Quando Di Vittorio rifiutava i regali

7 Aprile 2015 /

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Giuseppe Di Vittorio in un comizio
Giuseppe Di Vittorio in un comizio
di Michele Fumagallo
Mi prendo un piccolo, minuscolo intervallo nella documentazione sul Murale Di Vittorio, certo di essere perdonato. Dopo la prima parte del dossier con alcuni articoli e note che sono già usciti su questo blog, e in attesa a breve della seconda con le interviste ai protagonisti e lo stato attuale della faccenda nella città pugliese, metto qui sotto, a mo’ di breve pausa tra le due cose (ma non un “fuori tema”, anzi) una lettera di Giuseppe Di Vittorio scoperta nel 2007.
Siamo sempre quindi nel pianeta Di Vittorio e stavolta ai vertici più alti. In tempi di corruzione dilagante (ma da tantissimi anni, sia chiaro: nessuna ipocrita scoperta dell’ombrello) non ho resistito alla tentazione di pubblicare questa lettera. Si tratta di un rifiuto, da parte del sindacalista, di alcuni regali mandati dal conte Giuseppe Pavoncelli, ricco proprietario terriero e commerciante di grano oltre che studioso e politico, a Di Vittorio in occasione delle feste natalizie. La lettera fu scoperta e mandata dall’amministratore attuale dei Pavoncelli, il 21 settembre 2007, al ricercatore Gianni Rinaldi, allora responsabile della Casa Di Vittorio a Cerignola.
Questa lettera, per quanto riguarda la nostra famiglia (intendo il Manifesto), è stata pubblicata e distribuita, onore al merito, nella prima brochure del Circolo del Manifesto di Avellino tre anni fa. Che dire? Bisognerebbe trascrivere questa lettera all’ingresso di tutti gli uffici della Cgil e dei sindacati, di tutte le sedi dei partiti (a partire da quelli di sinistra, sia chiaro), di tutte le istituzioni, di tutte le scuole. Non vi pare?
Ecco dunque la risposta di Giuseppe Di Vittorio all’amministratore di allora della Pavoncelli.
Cerignola, li 24 Dicembre 1920
Egregio Sig. Preziuso.
In mia assenza, la mia signora ha ricevuto quel po’ di ben di Dio che mi ha mandato. Io apprezzo al sommo grado la gentilezza del pensiero del suo Principale ed il nobile sentimento di disinteressata e superiore cortesia cui si è certamente ispirato.

Ma io sono un uomo politico attivo, un militante. E si sa che la politica ha delle esigenze crudeli, talvolta brutali anche perché – in gran parte – è fatta di esagerazioni e di insinuazioni, specialmente in un ambiente – come il nostro – ghiotto di pettegolezzi più o meno piccanti.
Io, Lei ed il Principale, siamo convinti della nostra personale onestà ma per la mia situazione politica non basta l’intima coscienza della propria onestà. È necessaria – e Lei lo intende – anche l’onestà esteriore. Se sul nulla si sono ricamati pettegolezzi repugnanti ad ogni coscienza di galantuomo, su d’una cortesia – sia pure nobilissima come quella in parola – si ricamerebbe chi sa che cosa.
Si che, io, a preventiva tutela della mia dignità politica e del buon nome di Giuseppe Pavoncelli, che stimo moltissimo come galantuomo, come studioso e come laborioso, sono costretto a non accettare il regalo, il cui solo pensiero mi è di pieno gradimento.
Vorrei spiegarmi più lungamente per dimostrarle e convincerla che la mia non è, non vuol essere superbia, ma credo di essere stato già chiaro. Il resto s’intuisce. Perciò La prego di mandare qualcuno, possibilmente la stessa persona, a ritirare gli oggetti portati.
Ringrazio di cuore Lei ed il Principale e distintamente per gli auguri alla mia Signora.

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