sconta dal 2009 una condanna per reati d’opinione a 11 anni di reclusione).
Stavolta, per la prima volta, si premia un ricercatore cinese – un fatto registrato con palese soddisfazione dalle supreme autorità della RPC come un evento epocale che, come ha sottolineato il premier Li Keqiang, ben riflette i progressi compiuti dalla Cina nel campo della scienza e della tecnologia, ed è inoltre un’eloquente attestazione della crescita della sua influenza e del suo prestigio internazionale.
Ma non è solo su tale versante – la fierezza nazionale della grande potenza, che registra un suo nuovo significativo successo nell’orizzonte globale – che vale la pena di riflettere, perché, fatto davvero degno di nota, questo ricercatore è una donna. Un evento di grande rilievo non solo in riferimento all’indubbia complessità della condizione femminile in Cina, contrassegnata da molteplici contraddizioni, fra cui non ultimo un Gender Gap demografico di tutto rilievo (se ne accenna ad esempio in A. Crisma, “Ripensare oggi il maschile con risorse della Cina antica”, www.inchiestaonline.it, 2 settembre 2015), ma anche un salutare segnale per la comunità accademica internazionale che, nonostante gli oltre cent’anni trascorsi dall’attribuzione del Nobel per la fisica a Marie Curie, appare tuttora piuttosto restia a riconoscere pienamente i meriti scientifici delle donne, e non di rado sembra contraddistinta, in maggiore o minor misura, da una persistente e tenace misoginia (si vedano in proposito le considerazioni critiche di Paolo Rossi, “Donne nella ricerca: a quando una vera parità?”, www.inchiestaonline.it, 10 ottobre 2015)
È dunque ricca di molteplici implicazioni simboliche, l’assegnazione del Nobel a Tu Youyou, che porta all’attenzione del mondo la figura e la storia di questa ottantaquattrenne ricercatrice. Non si sa ancora se parteciperà alla cerimonia di premiazione, e le sue dichiarazioni sono improntate alla modestia e all’understatement: “questo premio è un riconoscimento reso all’insieme dei ricercatori cinesi”, ha detto, non appena ne ha appresa la notizia. Nata nel 1930, laureatasi nel 1955 all’Università di Medicina di Pechino, il suo percorso di formazione rappresenta un fertile incrocio fra risorse attinte alla medicina tradizionale cinese, della cui Accademia è primario, e tecniche della medicina occidentale moderna. Le pluridecennali ricerche che le hanno fruttato oggi questo clamoroso riconoscimento (ma già nel 2011 aveva ricevuto il prestigioso premio Albert Lasker) sono iniziate ai tempi della guerra del Vietnam, nell’ambito del progetto di interesse strategico denominato “progetto 523” (dalla sua data, 23 maggio 1967): il suo obiettivo era trovare un rimedio efficace contro la malaria che colpiva i combattenti vietnamiti impegnati nella lotta contro gli Stati Uniti e i loro alleati.
Tu Youyou ha iniziato a lavorare a questo progetto nello Hainan, negli anni drammatici della Rivoluzione Culturale, mentre suo marito veniva internato in un campo di lavoro, ed è stata in quel periodo costretta a separarsi dalla sua figlia bambina, affidata a un collegio di Pechino. Ricorrendo all’antichissima sapienza delle erbe medicinali, ha messo a punto un farmaco, l’artemisinina, estratto dalla Artemisia annua (un “dono della medicina tradizionale cinese al mondo”, l’ha definita l’agenzia Xinhua), che ha testato su se stessa prima che sui pazienti. Esso si è rivelato efficace contro una malattia che generalmente non riceve l’attenzione dei media né le luci della ribalta, nonostante la sua grande incidenza a livello planetario: si stima, ad esempio, che siano stati 200 milioni i casi nel solo 2013, con elevati tassi di mortalità soprattutto in Africa.
Nel Nobel a Tu Youyou, si può leggere dunque anche un’esortazione rivolta a coloro che detengono la responsabilità di governare il tianxia, “quanto sta sotto il Cielo”, e all’intera comunità scientifica internazionale a non dimenticarsi delle malattie che colpiscono i poveri del mondo, e a finanziare e sostenere adeguatamente le ricerche che le combattono.
Questo articolo è stato pubblicato su Inchiesta online il 14 ottobre 2015