di Sergio Sinigaglia
Immagino che molti, in questi giorni, abbiano riflettuto sulla posizione assunta dal governo tedesco di fronte all’esodo dei profughi nel cuore di quella che un tempo fu la Mitteleuropa. Le risposte possono essere diverse: la necessità della Merkel di rilanciare un’immagine positiva del Paese dopo la “trattativa” con la Grecia, dove ha mostrato il volto duro e intransigente che ha portato al nuovo memorandum improntato ad un’ennesima “macelleria sociale” oppure esigenze interne dettate dal mercato del lavoro (i servizi nel comparto turistico e l’industria agricola hanno bisogno di addetti perché i tedeschi rifiutano questo tipo di mansioni, accadeva anche da noi fino a non molto tempo fa) o dal calo demografico.
Così come pesa il ricordo del crollo del Muro e l’esodo pacifico delle popolazione dai paesi comunisti in frantumi. In ogni caso le scene di queste ore con la massa di migranti in marcia verso i confini austriaci prima e l’accoglienza festosa ricevuta all’arrivo a Monaco e nelle altre città non possono non colpirci (e commuoverci).
Tra i vari aspetti ce n’è uno, in apparenza secondario, ma significativo. Lo ha evidenziato Gabriele Romagnoli su La Repubblica di qualche giorno fa. Il benvenuto ai profughi è arrivato anche dal mondo del calcio. In alcune curve della Bundesliga sono apparsi striscioni di “welcome” e una società importante come il Bayern Monaco ha donato un milione di euro per l’accoglienza e regalato un impianto sportivo. A colpire è soprattutto il gesto delle curve.
È sin troppo facile ricordare come da tempo quelle dei nostri stadi, al di là di alcune lodevoli eccezioni, siano cadute in mano ai gruppi fascistoidi con relativi messaggi scritti e vocali di insulti razzisti. Il modo in cui la società tedesca, senza dimenticare gli assalti delle frange naziste e xenofobe e il crescente, parziale successo, del partito di destra Alternative fur Deuschland, sta reagendo fino a questo momento alla scelta di apertura delle frontiere, evidenzia una realtà sicuramente diversa da quella nostrana, dove da tempo buona parte dell’opinione pubblica è regredita su atteggiamenti e comportamenti che verifichiamo quotidianamente. Al di là del lavoro prezioso e indispensabile delle reti sociali e del volontariato.
Del resto se volgiamo le nostre attenzioni verso il mondo politico tradizionale in Germania la sinistra è ben presente, dal punto di vista istituzionale ed elettorale, con la Linke. In Italia la vecchia “sinistra radicale” è ormai evaporata e lo spazio di protesta è ormai occupato in pianta stabile dal Movimento 5 Stelle, dove, rispetto ai migranti, nonostante le apprezzabili prese di posizioni di alcuni suoi esponenti e ampi settore della base, le invettive e gli ululati dell’ex comico milionario imperversano.
Ma tornando alla questione stadi, un libro uscito di recente ci può far capire meglio le ragioni di una presa di posizione così fuori dal comune, almeno per noi, avvenuta in alcune curve tedesche. Ribelli, sociali e romantici (Edizioni Bepress) di Nicolò Rondinelli racconta la storia di un club ormai conosciuto in tutto il mondo per la sua indubbia particolarità. Si tratta del Fc. St. Pauli nato nel 1910, in un quartiere di Amburgo, da cui ha preso il nome. Un quartiere sicuramente particolare, popolare, abitato da operai e sottoproletari, noto anche per il suo circuito di locali hard, e storicamente schierato a sinistra.
La vicenda del club è quella di tante società che hanno navigato tra le serie inferiori del calcio fino alla promozione in serie A. È da tenere presente che in Germania la Bundesliga nasce nel 1963, quindi solo 50 anni fa il calcio si “professionalizza”. Ma al di là delle storie raccontate con dovizia di particolari nel bel libro di Rondinelli, il volume ci interessa proprio perché ci può spiegare cosa è accaduto in questi anni nelle curve in Germania e quindi come è stato possibile vedere comparire gli striscioni solidali con i profughi. E le ragioni sono proprio legate ai tifosi del St. Pauli.
Il quartiere ha vissuto la stagione dei movimenti sociali che ad Amburgo, come in altre città tedesche, ha avuto una dinamica diversa da quella verificatasi da noi. Mentre in Itala alla fine degli anni Settanta, con la deriva armata, iniziava il nostro “grande freddo”, in Germania, dove comunque le scelte tragiche della Raf hanno avuto un peso notevole, all’inizio degli anni Ottanta la rete sociale alternativa viveva una stagione importante con le occupazioni di case e le esperienze di vita comunitaria piuttosto diffuse.
E nel microcosmo di St. Pauli caratterizzato fortemente da queste dinamiche, le lotte degli “alternativi” e dei proletari presenti nel quartiere hanno gradualmente ma irreversibilmente “tracimato” anche nella curva del vecchio mitico Millentor. Da qui è iniziato un percorso di “democratizzazione” dello stadio che ha favorito la diffusione di valori improntati all’antirazzismo e all’antinazismo. Anche in Germania molti stadi di serie A subivano la presenza di gruppi neonazisti con l’orrenda simbologia e slogan xenefobi.
Ma la nuova promozione del St. Pauli nella Bundesliga, dopo la retrocessione del 1977, avvenuta a metà degli anni Ottanta ha favorito una battaglia che gradualmente e parzialmente ha contaminato positivamente anche gli altri stadi. Una battaglia non facile che ha incontrato resistenze anche nel St. Pauli, divenuto comunque un punto di riferimento internazionale per chi crede che “un altro calcio sia possibile”, ma che ha avuto un’influenza positiva anche sulle altre tifoserie.
Nel 2005 è nata l’associazione “Unsere Kurve” (la nostra curva), riconosciuta dalla Federazione Calcio del Paese, fondata da tifosi del Borussia Dortmund e Eintracht Franco fortemente incentrata sul rispetto e il rifiuto della “guerra negli stadi”, e delle posizioni xenofobe e naziste. Il motto è “separati dai colori, uniti nella causa”. Il volume racconta molto bene le battaglie, le mobilitazioni, dei tifosi del Pauli per affermare determinati valori in un contesto non semplice.
Insomma dietro quegli striscioni c’è un lavoro sociale e di sensibilizzazione che ha visto i supporter “autonomen” del St. Pauli come protagonisti, un lavoro che ha influito positivamente su un pezzo di mondo comunque importante, se si pensa quanto oggi il calcio conti nella nostra società.